Storia di Apulus da Bitonto, francescano ‘famosus’, ma poco noto
Da Frate Stefano De Luca, storico e archeologo, riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Personalità di sicuro rilievo e grande spessore culturale, il frate Minore Luca di Puglia da Bitonto fu un importante maestro francescano della prima metà del XIII secolo. Nonostante la notevole fama da cui fu circondato, però, oggi egli è probabilmente noto ai soli medievisti, e a pochi altri studiosi di storia francescana.
In buona misura, il merito di avere fatto apprezzare al grande pubblico la figura e l’opera di fra’ Luca, si deve al bitontino prof. Felice Moretti, prematuramente scomparso nel 2016. Numerosi studi di Moretti, e la bella monografia Luca Apulus, un maestro francescano del secolo XIII (1985), in cima a tutto, hanno illustrano la carriera e specialmente le omelie per le quali il frate pugliese era considerato un’autentica autorità fino a tutto il tardo Medioevo. Lo dimostra la quantità di copie che tramandano i suoi celebri Sermones, sopravvissute in circa 75 manoscritti e attualmente conservate nelle biblioteche di tutta Europa, oltre a tre diversi incunaboli con cui, nel XV secolo, essi furono editi a stampa.
Nelle segnature e nei cataloghi di manoscritti, il nome di frate Luca da Bitonto è variamente riportato come Lucas (o Luchas) de Bitonto, Lucas Apulus, Lucas de Apulia, Lucas Bituntinus, Lucas de Botonto, o Lucas Botontinus. Talora egli è stato confuso con altri omonimi e grossomodo contemporanei autori, in particolare con Luca lettore di Padova († 1287), con un presunto socius di Antonio di Padova, Luca Belludi († 1285), e con il Servita Luca da Prato (attivo c. 1290). Anche per questo motivo, in aggiunta al fatto che le notizie che lo riguardano sono purtroppo rare e frammentarie, molti dettagli della vicenda umana di Luca Apulus sembrano destinati a rimanere avvolti nel mistero. Tuttavia, sulla base delle poche fonti documentarie, si può provare a tracciare qualche tappa biografica principale, storicamente acclarata, o relativamente plausibile.
In un periodo non meglio precisabile, diciamo attorno agli anni ’10-’15 del Duecento, Luca dovette frequentare una Università, o quantomeno seguire un cursus studiorum di formazione clericale. Poiché alcuni codici del XIV secolo gli attribuiscono il soprannome di Lucas Botontinus ‘parisiensis’, o ‘parisinus’, Péano e Moretti pensavano potesse trattarsi della prestigiosa Università di Parigi, ma Rasolofoarimanana ha mostrato che tale appellativo sarebbe dovuto a un errore del copista, forse indotto dall’assimilazione del titolo di doctor con quello di magister. Non sappiamo, quindi, se Luca Apulus abbia frequentato una sede universitaria d’Oltralpe, oppure una scuola cattedrale italiana. Sappiamo, però, che egli si formò nella cultura teologica e filosofica del tempo secondo standards piuttosto elevati e aggiornati, certamente in un centro di studi dove egli poté apprendere le tecniche del sermo modernus, da lui poi ampiamente adottate, e adattate.
Una tale solida formazione, secondo il grande storico Giovanni Giacinto Sbaraglia, gli valse la seguente dicitura riportata su un codice di Anversa, ora perduto: ‘eximii sacrae Theologiae Doctoris Lucae de Bitonto Ordinis S. Francisci’, cioè “dell’esimio Luca da Bitonto, Dottore in sacra teologia, dell’Ordine di san Francesco”. In verità resta dubbio se, a coronamento del suo percorso di studi, Luca abbia effettivamente conseguito il magisterium, specie se si ammette l’ipotesi che la forma “universitaria” in cui i Sermones furono scritti, sia il risultato di una rielaborazione posteriore di materiale omiletico già redatto dal frate in un imprecisato ambito parrocchiale. In proposito Eleonora Lombardo avanza seri dubbi. La studiosa, che alle omelie di Luca da Bitonto dedica un intero capitolo della sua tesi dottorale, suggerisce che si tratti, piuttosto, di materiale per la predicazione itinerante. Così anche il Roest, il quale, in alternativa, supporta l’idea più convincente che il frate bitontino abbia svolto un’attività di insegnamento nella rete di scuole francescane.
