San Francesco a Costantinopoli
Nel cuore di Istanbul, vicino all’acquedotto di Valente, in una antica chiesa cristiana, oggi trasformata in moschea, la Kalenderhane Jamii, durante una campagna di scavi condotta dall’archeologo Cecil Striker e dal professor Kuban, negli anni sessanta, fu scoperta una piccola cappella obliterata che conteneva un ciclo di affreschi dedicati a San Francesco di Assisi. Gli affreschi furono staccati, in parte ricomposti ed esposti nel Museo archeologico della città. Lo stesso archeologo si accorse dell’eccezionalità delle pitture sottolineando lo scavo psicologico e il naturalismo delle figure e le attribuì al periodo latino come del resto, le vicende storiche sembrerebbero suggerire.
Il complesso pittorico era organizzato come le tavole diffuse già nella prima metà del XIII secolo. Vi era la figura del Santo al centro con ai lati le scene legate alle sue vicende. Gli affreschi come è facilmente intuibile erano molto deteriorati per cui furono, dopo pochi anni dal ritrovamento restaurati e, come già anticipato, esposti in una teca al museo della città. Della figura del Santo di Assisi non è rimasto molto: gli occhi intensi ed espressivi, una mano che regge un libro aperto e, dall’altra parte, un piccolo scudo. Mentre la figura è vista di fronte,lo scudo è posto di tre quarti e presenta dei motivi decorativi a forma di raggi che partono da un anello centrale ,dipinto illusionisticamente a rilievo, dove possiamo scorgere una piccola croce bianca. Tutto è reso con un chiaroscuro morbido che definisce perfino il margine dello scudo con la superficie girata verso l’interno. Per quello che sappiamo non esiste una iconografia come questa riconducibile a San Francesco. Sappiamo però che Giacomo da Vitry, riecheggiando San Paolo (Cfr, Ef 6,13), nella sua lettera del 1220 (Historia occidentalis, capitolo 32) parla del Santo andato davanti al Sultano armato solo dello “scudo della Fede”.
Nel XIII secolo era diffusa una tipologia di scudo per uso urbano, chiamato brocchiero che aveva uno spunzone al centro con cui difendersi da eventuali assalti. Nel nostro caso non vi è uno spunzone, ma una piccola croce che sembra pendere da una sorta di girari irti di spine che avvolgono ciò che resta del polso di Francesco. L’eccezionalità dell’iconografia è accompagnata dal linguaggio pittorico delle scene in grado di definire la forma con il modellato accurato e morbido che, nei volti e nelle figure, ha la capacità di realizzare lo”scavo psicologico e il naturalismo”. Là dove vi sono le architetture queste ambientano le scene e, con l’uso della linea obliqua suggeriscono evidentemente spessore e profondità. In alcuni casi, come nella scena che abbiamo identificata come quella in cui viene proclamata la canonizzazione di San Francesco vi è in chiaro riferimento ad Assisi e a San Rufino che, nel 1228, pur avendo consacrato l’altare, non aveva ancora terminata la facciata. Ciò che sorprende è, dunque, non solo la presenza di un santo occidentale a Costantinopoli, ma il linguaggio che nella prima metà del ‘200 è del tutto inconsueto.
A venirci in aiuto è una scritta che si trova sull’arco di ingresso della Cappella: DOMINE DILEXI DECOREM DOMUS TUAE ET LOCUM HABITATIONIS GLORIAE TUAE (o Signore amai la bellezza della tua dimora e il luogo sede della tua gloria) che richiama quanto Buonaventura da Bagnoregio scrive nel III capitolo della Legenda Maior: NELLA CHIESA DELLA VERGINE MADRE DI DIO DIMORAVA,DUNQUE, IL SUO SERVO FRANCESCO E SUPPLICAVA INTENSAMENTE COLEI CHE CONCEPI’ IL VERBO PIENO DI GRAZIA. Proprio al vertice del complesso pittorico e, quindi, sopra San Francesco vi è la Vergine con il Bambino fiancheggiata da due angeli. Per quanto ne sappiamo anche questa iconografia è inconsueta: conosciamo quella in cui San Francesco è sormontato dagli angeli, ma non quella in cui vi è anche la presenza della Vergine, Madre di Dio. La presenza del pensiero di Buonaventura crediamo di averla individuata anche in una scena posta in alto al lato della figura del Santo dove Francesco campeggia su un fondo azzurro intenso con le braccia appena sollevate in atto di “galleggiare”. Sullo sfondo appare, insieme al nome del Santo, anche una parola che con una certa difficoltà è possibile identificare con la parola Karruca. Buonaventura nel capitolo II della Legenda Minor scritta pochi anni prima della Legenda Maior, dove si parla della fondazione dell’Ordine, racconta di San Francesco che apparse ai sui fratelli come assorbito da una luce vivificante. L’uso della parola Karruca e la sua presenza al posto dell’immagine di un carro o dell’uso della parola currus indicano metaforicamente l’importanza del suo operato in relazione all’Ordine a cui aveva dato origine.
