Quindici nuovi preti a Milano, le vocazioni nate in oratorio
Sono compresi in una fascia di età che va dai 24 ai 33 anni, la maggior parte di loro ha compiuto il percorso seminaristico tradizionale, affrontato dopo aver maturato la vocazione in parrocchia e frequentato l’oratorio, magari nei paesi grandi e piccoli dove sono nati, soprattutto in Brianza. Insomma, i 15 giovani (quest’anno lo sono tutti davvero) che diventeranno nuovi sacerdoti ambrosiani questo sabato 8 giugno, con il conferimento dell’ordinazione presbiterale, in Duomo alle 9, da parte dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, non hanno - apparentemente - storie particolari o uniche da raccontare.
Eppure la loro non è un’unica storia, perché si è colorata, negli anni, di esperienze diverse, di tappe di crescita personali, di un discernimento che ognuno ha vissuto, anzitutto, nel proprio intimo e in dialogo con il Signore. Una classe di "Messa" gioiosa, affiatata, allegra, di gente, insomma, che è convinta del motto che ha scelto, «Siate lieti nella speranza», con la famosa espressione paolina della Lettera ai Romani. «È una Classe di giovani, appunto, che ci fa comprendere che la nostra arcidiocesi è ancora capace di generare fede e vocazione. Infatti, tutti hanno vissuto il cammino all’interno della Chiesa ambrosiana, a partire dalla parrocchia e dall’oratorio, anche con l’esperienza in associazioni e movimenti, ma profondamente inseriti all’interno dell’arcidiocesi", spiega il rettore del Seminario arcivescovile, monsignor Michele Di Tolve.
Il rapporto con la parrocchia e con l’oratorio, rimane fondante?
Sì, basti pensare che, ancora oggi, nel nostro Seminario ambrosiano, il 96% dei seminaristi proviene dall’esperienza della comunità parrocchiale e, in particolare, dell’oratorio per quanto riguarda i cammini giovanili.
Certamente vi è più curiosità laddove - come è successo negli anni scorsi - arrivano al sacerdozio persone di età adulta che hanno lunghe esperienze diverse alle spalle. Eppure anche i 15 ordinandi 2019 delineano un mondo composito che è lo specchio di oggi.
Tra loro ci sono giovani che hanno lavorato prima di entrare in Seminario, quattro sono laureati e mi sembra interessante ricordare che uno è stato anche docente al Politecnico di Milano e un altro ha insegnato la religione cattolica per 5 anni nelle scuole. Eppure, entrambi in questi ruoli, non hanno fatto mai mancare il riferimento territoriale e l’impegno pastorale. Questo è il punto-chiave: il riferimento fondamentale è, ed è stata sempre, la vita della Chiesa ambrosiana.
Quale è la speranza del rettore ed esiste, magari, un timore?
La speranza è che la loro dedizione pastorale si incarni nella dedizione intelligente e appassionata al popolo di Dio. Il timore che porto nel cuore è che tutti - compresi noi preti e, soprattutto, le nostre comunità cristiane - si preoccupino di vedere la resa immediata del loro impegno, piuttosto che accompagnarli, secondo i tempi e le modalità di cui hanno bisogno. Penso che sia bello non avere fretta, non "correre", non pretendere che, immediatamente, ciascuno di loro sia l’inventore di chissà quale pastorale, anche perché, in Seminario, abbiamo costantemente detto loro che la più grande invenzione pastorale è camminare insieme, condividere, vivere una fraternità apostolica a tutto campo, con i presbiteri, con i diaconi, con i religiosi, le religiose e con i laici. Soltanto se una Chiesa si mette in ascolto dello Spirito e, contemporaneamente, si lascia interrogare da quello che accade nella realtà, è una Chiesa che davvero può affrontare le difficoltà. AVVENIRE
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