Poco tempo prima del 1220, un frate Luca risulta associato ai primi compagni di san Francesco di Assisi, poiché in quell’anno sembra che il santo in persona lo abbia scelto quale Ministro Provinciale della provincia di Oriente (dal 1220 al 1221 o poco oltre), succedendo quindi al celebre fr. Elia da Cortona (al secolo, Elias Bonusbaro), già fondatore e primo Ministro della provincia medesima dal 1217 al 1220. Quest’anno, per l’appunto, ricorre l’ottavo centenario di fondazione. Girolamo Golubovich, l’eminente storico della Custodia di Terra Santa, ha ben evidenziato che in quel medesimo anno lo stesso s. Francesco si sarebbe trovato in Oriente. Al seguito della quinta Crociata, egli era giunto al porto di Acri già nell’estate del 1219. Via mare, aveva quindi raggiunto Damietta, in Egitto, dove fremevano i preparativi della sfortunata battaglia del 29 agosto, lì dove, secondo la testimonianza diretta di Giacomo da Vitry e di altri osservatori crociati, come il cronista Ernoul e Bernardo il Tesoriere, egli si incontrò con il sultano ayyubide al-Malik al-Kamil.
Come frutto concreto di quel celebre incontro immortalato da Dante, sembra che Francesco abbia ottenuto un signaculum (Fioretti, FF 1855), cioè un salvacondotto valevole per sé e per i suoi frati, che gli permettesse di muoversi liberamente in territorio musulmano. Forse facilitato proprio da quel salvacondotto, o dall’invito del sultano, diversi testi posteriori, tra cui la Cronaca delle sette tribolazioni di Angelo Clareno (FF 2154), l’Histoire de Eracles di un continuatore di Guglielmo di Tiro (FF 2238), e il Libro delle vite dei santi Frati Minori di Mariano da Firenze, riferiscono di un pellegrinaggio di Francesco a Gerusalemme, in compagnia dei frati Elia da Cortona, Illuminato da Rieti e, verosimilmente, Luca da Bitonto.
Però ad Acri essi erano stati informati dei gravi dissidi sorti tra i frati in Italia durante l’assenza del fondatore. Per questo motivo Francesco prese le decisioni di rientrare e di ricondurre con sé in Italia il fidato fra’ Elia, magari nella speranza che questi avesse potuto aiutarlo a dirimere le sopravvenute questioni. Com’è noto, fra’ Elia diverrà dapprima Vicario (1221-1227), e poi primo Ministro Generale dell’Ordine (1232-1239). È in tale contesto che va inquadrata l’elezione a Ministro del frate pugliese. Gran parte degli storici concordano nell’individuare questo fra’ Luca in Luca Apulus, riconoscendolo di fatto, dunque, come il secondo superiore della neonata provincia francescana d’Oltremare, cioè di Grecia e Terra Santa.
