Suora francescana a Bagdad: qui il Papa incontrerà cristiani poveri e sofferenti
Lei, originaria della Siria, è da dicembre nella difficile missione in Iraq
Che accoglienza ci sarà per Papa Francesco nel suo ormai imminente viaggio in Iraq? Una suora francescana in missione a Baghdad, racconta il clima che si respira tra i cristiani a pochi giorni dall’arrivo di Bergoglio. Lei è Suor Yola Girges, una religiosa siriana delle Suore Francescane Missionarie del Cuore immacolato di Maria, originaria della provincia di Idlib (unica parte della Siria ancora controllata dai terroristi).
LA MISSIONE DELLE SUORE FRANCESCANE
La religiosa francescana si trova alla missione del Cuore Immacolato nella capitale irachena dal 3 dicembre 2020, per aiutare le comunità cristiane locali e mandare avanti l’asilo che accoglie anche bambini musulmani. In precedenza aveva svolto attività missionaria nella “sua” Siria dilaniata dalla guerra civile.
“NON INCONTRERA’ IL POPOLO”
«Siamo molti felici di accogliere il Papa, anche se ci dispiace che qui a Baghdad Francesco non incontrerà il popolo ma solo le autorità religiose e civili, per motivi di sicurezza - dice la suora francescana al portale In Terris - I cristiani del nord, ad Erbil e Qaraqosh, sono più fortunati perché potranno vedere il Santo Padre e parteciparle alle funzioni da lui presiedute e si stanno preparando con veglie ed incontri di ogni tipo».
LE DIFFICOLTA’ ECONOMICHE DEI CRISTIANI
La religiosa evidenzia anche la gravità della situazione economica in Iraq. «In Siria malgrado 10 anni di guerra la comunità cristiana è ancora molto vitale. Qui a Baghdad ho trovato una situazione ancora più difficile, le difficoltà economiche sono enormi. Gli iracheni erano tra i più benestanti della regione e ora la gente è costretta a vivere di espedienti per mangiare».
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“DA 30 ANNI NON VIVONO IN PACE”
«Molte famiglie - conclude la religiosa francescana - hanno persino allestito un orto nel giardino delle loro case e molti laureati, persino gli ingegneri, sono costretti a fare i lavori più umili per portare pochi soldi alle loro famiglie. Sentono la sofferenza di aver perso tutto, d’altra parte è da trent’anni che non vivono in pace».
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