Così riferire a Buonaventura, il pensiero ispiratore dell’intero complesso, spiega bene la modernità del linguaggio pittorico difficilmente attribuibile al periodo latino.Le vicende storiche di quel tempo non sembrano contraddire la nostra ipotesi dato che MicheleVIII si servì dei francescani per cercare l’unione con Roma e che Gregorio X, appena avuta la notifica della sua elezione a Pontefice, in una lettera inviata al Basileus, affermò che nessun Pontificato avrebbe appoggiato l’unione come il suo. Buonaventura aveva sostenuto l’elezione di Tebaldo Visconti,credeva nell’unione e partecipò al Concilio di Lione del 1274.LuigiIX ,protettore dei Francescani aveva ricevuto diverse delegazioni inviate dal Paleologo affinchè lo aiutasse a trovare un accordo con l’Occidente,era entrato in possesso della Corona di Spine ed era morto nel 1270 proprio quando una delegazione bizantina lo aveva raggiunto a Tunisi. E’ un omaggio al sovrano francese la “cordicella” che crediamo di intravedere avvolta intorno al polso di S. Francesco? Alcuni ritengono che la Corona di Spine fu realizzata i rami del Paliurus Spina Cristi, pianta irta di aculei che cresce in Palestina. A supportare la nostra idea circa il legame esistente tra gli affreschi ritrovati nella piccola Cappella e i tentativi di Unione vi è anche la presenza di due personaggi dipinti con proporzioni gerarchiche all’ingresso. Quasi facessero da” ospiti” si presentano con un linguaggio pittorico astratto diverso da quello delle storie francescane che hanno chiari riferimenti alla pittura umbro-toscana della immediata seconda metà del XIII secolo non ignara della pittura romana antica.
La Cappella fu chiusa, quando falliti i tentativi di conciliazione e scomunicato. Michele VIII, non aveva più motivo di esistere, ma abbiamo motivi per credere che la presenza di una chiesa dedicata a San Francesco, nel cuore di Costantinopoli, sia rimasta fino alla conquista ottomana. Nello spazio che una volta ospitava gli affreschi vi sono rimaste due Opere che dovrebbero essere salvate dall’incuria e dal degrado. Gli archeologi le hanno lasciate in loco, probabilmente pensando che non fossero legate al ciclo francescano. Vi è un bellissimo mosaico con San Michele Arcangelo e una nicchia con la Kyriotissa a cui è stato sfregiato il volto. La nostra ricerca e l’analisi delle pitture ci hanno portato a credere che anche queste due immagini dovevano far parte dello stesso programma come del resto l’affresco che si trovava sulla parete esterna che rappresenta la Vergine affiancata da Gabriele e da un santo che sembra essere proprio Francesco d’Assisi. Colui che si fosse trovato ad entrare nella Chiesa che Striker definisce della Kyriotissa si sarebbe trovato davanti l’immagine della Madre di Dio con il manto di porpora fiancheggiata dal Santo di Assisi e dal messaggero dei Cieli Gabriele, affrescati sulla parete esterna dell’endonartece. Entrando sarebbe stato accolto dalla figura monumentale dell’Arcangelo Michele presentato con un mosaico nello spazio riservato alle offerte: il diaconico. La sacra figura apriva la strada indicandola con il palmo della mano, sia verso lo spazio della chiesa bizantina, probabilmente quella del monastero di Cristo l’Inconoscibile, sia verso la cappella francescana. Prima di arrivare qui avrebbe incontrato la piccola cappella con la nicchia in cui era affrescata, nuovamente, la Madre di Dio che aveva ai piedi un personaggio in atto di reggere un cartiglio: una probabile lettera
Finalmente arrivato davanti alla cappella di S. Francesco sarebbe stato accolto dai due Santi Ortodossi e avrebbe potuto leggere la scritta DOMINE DILEXI DECOREM DOM(US) TUAE... O SIGNORE AMAI IL DECORO DELLA TUA CASA E IL LUOGO SEDE DELLA TUA GLORIA. Entrando sarebbe stato accolto dalla presenza spirituale, viva e vera, di Francesco che dipinto con proporzioni gerarchiche come i personaggi delle sacre icone, armato dello scudo della fede, avrebbe sottolineato il valore della Conciliazione attraverso le immagini illustrate di lato. Alzando lo sguardo sopra la testa di Francesco l’immagine della Teothocos con i due angeli che la fiancheggiavano, avrebbe ricordato le parole di Bonaventura da Bagnoregio: NELLA CHIESA DELLA VERGINE MADRE DI DIO DIMORAVA, DUNQUE IL SUO SERVO FRANCESCO E SUPPLICAVA INSISTENTEMENTE GON GEMITI CONTINUI COLEI CHE CONCEPI’ IL VERBO PIENO DI GRAZIA E DI VERITA’. Avrebbe pensato, così, all’amore di Francesco per la Maria la Chiesa, “palazzo” di Cristo e fondamento della Fede comune. Questo breve scritto altro non è che un brevissimo estratto del nostro lavoro di ricerca. Man mano che procedevamo con il nostro studio e con la lettura delle immagini, nuovi scenari si aprivano e si intrecciavano con eventi storici che raccontavano dei personaggi più importanti del XIII secolo. Abbiamo camminato con la mente per le vie di Costantinopoli alla ricerca di palazzi, di vie, di colonne che non ci sono più. Lentamente siamo arrivate a pensare che la presenza francescana a Costantinopoli avesse avuto un ruolo fondamentale di mediazione nella riunificazione delle due chiese, che l’Ordine avesse addirittura un convento nel centro di Costantinopoli e che a San Francesco fosse dedicata una grande basilica che forse continuò ad essere officiata con rito cattolico, come altre chiese, anche dopo il fallimento della riunificazione. Crediamo che il loco con il ciclo pittorico fu obliterato immediatamente dopo il Concilio di Lione e che l’intero spazio fu dipinto nuovamente per cancellarne le tracce. Perché tutto questo? Questa domanda ci ha portato a considerare che questo ciclo pittorico e il luogo stesso dove era posto dovevano aver rappresentato qualcosa di diverso, considerato pericoloso, che doveva essere dimenticato. Di qui l’idea che il loco non avesse solo la funzione di spazio di culto bensì luogo di incontro ecumenico e che le pitture dovevano essere state commissionate ad un artista o artisti in grado di trasmettere un messaggio forte e nuovo.
Graziella Vecchieschi
Cecilia Innocenti
Anna Maria Cardini
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