Ciò sarebbe confermato da due lettere di papa Onorio III, rispettivamente del dicembre 1220, e del febbraio 1221, indirizzate, l’una al cardinale Giovanni Colonna, Legato pontificio dell’Impero latino d’Oriente, e l’altra a Matteo, Patriarca latino di Costantinopoli. Ambedue i documenti presentano un testo pressoché identico. Essi menzionano un ‘dilecto filio Fratre Luca’ nella sua qualità di ‘Magistro Fratrum Minorum de partibus Romaniae’, cioè “Maestro (ovvero Ministro) dei Frati Minori della Provincia di Romania”, vale a dire di Grecia e della Terra Santa, come allora si indicava la vastissima missione Ultramarina. Dal contenuto delle missive, che tratta la faccenda di un certo sacerdote Giovanni di Costantinopoli, convertitosi dal rito greco e accusato di aver fatto voto di abbracciare l’Ordine dei Minori nelle mani del suddetto frate Luca (‘in cujus vovisse manibus idem’), si evince che questi fosse a Roma nel 1220; che risolse la lite pacificamente in presenza del papa (‘... coram Nobis omni contra eum liti cedente’); che ricoprisse già l’incarico di superiore; e che dovette riferire al pontefice sullo stato della Chiesa greca e latina nella regione. Di lì a poco un paio di testimonianze scritte attestano la presenza di fra’ Luca di Puglia in Italia, supponendo, nell’ipotesi corrente, che egli sia logicamente tornato nella sua provincia natale di Puglia. Il riferimento più antico si trova nel Dialogus de gestis sanctorum fratrum minorum di Tommaso di Pavia (composto tra 1244 e 1247), dove è ricordato un fra’ Luca divenuto lector tra i frati di Puglia, e predicator solemnis. Anche se il contesto si riferisce ad una visione, è altamente improbabile che qui non si tratti proprio del frate bitontino.
Sul finire degli anni ’30 del secolo, per incarico ufficiale dei superiori dell’Ordine, fra’ Luca da Bitonto “fu costretto” a redigere una raccolta sistematica di Sermones Dominicales, cioè omelie concernenti tutto il ciclo delle domeniche e delle feste dell’anno liturgico, inclusa qualche ricorrenza feriale. È lo stesso autore dei Sermoni a precisare, nel Prologo, che l’opusculum – come lui chiama il libro –, fu scritto per comando del suo Ministro (‘mandato superioris urgente’) allo scopo di servire da modello per l’istruzione dei frati in formazione nelle diverse case dell’Ordine (‘qui rudibus et nondum exercitatis fratribus prodesse volui’), quasi fosse una sorta di “manuale pratico”.
Secondo l’opinione di Lombardo, “i sermoni di Luca da Bitonto, [...] così ricchi di riferimenti dotti e di problematizzazioni teologiche, riflettono una fase della vita minoritica sicuramente successiva alla cacciata di frate Elia (1239) e alla riorganizzazione dell’Ordine in senso clericale e dotto, sebbene ancora influenzato dalla presenza in vita dei compagni di Francesco e di chi conobbe, come forse accadde a Luca, l’Assisiate”. Dal tenore squisitamente francescano, il Prologo inizia con una citazione programmatica del Salmo 119 (118), 85: “Gli iniqui ci narrano favole, ma non così la tua legge, o Signore” (‘Narraverunt mihi iniqui fabulationes; sed non ut lex tua, Domine’). Esso illustra anche le strategie adottate nella stesura delle omelie e, sia pure succintamente, tratta delle quattro cause della Scrittura, della sua natura rivelata, della sua quadruplice interpretazione (storica, tropologica, anagogica e allegorica), della funzione ancillare delle altre discipline rispetto all’autorità delle Scritture, e di alcune regole basiche dell’omiletica. La collezione di Sermoni Domenicali è di gran lunga la principale opera grazie alla quale il frate bitontino è passato alla storia e, per contro, rappresenta anche, naturalmente, la fonte privilegiata per reperire informazioni sul suo autore. Essa include un numero variabile tra un massimo di 286 (secondo Schneyer), e un minimo di 150/160 omelie.
Come suggerisce Bert Roest, però, sia questo compito di scrivere l’opusculum di Sermoni per l’istruzione dei frati, come pure, probabilmente, il motivo per cui s. Francesco gli conferì il Provincialato d’Oltremare, risiedono entrambi nel fatto cha la notorietà di fra’ Luca come predicatore, con le sue indiscusse doti di cultura ed eloquenza omiletica, erano già acclarate quando egli era ancora vivente, e non viceversa.
