Ti disegno i miei sogni
Disegnare i sogni dei bambini di tutto il mondo. Dare forma e colore alla materia intangibile che scompare al mattino. Portare a galla la poesia inconsapevole che sul cuscino nasce e sul cuscino vola via. Eccola la sfida di Stefano Scialotti, bambino ormai cresciuto che, senza mai smettere di sognare, da grande ha fatto il regista di film e documentari. E un giorno, per caso, ha notato che i bimbi si divertivano a raccontare i loro sogni. Così ha deciso di fondare KidZdream, e di provare a mapparli.
“Mi stupì l’attenzione ai dettagli, la concentrazione che i piccoli ci mettevano a scegliere un particolare, un aggettivo… Una parlantina che si faceva via via più forbita. Ecco come mi venne l’idea di chiedere ai bimbi di disegnare. Tutto questo in un periodo storico in cui la maggior parte degli affabulatori sono tecnologici, e quindi commerciali, e quindi prevedibili e poco interessanti. Mi è sembrato che il tratto della matita lasciasse, nel suo imprevedibile, anarchico dispiegarsi sul foglio, un messaggio creativo dirompente. Quelle manine non si controllavano. Quelle manine, nel mondo dei muri, raccontavano un’uguaglianza totale”.
E così capita che i piccoli senegalesi disegnino sogni in cui appaiono il leone e la tigre. E se c’è un problema, succede che parlino con i marabù, gli stregoni africani che curano la malaria, la dissenteria e tante altre malattie che dalle nostre parti sono un ricordo di epoche lontane.
“I contesti in cui si vive determinano i sogni. Spesso nei Paesi sviluppati i bambini, per riferirsi ai sogni, usano la parola ‘portale’, un termine che richiama l’era digitale in cui viviamo. Non tanto per riferirsi ai siti web, ma per indicare quella serratura che ci permette di aprire la porta della fantasia. È interessante che i sogni siano veicolati dalle esperienze quotidiane. Immaginate di essere al ristorante con la famiglia e di chiacchierare. A fianco vostro figlio si annoia e allora gli date il cellulare con cui guarda i cartoni animati. È naturale che diventi la porta della sua fantasia”.
Cenerentola canta che i sogni “son desideri… di felicità” e che “nel sonno non hai pensieri”, e che “ti esprimi con sincerità”...
“Frase bellissima, ma la verità è un’altra. I sogni possono essere belli oppure orrendi. Non direi che i sogni siano desideri, sono piuttosto scenari possibili. Esprimono un conflitto, una paura sospesa o irrisolta. Io, per esempio, ricordo un incubo ricorrente: un missile atomico percorreva il cielo – erano i tempi della Guerra Fredda. Lo vedevo avvicinarsi piano piano e desideravo correre nell’altra stanza per abbracciare i miei. Non facevo in tempo, mi svegliavo di soprassalto. Ecco, oggi penso che vivessi la paura inconscia di perdere mamma e papà”.
È la paura di molti bambini.
“Una paura che si concretizza tra le mura domestiche. Fino a 10 anni fa i bimbi mi facevano una confidenza che la esprime e allo stesso tempo rivela i mutamenti sociali. Mi dicevano di provare antipatia per i conduttori dei telegiornali nazionali; i genitori li zittivano perché erano attenti alle notizie, e per i figli il notiziario era un ostacolo alla comunicazione. Oggi, questo rito televisivo è meno diffuso, ma l’invadenza della tecnologia è aumentata parallelamente alla sua fruibilità, accessibilità, possibilità di essere personalizzabile”.
Eppure la promessa tecnologica era quella di avvicinare le persone, i paesi e le culture.
E allora proviamo a restituirle il suo valore originario. La campagna che stiamo portando avanti si chiama Green Telling for a Better World ed è una lotta contro tutte le barriere fisiche e culturali. Il progetto, ideato attorno al muro tra la messicana Tijuana e la statunitense San Diego, coinvolge i bambini che abitano ai due lati della frontiera. Abbiamo chiesto loro di raccontarci i loro sogni. Tutti insieme, costruiremo un ponte che unirà i due Paesi. Il potenziale poetico dei sogni dei bimbi mi dà fiducia in un futuro più equo, in un avvenire di coscienza globale.
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