religione

Settimana di preghiera, Mons. Gnavi: 'Lungo cammino di speranza'

Mario Scelzo Unsplash
Pubblicato il 20-01-2021

Il tema è 'Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto'

"Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto" (Gv 15, 5-9) è il tema su cui, dal 18 al 25 gennaio, Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani, le diverse confessioni ecclesiali sono chiamate a riflettere, invocando più intensamente lo spirito di comunione. Abbiamo chiesto a Monsignor Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere, responsabile dell’Ufficio ecumenismo e dialogo interreligioso della Diocesi di Roma nonché membro della Comunità di Sant’Egidio (realtà da sempre attiva nel campo dell’ecumenismo e del dialogo, si pensi solo al recente incontro di Preghiera per la Pace che ha riunito al Campidoglio Papa Francesco, il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo e tanti altri autorevoli leader delle religioni), di approfondire le tematiche di questa settimana. 

Monsignor Gnavi, nell’anno della pandemia, c’è un messaggio particolare che nasce da questa settimana?

Il tempo che stiamo vivendo è un invito particolarmente serio perché fronteggiamo un tempo di crisi, nel quale si è inserita la pandemia, e l’unità è veramente una risposta alla separazione ed al distanziamento non solo fisico ma spirituale tra i cristiani, tra i popoli; questa settimana di preghiera per l’unità avvicina, noi cristiani delle diverse confessioni, alle attese di speranza di cui tutti siamo testimoni, le attese di consolazione  dei nostri fratelli più fragili, dei malati, degli anziani, comprendendo meglio la necessità di vivere il noi e non l’io, messaggio sempre ben presente nella predicazione di  Papa Francesco.

Nello specifico, come sta vivendo la Diocesi di Roma questa settimana di preghiera e riflessione?

La conclusione della settimana vedrà la presenza di Papa Francesco, che lunedì 25 gennaio, presiederà i Vespri nella Basilica di San Paolo fuori le mura alle ore 17.30. Ricordo che il 25 gennaio la Chiesa celebra la Festa della Conversione di San Paolo, apostolo delle genti, e, come ci ricordano i Padri Conciliari nella Unitatis Redintegratio, “Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione”.

Il 20 gennaio invece, a metà di questo cammino, si ritroveranno per una veglia diocesana nella Basilica di Santa Maria in Trastevere i rappresentanti delle diverse chiese; la predicazione sarà offerta dal vescovo armeno Khajag Barsamiam (Rappresentante della Chiesa apostolica dell’Armenia presso la Santa Sede) mentre la veglia sarà presieduta da S. Ecc. Mons. Paolo Selvadagi (Delegato diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso). Insieme a loro saranno presenti il vescovo del settore centro Daniele Libanori, il direttore del centro anglicano di Roma Jan Ernest, il vescovo romeno ortodosso Atanasie, Alessandra Trotta moderatrice della Tavola Valdese, la presidente dei Battisti italiani Mirella Manocchio e tanti altri rappresentanti delle diverse confessioni cristiane. Questa coralità è uno specchio che rifrange le diversità che convivono a Roma invitate tutte a farsi prossime insieme in unità agli uomini ed alle donne ferite del nostro tempo. 

Viviamo un periodo di confusione e di incertezza, cosa hanno da dire agli uomini ed alle donne del nostro tempo le diverse confessioni cristiane?

Io credo che questa settimana sarà un lungo cammino di speranza e ritengo che dalla preghiera possa nascere un atteggiamento di responsabilità e di apertura versi tutti.  Papa Francesco, nella sua enciclica Fratelli Tutti, esorta tutti noi credenti ad operare per trovare la via dell’unità perché il mondo creda; il mondo ha bisogno di credere, di reagire, di vedere un futuro illuminato dalla buona notizia che per noi cristiani è il Vangelo. 

Quali i segni liturgici che caratterizzeranno la Veglia Diocesana?

Lo schema di preghiera ci è stato suggerito dal Monastero Ecumenico femminile di Granchamp in Svizzera, realtà che ospita 50 donne provenienti da confessioni diverse che pregano insieme e testimoniano la loro adesione a Cristo, ed è uno schema molto articolato che si modulerà a seconda delle situazioni locali

I segni sono il silenzio, il dono della pace, e la luce di Resurrezione.  Vorrei citare una delle affermazioni più cogenti di Doroteo di Gaza (505 – 565), monaco e abate cristiano riconosciuto come santo dalla Chiesa ortodossa e dalla Chiesa cattolica: “Immaginate che il mondo sia un cerchio, che al centro sia Dio, e che i raggi siano le differenti maniere di vivere degli uomini. Quando coloro che, desiderando avvicinarsi a Dio, camminano verso il centro del cerchio, essi si avvicinano anche gli uni agli altri oltre che verso Dio. Più si avvicinano a Dio, più si avvicinano gli uni agli altri. E più si avvicinano gli uni agli altri, più si avvicinano a Dio» (Istruzioni VI).

I cristiani metaforicamente sono come i raggi, più si avvicinano al centro, più sono prossimi, più si allontanano più se ne distanziano, ognuno di noi è quindi chiamato ad avvicinarsi a Dio, da qui l’invito collegato al dettato di Giovanni 15, 5-9 “Rimanete in me e porterete molto frutto”.  

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