A riprova vi sarebbe un episodio riportato dal contemporaneo fr. Salimbene da Parma (1221-c. 1290) nella sua Cronica (composta tra il 1283 e il 1287). Il cronachista riferisce che nel maggio del 1242 fra’ Luca Apulus ricevette il delicato compito di tenere l’omelia, nella cattedrale di Cosenza, in occasione dei solenni funerali del figlio ribelle di Federico II, Enrico, morto tragicamente gettandosi da un precipizio durante la sua prigionia. Malgrado Salimbene iscriva l’episodio sotto l’anno 1233, invece che 1242, ciò non depone a sfavore dell’attendibilità dell’avvenimento, che è generalmente accettato come una tipica digressione storica. Del resto, più generalmente, il racconto è posto sotto il pontificato di Gregorio IX (1227-1241). È piuttosto da notare il singolare tema dell’orazione funebre scelto da fra’ Luca – “Abramo afferrò il coltello per immolare suo figlio” (‘Arripuit Abraham gladium, ut immolaret filium suum’) –, incentrato su Genesi 22,10, per meglio dire, sul passo biblico che narra di Abramo in procinto di immolare il figlio Isacco. Un tema, questo, sostiene giustamente Maria Pia Alberonzi, “che si prestava a essere applicato a Federico II e alla sua responsabilità nella morte del figlio. Molti tra i presenti si convinsero che l’imperatore avrebbe punito con la morte il frate, invece il sovrano volle leggere il sermone e lo apprezzò”.
Certo, la presenza ormai stabile di Elia da Cortona nella cerchia dei consiglieri fidati di Federico II (dal 1239) avrebbe potuto garantire a fra’ Luca un minimo di immunità; ciò nonostante non va dimenticato che a seguito della seconda scomunica comminata da papa Gregorio IX all’imperatore (1239), i rapporti tra il sovrano e i Frati Minori si erano del tutto deteriorati. Nel 1240 Federico II aveva decretato l’espulsione di tutti i frati dal Regno, e il medesimo fr. Elia, precisamente in ragione dell’amicizia nei confronti dell’imperatore, era stato deposto dai vertici dell’Ordine ed egli stesso scomunicato dal papa nel 1240 (fino al 1250, poco prima di morire). In occasione dei funerali imperiali, dunque, incurante dei timori espressi dell’entourage federiciano – al dire di Salimbene, seriamente preoccupato che l’imperatore avesse potuto mozzare la testa a quel frate (‘Talia dicet hodie frater iste, quod imperator auferet ei caput’) –, il predicatore diede prova di un discreto coraggio, probabilmente confidando che la sua arte oratoria potesse suscitare apprezzamento da parte del sovrano, peraltro notoriamente sensibile alla bella eloquenza e, soprattutto, all’argomento della giustizia. Fortunatamente il sermone di fra’ Luca risultò particolarmente ben riuscito, e Salimbene conclude la narrazione dell’episodio commentando: ‘Nam ita pulcrum fecit sermonem iustitiam commendando, quod cum commendaretur coram imperatore, voluit ipsum sermonem habere’ (“Perciò [fr. Luca] fece un sermone così bello, raccomandando giustizia, che essendo stato consegnato alla presenza dell’imperatore, questi volle tenere per sé il [testo del detto] sermone”).
