religione

Sisma, riparare 1.263 chiese per evitare esodo

Redazione online ANSA / Roberto Salomone
Pubblicato il 30-11--0001

Corsa contro il tempo per salvare il campanile di Castelluccio di Norcia...» Le cronache del dopo terremoto sono di questo tenore: dopo aver pensato alle vittime e agli sfollati, si apre il capitolo dei monumenti danneggiati dal sisma del 24 agosto e ci si accorge che non c’è tempo; il generale Inverno incombe sui tetti scassati e sulle facciate pericolanti.

 

L’emergenza chiese ha tre risvolti: il ruolo religioso di edifici la cui inagibilità compromette la vita liturgica e pastorale delle comunità; il valore di un patrimonio storico-artistico che fino al 24 agosto alimentava l’industria turistica; la funzione sociale di spazi che hanno anche una dimensione identitaria e una capacità aggregativa e dai quali dipende la rinascita dei centri colpiti dal sisma. Tutto questo il governo lo sa.

 

Ciò che non sa nessuno è la reale entità del danno, perché il censimento procede a rilento, a causa dello sciame sismico ancora in atto. Per legge, si deve arrivare a una stima ufficiale entro tre mesi dal sisma, grazie all’ufficio nazionale dei beni culturali ecclesiastici della Cei, tuttavia, siamo in grado di stilare un primo e parziale elenco dei danni segnalati dalle diocesi.

 

Secondo questa mappa, che dettaglieremo nei prossimi mesi, man mano che le verifiche aggiungeranno nuovi dati, il terremoto ha lesionato 767 edifici religiosi nelle Marche (diocesi di Ascoli Piceno, Camerino-San Severino Marche, Ancona-Osimo, Senigallia, Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola, Fermo, Pesaro, Jesi, Loreto, Fabriano-Matelica, Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado, San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto e Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia), 102 in Umbria (diocesi di Spoleto-Norcia), 125 in Abruzzo (diocesi di Teramo-Atri), 269 nel Lazio (diocesi di Rieti), per un totale di 1263 tra chiese, conventi, campanili ed edifici adibiti al culto e alla pastorale. Molti edifici sono stati precauzionalmente chiusi, anche se solo per alcuni esiste già una dichiarazione di inagibilità.

 

INTERVISTA a don Valerio Pennasso, direttore dell'Ufficio nazionale dei beni culturali ecclesiastici della Conferenza episcopale italiana

Che danno ha provocato il terremoto del 24 agosto alle chiese del Centro Italia?

Non esiste ancora un censimento ufficiale, ma, in base alle segnalazioni provenienti dalle diocesi di Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo - risponde don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale dei beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana - oltre milleduecento edifici religiosi sono lesionati, pericolanti o crollati. Si tratta di un danno composito e che minaccia non soltanto il valore storico e artistico di questo patrimonio, ma anche la vita religiosa delle comunità: in molti paesi non si sa più dove celebrare l’Eucaristia. Purtroppo, non avremo un quadro preciso finché non si interromperanno le scosse telluriche.

 

Dunque esiste anche un’emergenza religiosa?

Dopo quella abitativa e scolastica, vi è l’esigenza di restituire alle popolazioni colpite dal terremoto delle strutture sicure, polifunzionali, in cui celebrare il culto e far ripartire l’attività pastorale, se davvero si vuole evitare uno spopolamento delle aree colpite dal sisma. Le Conferenze episcopali di quelle regioni ci stanno lavorando: l’obiettivo è ripristinare le condizioni di vita normali, riportando le lancette dei nostri orologi prima di quella tragica notte e lo si fa anche ricollocando una statua della Madonna sotto una tensostruttura.

 

Oltre agli immobili lesionati ci sono opere d’arte da salvare dalle macerie. Cosa si sta facendo?

Si lavora sodo e ci si sta organizzando per individuare un ricovero sicuro e locale. Insisto su entrambi questi requisiti: non basta che le testimonianze storiche della fede siano collocate in un luogo protetto, è necessario che questo sito si trovi nelle terre dove quelle statue, quei dipinti, quegli arredi sono sempre stati, perché sono un patrimonio religioso, culturale e identitario di quelle popolazioni. Inoltre, questi beni dovranno essere facilmente accessibili dalle diocesi, perchè in molti casi non si tratta solo di testimonianze artistiche, ma di strumenti pastorali: penso agli archivi parrocchiali, che devono essere conservati in siti accessibili dai parroci, visto che si continua a nascere, battezzarsi, sposarsi, ricevere i sacramenti.

 

Giovedì i vescovi delle diocesi colpite hanno incontrato il commissario Errani: si è capito quale ruolo avrà la Chiesa nella ricostruzione degli edifici religiosi?

Si pensa che verrà seguito il modello emiliano e che sarà difficile che le diocesi e le parrocchie appaltino i lavori. La nostra richiesta è che sia garantito alla proprietà il diritto di rappresentare, nell’ambito dei lavori di ricostruzione, le esigenze funzionali dell’edificio, che la legge non considera: in altre parole, non vogliamo sostituire l’ingegnere strutturista nel decidere quali interventi vadano effettuati per migliorare la risposta di una chiesa ad un terremoto, ma vogliamo che i tecnici tengano nel dovuto conto l’utilizzo liturgico e pastorale di quegli edifici. Anche su questo punto, il Ministero dei beni culturali sta dialogando efficacemente.

 

Ritiene che si debba ricostruire tutto com’era e dov’era?

Dopo le opere provvisionali e le verifiche di agibilità, cioè quando il quadro sarà completo, si porrà il problema delle risorse e delle priorità, che dovranno essere concordate con le diocesi, ma è evidente che se si vogliono mantenere le popolazioni sull’Appennino non si possa radere al suolo la loro storia di fede. Così come è necessario offrire loro delle alternative valide in caso di inagibilità. La ricostruzione durerà anni, nel frattempo le popolazioni debbono continuare a vivere e ciò significa anche avere una chiesa, un oratorio, un campanile.
(Avvenire-Paolo Vlana)

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