religione

Papa Francesco: pena di morte, no alle esecuzioni arbitrarie

IACOPO SCARAMUZZI Web
Pubblicato il 18-12-2018

Papa Francesco torna ad esprimersi sui temi della giustizia

Il rifiuto della pena di morte, sancito ormai dal Catechismo, e l’auspicio che quei Paesi che ancora non l’hanno abolita ma hanno almeno adottato una moratoria sulle esecuzioni, sospendano anche le sentenze capitali: Papa Francesco torna ad esprimersi sui temi della giustizia, in occasione dell’udienza alla Commissione Internazionale contro la Pena di Morte, ricevuta nel giorno in cui l’assemblea generale delle Nazioni Unite vota su una risoluzione che fa appello ad una moratoria mondiale sulla pena di morte.

Jorge Mario Bergoglio ha denunciato, inoltre, le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, «fenomeno deplorevolmente ricorrente in Paesi con o senza la pena di morte legale» spacciato dalle autorità come il «risultato di scontri con presunti trafficanti» o la conseguenza «indesiderata» della forza usata «per proteggere i cittadini» ma si configura invece, spiega il Papa alla luce di San Tommaso d’Aquino, un «crimine di Stato».

Nata a Madrid nel 2010 per iniziativa del Governo spagnolo per favorire l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo, la International Commission against the Death Penalty ha visto l’adesione di 18 Paesi da ogni continente.

«La certezza che ogni vita è sacra e che la dignità umana deve essere custodita senza eccezione, mi ha condotto, fin dall'inizio del mio ministero, a lavorare a diversi livelli per l'abolizione universale della pena di morte», afferma Papa Francesco nel testo scritto in spagnolo consegnato alla Comisión Internacional contra la Pena de Muerte, mentre nel corso dell’udienza privata ha loro rivolto a braccio un breve discorso. Dopo aver ricordato il discorso al Congresso degli Stati Uniti il 24 settembre 2015 , una lettera scritta all’ex presidente della commissione Federico Mayor il 19 marzo 2015, nonché i discorsi pronunciati il 30 maggio 2014 e il 23 ottobre 2014 su questi temi, il Pontefice argentino ricorda, infine, la nuova formulazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica che ha disposto ad ottobre 2017 : «La riforma del testo del Catechismo nel punto dedicato alla pena di morte – puntualizza Francesco – non implica alcuna contraddizione con l'insegnamento del passato, perché la Chiesa ha sempre difeso la dignità della persona umana. Senza dubbio, lo sviluppo armonico della dottrina impone la necessità di rispecchiare nel Catechismo il fatto che, ferma restando la gravità del crimine commesso, la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è sempre inammissibile perché attenta all'inviolabilità e alla dignità della persona».

Allo stesso modo, «il Magistero della Chiesa ritiene che le punizioni perpetue, che rimuovono la possibilità di una redenzione morale ed esistenziale, a favore del condannato e della comunità, sono una forma di pena di morte occulta», ribadisce inoltre il Papa : «Dio è un Padre che attende sempre la ritorno del figlio che, sapendo di aver commesso un errore, chiede perdono e inizia una nuova vita. A nessuno, dunque, può essere tolta la vita e la speranza della sua redenzione e riconciliazione con la comunità».

In giorni in cui in Pasi come il Brasile si torna a parlare di reintroduzione della pena di morte, il Papa allarga poi lo sguardo sottolineando che «proprio come è accaduto in seno alla Chiesa, è necessario che nel concerto delle nazioni si prenda un analogo impegno. Il diritto sovrano di tutti i Paesi il proprio ordinamento giuridico non può essere esercitato in contraddizione con gli obblighi che le corrispondono in virtù del diritto internazionale, né può rappresentare un ostacolo al riconoscimento universale della dignità umana. Le risoluzioni delle Nazioni Unite sulla moratoria sull'esercizio della pena di morte, che intendono sospendere l'applicazione della pena di morte negli Stati membri – specifica il Papa – sono un cammino che deve essere percorso senza che ciò implichi una rinuncia all'iniziativa dell’abolizione universale. In questa occasione – prosegue – vorrei invitare tutti gli Stati che non hanno abolito la pena di morte ma che non la applicano di continuare a rispettare questo impegno internazionale e ad assicurare che la moratoria non si applichi solo all'esecuzione della pena ma anche all'irrogazione di sentenze di morte. La moratoria non può essere vissuta dal condannato come un mero prolungamento dell’attesa della sua esecuzione».

E quanto «agli Stati che continuano ad applicare la pena di morte, li prego – scrive ancora il Pontefice argentino – di adottare una moratoria con l’obiettivo dell'abolizione di questa forma crudele di punizione. Mi rendo conto che per ottenere l'abolizione, obiettivo di questa causa, in alcuni contesti può essere necessario passare attraverso processi politici complessi. La sospensione delle esecuzioni e la riduzione dei reati punibili con la pena capitale, così come il divieto di questa forma di punizione per i minori, le donne incinte o le persone con disabilità, sono obiettivi minimi ai quali i leader di tutto il mondo devono impegnarsi».
 