In un’altra pagina della Cronica, Salimbene dipinge un piccolo, benché estremamente vivace e lusinghiero, ritratto del frate bitontino, che evidenzia tutta la stima del cronachista nei confronti dell’eminente, erudita, confratello, e nel contempo costituisce la testimonianza coeva più importante a nostra disposizione sul profilo di questo personaggio.: “E poi viveva frate Luca di Puglia dell’Ordine di frati Minori, a cui memoria c’e un volume di Sermoni; egli fu scolastico, uomo di Chiesa e letterato, e in Puglia eminente dottore in teologia, che fu rinomato, solenne e famoso, la cui anima per la misericordia di Dio riposi in pace, amen”. Secondo lo storico dei Frati Minori di Puglia e Molise, p. Doroteo Forte, l’appellativo ‘ecclesiasticus’, usato qui dal cronista, starebbe ad indicare l’appartenenza di fr. Luca al clero secolare, già prima di entrare tra i discepoli di san Francesco. In un terzo passaggio, infine, Salimbene rinvia i lettori della Cronica al già ricordato libro dei Sermoni (‘require in illo sermone fratris Luce...’), da cui egli stesso trasse spunto per una sua omelia.
La morte di fra’ Luca di Puglia si colloca con un po’ di approssimazione nello stesso anno 1242, più probabilmente nel successivo 1243, o di lì ad uno strettissimo torno di tempo. Con un maggior margine di sicurezza, pertanto, allo stato delle conoscenze attuali, la redazione dei Sermones Dominicales va posta tra il 1237 e il 1243.
Grazie a quest’opera, Luca Apulus ha lasciato un patrimonio che, come scrive efficacemente Pierre Péano, denota una “cultura vera”, impregnata di una solida e raffinata esegesi biblica. “Lavoro decisamente rimarchevole per l’epoca”, i Sermones dimostrano “la perfetta maestria” dell’autore, “dovuta alla solidità della sua dottrina, basata su numerose citazioni bibliche e patristiche, occasionalmente anche improntate all’antichità e alla storia romana. La forma rimane scolastica, piuttosto rigida e didattica; le divisioni si presentano chiare e logiche. Celebra i meriti della vita religiosa, a volte sprezzante contro i chierici e i laici illetterati”.
Chi legge i Sermoni, ha osservato Felice Moretti, è colpito dall’alta frequenza di citazioni dirette o, più spesso, mascherate all’interno del discorso. Sicché il compito di accertarne la provenienza si prospetta alquanto arduo. Più esaurientemente, lo stesso Moretti e, di recente, Lombardo, hanno individuato una nutrita lista di autori tra quelli maggiormente citati dal frate bitontino. Tra i Padri latini sono inclusi: Agostino, Ambrogio, Anselmo, Beda, Bernardo, Girolamo, Gregorio, Leone Magno, Massimo di Torino e Ugo di San Vittore; mentre per i greci vi sono: Eusebio di Cesarea, Giovanni Crisostomo, Giovanni Damasceno e Gregorio Nazianzeno. Tra gli autori classici, figurano citazioni di Aristotele, Ovidio, Platone e Seneca. Le informazioni sul popolo ebraico e la Palestina sono tratte dalla traduzione perifrastica latina di Giuseppe Flavio (Hegesippus) e dalla Historia Scholastica di Pietro Comestor. Tra i “moderni”, infine, sono citati di preferenza Ugo di Saint Cher e Gioacchino da Fiore. Tutto ciò è evidentemente indicativo della vasta cultura, sia sacra che profana, dell’autore, il quale, commentava ancora Moretti, “potrebbe essere definito uno spirito di tendenza enciclopedica”.
Riguardo ai molteplici temi trattati, lo studioso rilevava inoltre che “i Sermoni di Luca da Bitonto costituiscono una fonte inesauribile di notizie che offrono allo storico la possibilità di cogliere gli aspetti più vivi della realtà medievale”. Essi comprendono, tra gli altri, le eresie, la corruzione del clero, i poveri, il mondo urbano, la borghesia mercantile, l’avarizia, l’usura, il tempo, e così via. Molto recentemente Jussi Hanska ha preso i sermoni di Luca Apulus come caso di studio sulla diffusione di quei topoi anti giudaici, così usuali nella predicazione mendicante.
