Prosegue ad Abuja la Conferenza contro la tratta degli esseri umani in Africa
Prosegue ad Abuja, in Nigeria, la Conferenza contro la tratta degli esseri umani in Africa, promossa da Caritas Internationalis. Dal dibattito sta emergendo fortemente la necessità di un intervento globale per far fronte alle nuove schiavitù, favorite anche dal moltiplicarsi dei conflitti nel continente. Giancarlo La Vella ha intervistato il direttore di Caritas Internationalis, Michel Roy:
R. – La prima cosa è il fatto che questo fenomeno è divenuto una cosa immensa; secondo, che ci sono tante vittime nel mondo: qui siamo in Africa, abbiamo voluto fare questa conferenza qui, perché, specialmente dalla Nigeria, tante donne partono e poi sono usate e abusate. Però, sono presenti anche vittime dell’Asia, dell’America e dell’Europa e questo dimostra la capacità che abbiamo, come rete di organizzazioni cristiane, ma anche di altre fedi, di lavorare insieme per combattere questo fenomeno che è un fenomeno mondiale.
D. – Stanno venendo fuori i veri motivi dello svilupparsi di questo fenomeno?
R. – La tratta è il risultato dell’estrema povertà. Qualsiasi siano le ragioni, abbiamo di fronte a noi gli obiettivi di sviluppo sostenibile posti dalle Nazioni Unite, che prevedono il dare la possibilità a molta più gente di rimanere a casa propria e di sviluppare il proprio benessere localmente; secondo, è importante lavorare sulla dignità umana: la percezione del valore della persona non è ritenuta cosa importante, ancora; questo apre al pensiero che sia lecito usare persone come fossero “cose” in questa cultura – come dice Papa Francesco – dell’indifferenza. Allora bisogna fare questa rivoluzione per rimettere al centro la persona umana. La sua vulnerabilità non dev’essere un’opportunità per altri di guadagnare soldi: dev’essere una possibilità di crescere come famiglia umana.
D. – Perché c’è poca attenzione nel mondo, soprattutto a livello mediatico?
R. – Penso che l’indifferenza sia la causa principale. Ognuno è preso dai propri problemi. Vediamo il caso di Amatrice: due settimane dopo il terremoto, chi pensa ancora alle vittime?
D. – Nell’immediato, si possono mettere in piedi degli interventi – chiaramente con l’aiuto della Chiesa che da sempre fa da megafono – per risolvere queste emergenze?
R. – Bisogna lavorare di più con le autorità degli Stati, con la comunità internazionale, perché questo, che è riconosciuto come crimine dal diritto internazionale, sia veramente perseguito. Bisogna operare non solo localmente, ma anche a livello nazionale e internazionale, nel campo della legge. (Radio Vaticana)
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