religione

PAOLETTI: NATALE, LO STUPORE DI FRANCESCO

Padre Domenico Paoletti Archivio fotografico Sacro convento di Assisi
Pubblicato il 24-12-2017

Il Natale deve essere un giorno diverso dalla quotidianità, deve essere speciale, altrimenti non sarà mai Natale

Una delle poche omelie che ricordo è quella ascoltata diversi anni fa il giorno di Natale. Il pastore iniziò e terminò con queste precise parole: “Che dire? È Natale!”.

Va detto, per esattezza, che celebrava davanti a un’assemblea di sordomuti, che perciò richiedeva silenzio eloquente e non parole che comunque non avrebbe potuto udire. Nella sua lapidaria essenzialità, quell’omelia era nello stesso tempo esclamazione di stupore indicibile dinanzi al mistero e provocazione a reagire contro un troppo parlare-sparlare del Natale, che conduce a smarrirne la radicale novità.

Che cosa farebbe oggi Francesco, il cristiano che considerava il Natale del Signore la festa delle feste? Conoscendo il suo amore appassionato per Gesù Cristo, sentiamo che ri-centrerebbe il Natale sul mistero dell’incarnazione dei Figlio di Dio. La cosa che più stava a cuore a Francesco, tanto da voler coinvolgere tutti gli esseri umani e tutto il creato nel gioioso rendimento di grazie, è la radicale affermazione dell’identità di Gesù, Dio venuto in mezzo a noi.

“Oggi - affermava il cardinale G. Biffi - tutti mangiano il panettone a Natale, ma non tutti sanno perché”.  In un contesto di globalizzazione, di migrazioni di popoli, di incontri tra religioni, di secolarismo ricurvo sull’immanenza, non ci si meraviglia profondamente del Natale perché non si riesce ad accoglierlo e riconoscerlo nella sua novità assoluta.

La questione oggi è comprendere ed annunciare la divino-umanità di Gesù che nasce da Maria a Betlemme. Francesco ci ricorda che Gesù è veramente uomo, un volto che si incontra e si contempla; ma è anche Dio, che in Gesù si rende presente. È Dio stesso che agisce e parla attraverso lui, Gesù è la trasparenza di Dio. Tale convinzione di fede e per fede emerge dalla stessa vicenda storica di Gesù. È la sua umiltà e pro-esistenza, da Betlemme alla croce, con dedizione totale, fino all’umiltà dell’eucaristia che colpiva Francesco colmandolo di stupore e di gioia.

Dire Natale è riaffermare che si tratta di un evento preciso, inequivocabile, che appartiene alla cronologia storica: sotto Cesare Augusto, mentre Quirino è governatore della Siria, Giuseppe e la sua Maria incinta si recano a Betlemme per farsi registrare per il censimento. Maria partorisce in un luogo destinato ad animali…

Il Natale è lo spazio della sorpresa. Dinanzi a questa sorpresa, a Dio che ci sorprende, Francesco non cessava di stupirsi. Se è vero che lo stupore ‘conosce’, allora Natale significa riconoscere in questo evento Dio che si fa uomo: è l’Eterno che entra nel tempo, è l’Onnipotente che si fa povero, è l’Altissimo che diventa piccolo, è l’Immortale che si fa mortale.

Senza questo sguardo di fede, che riconosce nel bimbo avvolto in fasce e adagiato sulla mangiatoia il figlio di Maria e figlio di Dio, non c’è Natale.  La novità del cristianesimo è Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnatosi per rivelarci il vero volto di Dio, che è solo amore. Se si fosse manifestato nelle forme splendide dell’imperatore o del messia trionfante non sarebbe stata una novità assoluta, ma una modalità prevedibile in quanto conforme alle attese di una liberazione secondo la logica umana. Invece il Natale che si esprime nella storia di Gesù, culminando nella passione-risurrezione, è Dio che condivide tutto con noi, fino a condividere la stessa morte con le sue angosce e le sue domande apparentemente senza risposta; e a vincerla con l’amore donato “fino alla fine”. Così ci dona l’eternità, che significa partecipare alla sua stessa vita divina.  

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