Quanto allo stile, in virtù del quale i Sermones di fr. Luca godettero di un così ampio consenso — diremmo oggi, di critica e di pubblico —, tanto da divenire, in certa misura, perfino più popolari di quelli di s. Antonio di Padova, Bert Roest ne rimarca la rigorosa costruzione secondo il modello del sermo modernus appreso a Parigi, la cui struttura è studiata in dettaglio da Eleonora Lombardo. In genere si tratta di veri e propri commentari del Nuovo Testamento (epistole incluse) secondo le letture del giorno liturgico, ma con l’aggiunta di molte applicazioni pratiche, attraverso istruzioni dottrinali e morali, impartite con ampio ricorso alle tecniche oratorie (come le spiegazioni etimologiche, o simboliche) e, occasionalmente, con una certa attenzione agli aspetti sociali. Di particolare interesse storico sono i sermoni sui santi francescani (In festo translationis beati Francisci, De sancto Antonio confessore, De sancta Clara virgine, De festo sancti Francisci confessoris), anche se la loro attribuzione, secondo Rasolofoarimanana, sarebbe apocrifa.
Nella “Sezione terza: altre testimonianze francescane”, l’edizione italiana delle Fonti Francescane riporta un aneddoto, già incorporato nel Libro degli esempi dei frati minori del secolo XIII, di un ignoto raccoglitore della fine del XIII o inizi del XIV secolo, ma che è desunto dal sermone 36 di Luca da Bitonto (nell’incunabolo T 16 della Biblioteca Pubblica di Bruges, in Belgio): “Al tempo del beato Francesco, quando la divina bontà gettava le prima fondamenta del nostro Ordine, uno dei frati fu tentato di ritornare nel mondo. Si recò dal beato Francesco e lo supplicava con insistenza che lo sciogliesse dal vincolo della vita religiosa, perché capiva che non poteva farcela a rimanere. Ma il beato padre gli rispose che né voleva né poteva fare questo. Allora andò dal vescovo di Ostia, ma ne ebbe identica risposta. Vedendo che non c’era strada per strappare questa dispensa, cedendo alla tentazione, diresse altrove i suoi passi. Ma si era appena di poco allontanato, che gli si fece incontro un giovane e gli domandò dove andava. Poiché lui infuriato gli rispose: ‘Che importa a te dei fatti miei’, quel giovane subito scoprì il suo costato, aperse le mani dove si vedevano ferite quasi recenti per non poco sangue, e aggiunse: ‘Tu riapri le mie ferite, tu mi crocifiggi un’altra volta’. Spaventato a quella vista, si gettò ai suoi piedi piangendo e implorando il perdono. E subito colui che si era svelato scomparve dai suoi occhi. Allora egli ritornò dal beato Francesco, gli raccontò quanto aveva visto e rimase nell’Ordine fino al termine della sua vita con grande devozione” (Liber exemplorum fratrum minorum saeculi XIII, ed. Livario Oliger p. 269; traduzione in FF 2687).
L’aneddoto viene ricordato a sostegno della familiarità del frate di Puglia con san Francesco e con il primitivo movimento francescano. Allo stesso tempo rappresenta un ottimo caso di exemplum, cioè, stando alla definizione di Jacques Le Goff, di “un racconto breve dato come veritiero e destinato ad essere inserito nel discorso per convincere un auditorio con una lezione salutare”. Agli exempla i sermonisti medievali facevano ampio ricorso, e tra questi Luca Apulus decisamente non è una eccezione. Incuneati in posizione strategica, nel testo delle omelie analizzate da Lombardo, “essi sono introdotti per rendere più vivaci le denunce contro i vizi della società esposti nella trattazione principale o per esaltare le virtù dei buoni cristiani, impersonati per lo più dai santi padri della tradizione”. Sono almeno sei i passaggi dei Sermones che includono exempla incentrati su san Francesco. Essi non sembrano direttamente riconducibili alle note fonti agiografiche francescane, perciò potrebbero ragionevolmente derivare dalla personale esperienza del frate bitontino col santo di Assisi. (http://www.dabitonto.com).
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