Jorge Mario Bergoglio prosegue poi il lungo testo richiamando «ancora una volta l'attenzione» sulle «esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, che sono un fenomeno deplorevolmente ricorrente in Paesi con o senza la pena di morte legale. Si tratta di omicidi deliberati commessi da agenti statali, che vengono spesso fatti passare come il risultato di scontri con presunti trafficanti o sono presentati come conseguenze indesiderate del ragionevole, necessario e proporzionale uso della forza per proteggere i cittadini».

Il Papa parte dal Catechismo della Chiesa cattolica, numero 2264, per spiegare che «l'amore per se stessi costituisce un principio fondamentale della moralità. È, quindi, legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita, anche quando per essa sia necessario infliggere all’aggressore un colpo mortale. La legittima difesa – prosegue il Papa citando il numero 2265 – non è un diritto ma un dovere per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige di porre l’aggressore in situazione di non poter causare pregiudizio. Per questo motivo, coloro che hanno legittima autorità devono respingere ogni aggressione, anche attraverso l'uso di armi, sempre che ciò sia necessario per la conservazione della propria vita o della vite delle persone che sono loro affidate». Di conseguenza, «qualsiasi uso della forza letale che non sia strettamente necessario a questo fine può essere considerato solo come un'esecuzione illegale, un crimine di Stato», scrive il Papa, che, sottolineando come «ogni azione difensiva, per essere legittima, deve essere necessaria e misurata» cita al proposito la Summa tehologiae di San Tommaso d'Aquino: «Un tale atto, per quanto riguarda la conservazione della propria vita, non ha nulla di illecito, poiché è naturale per ogni essere preservare la propria esistenza il più a lungo possibile. Senza dubbio, un atto che deriva da una buona intenzione può diventare illecito se non è proporzionato al fine. Di conseguenza, se uno, per difendere la propria vita, usa più violenza di quella di cui ha bisogno, questo atto sarà illecito. Ma se rifiuta moderatamente l’aggressione, la difesa sarà lecita, e inoltre, ai sensi del diritto, è lecito respingere la forza con la forza, modulando la difesa in base alle necessità della sicurezza minacciata».

Il Papa conclude il testo rilevando che «le riflessioni nel campo giuridico e della filosofia del diritto si sono tradizionalmente occupate di coloro che feriscono o interferiscono con i diritti altrui. Meno attenzione è stata prestata all'omissione di aiutare gli altri quando possiamo farlo. È una riflessione che non può più aspettare. I principi tradizionali della giustizia, caratterizzati dall'idea del rispetto dei diritti individuali e della loro protezione da ogni interferenza da parte di altri devono essere integrati con un'etica della cura», prosegue Francesco. «Nel campo della giustizia penale, ciò implica una maggiore comprensione delle cause dei comportamenti, del loro contesto sociale, della situazione di vulnerabilità dei trasgressori della legge e della sofferenza delle vittime. Questo modo di ragionare, ispirato alla misericordia divina, dovrebbe condurci a contemplare ogni caso concreto nella sua specificità, e a non accontentarci di numeri astratti di vittime e carnefici».

In questo modo, è possibile affrontare i problemi etici e morali che derivano dal conflittualità e dall'ingiustizia sociale, comprendere le sofferenze delle specifiche persone coinvolte e trovare altri tipi di soluzione che non approfondiscano questi sofferenze. Potremmo dirlo con questa immagine: abbiamo bisogno di una giustizia che oltre che padre sia anche madre» sottolinea il Papa, citando la Laudato si’ per evidenziare come «i gesti di reciproca cura, caratteristici dell'amore che è anche civile e politico, si manifestano in tutte le azioni che intendono costruire un mondo migliore». Richiamando la Caritas in veritate di Benedetto XVI sottolinea che «l'amore per la società e l'impegno per il bene comune sono una forma eccellente di carità, che non riguarda solo le relazioni tra individui, ma anche “le macrorelazioni, come ad esempio le relazioni sociali, economiche e politiche”».

L'amore sociale, è la conclusione del Papa, «ci spinge a pensare a grandi strategie che incoraggino una cultura della cura nei vari ambiti della vita comune. Il lavoro che voi fate fa parte di questo sforzo al quale siamo chiamati», rimarca Francesco ribadendo l’impegno della Chiesa, della Santa Sede, di tutti gli uomini e le donne di buona volontà e – quale «dovere» – di coloro che condividono la vocazione cristiana del Battesimo ad eliminare la pena di morte.

La delegazione della Commissione Internazionale contro la Pena di Morte, che dopo il Papa ha incontrato il cardinale Segretari di Stato Pietro Parolin, era composta dal presidente Navanethem (Navi) Pillay, sudafricana, ex commissaria Onu per i diritti umani, la segretaria generale Assunta Vivo Cavaler (Spagna), e dai commissari Ibrahim Najjar (Libano), Gloria Macapagal-Arroyo (ex presidente delle Filippine, paese dove il tema delle esecuzioni extragiudiziali è al centro del dibattito), Tsakhiagiin Elbegdorj (Mongolia), Bill Richardson (Stati Uniti), Ivan Simonovic (Croazia), ed era accompagnata da Roberto Manuel Carles dell’associazione latino-americana di diritto penale e crimonilogia. (Vatican Insider).


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