Parte l'anno giubilare del martire Romero
«La dignità della persona è ciò che per prima cosa dobbiamo liberare ». Con queste parole – appuntate in cima al foglio che era solito tenere con sé sul pulpito –, Óscar Arnulfo Romero intitolò la prima parte della più conosciuta delle sue omelie, quella del 23 marzo 1980. In quell’occasione, fece un pubblico appello ai militari e poliziotti perché rifiutassero di assassinare a sangue freddo e torturare i propri compatrioti. Il giorno successivo, mentre celebrava la Messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, l’arcivescovo di San Salvador fu assassinato con un proiettile al cuore.
Anche se la morte del “pastore scomodo” non fu di certo improvvisata in 24 ore è altresì probabile – come scrive Alberto Vitali in “Óscar A. Romero, pastore di agnelli e di lupi” (Paoline) – che la predica del 23 marzo abbia “accelerato i tempi” dell’omicidio. O meglio del martirio in odio alla fede, come ha stabilito la Chiesa che, il 23 maggio 2015, ha proclamato Romero beato.
Da quelle stesse parole profetiche sulla dignità di ogni essere umano, ora, El Salvador ha deciso di iniziare il percorso dell’Anno giubilare, organizzato in occasione del centenario della nascita dell’arcivescovo-martire. L’iniziativa – annunciata solennemente dal terzo successore di quest’ultimo, José Luis Escobar Alas – si concluderà il 15 agosto 2017, a cento anni esatti dalla sua venuta alla luce, a Ciudad Barrios.
In realtà, già da tre anni, la Chiesa salvadoregna invita e accompagna i fedeli in un percorso di crescita spirituale sulle orme di Romero. Una figura capace di “inquietare” le coscienze e “provocarle” alla conversione, ora come nei convulsi anni Settanta. Eppure ancora oggetto di critiche da quanti si sentivano “minacciati” dal suo “sogno” evangelico di un Salvador meno ingiusto e più fraterno. In cui i poveri – la gran maggioranza della popolazione – smettessero di essere senza voce e diritti. Per questo, i vescovi hanno proposto un cammino di riscoperta del pensiero romeriano nella sua integralità.
Ogni anno, la riflessione si è concentrata su un aspetto specifico. Nel 2014, i credenti sono stati chiamati a conoscere “Romero, uomo di Dio”. L’anno successivo, il filo rosso è stato “Romero, uomo di Chiesa”. Stavolta, verrà approfondita l’opzione per i poveri di Monseñor, come con affetto lo chiamano i salvadoregni. Ciascun mese di quest’Anno giubilare, a sua volta, si incentra su un diverso aspetto di tale elemento-cardine del pensiero e dell’azione del primo beato del più piccolo Paese d’America. Perché, come affermò a Lovanio, durante la cerimonia per il conferimento della laurea honoris causa, «i poveri son coloro che ci dicono che cosa è il mondo e quale servizio deve prestare la Chiesa nel mondo». Il che non «polarizza né divide la società» poiché tutti i gruppi sociali sono invitati «ad assumere come propria la causa dei poveri», in quanto «è la stessa causa di Cristo».
Un agile dossier-guida, diffuso in tutte le parrocchie, aiuta a sviluppare la riflessione a partire dalle parole – contenute nelle omelie, nei discorsi e nelle lettere pastorali – dell’arcivescovo. Il prossimo agosto, a conclusione del cammino, lo spunto parte da una frase dell’11 novembre 1979. «C’è stato molto clamore per la notizia di una minaccia nei miei confronti. Voglio rassicurarvi e vi chiedo di pregare perché sia fedele alla promessa che vi faccio: non abbandonerò il mio popolo», disse Romero durante la Messa. Un messaggio di speranza per la nazione, straziata attualmente da una ferocia senza precedenti, tanto da essere la più violenta al mondo. Perché Monseñor – come ha auspicato monsignor Vincenzo Paglia, postulatore della causa di beatificazione – continua a camminare sulle strade insanguinate di El Salvador. E con lui il Vangelo. (Avvenire-Lucia Capuzzi)
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