religione

Ma Gesù era bello? di François Mauriac

Redazione online Avvenire
Pubblicato il 14-04-2017


L’uomo che si chiamava Gesù e che noi crediamo fosse Dio, ciascuno di noi lo vede, ma la visione che ha di Lui è personale al punto di essere incomunicabile. La Chiesa lascia liberi i suoi figli sia di trasfigurare in Messia glorioso “il più bello dei figli dell’uomo” sia di adorare il Nazareno che i suoi contemporanei consideravano folle, vittima sacrificale, Volto irriconoscibile, come ai tempi l’aveva contemplato Isaia. Noi ci raffiguriamo il Gesù che la nostra natura sollecita, che il nostro amore esige. Lo ricreiamo, non certo a nostra immagine e somiglianza, ma secondo il bisogno che noi abbiamo di non vergognarci in sua presenza. Tuttavia, il Cristo è realmente vissuto sulla terra e appartiene alla storia. Dobbiamo dunque ammettere che una delle due tradizioni corrisponde a quello che fu, e che se quelli che credono in un Cristo d’aspetto nobile e maestoso hanno ragione, gli altri si sbagliano quando lo immaginano gracile e scialbo.

A dire la verità, i due aspetti del Cristo incarnato trovano l’uno e l’altro la loro giustificazione nei Vangeli. Un fatto domina il dibattito: Gesù non è stato riconosciuto dalla maggior parte delle persone. Non s’imponeva per aspetto tanto che i suoi nemici hanno esitato a combatterlo. Sembra infatti che affascinasse le folle soprattutto attraverso le parole e i miracoli, piuttosto che per l’apparenza e l’atteggiamento, e coloro che fin dagli inizi della sua vita pubblica non hanno creduto alla sua predicazione e ai suoi prodigi, non hanno riscontrato nulla di divino nei tratti del suo volto. All’inizio la samaritana riconosce in quello straniero uno qualunque e si prende gioco di lui. I suoi nemici, per nulla intimiditi e già assassini, lo risparmiavano solo per paura del popolo, non dubitando affatto di avere a che fare con un impostore.

Al momento di consegnarlo, Giuda non dirà: «Lo riconoscerete dalla statura, quello che è più alto di tutti e la cui maestà brilla nello sguardo, è lui che dovete prendere». Non dirà loro: «Distinguerete subito il Capo e il Maestro...». No, basta un bacio per indicarlo. Nonostante le torce, i soldati non potrebbero riconoscerlo in mezzo agli undici poveri giudei che lo circondano. Ma non è meno vero che in molti incontri Gesù, quando è stato amato, lo è stato al primo sguardo, e spesso è stato seguito fin dalla prima parola e anche prima di ogni miracolo. Basta un richiamo perché degli uomini abbandonino tutto ciò che posseggono in questo mondo e lo seguano. Fissa le persone con uno sguardo irresistibile, il cui potere e onnipotenza si affermano ogni volta che una creatura in lacrime cade in ginocchio, nella polvere. In questo apparente contrasto tra un Cristo che, con la sola vicinanza incatena i cuori, e un agitatore nazareno disprezzato dai capi dei Sacerdoti e che i soldati, incaricati di arrestarlo, non riconoscono in mezzo ai suoi discepoli, in questa visione contraddittoria, dobbiamo sforzarci di scoprire quale fu l’aspetto umano di Gesù. Senza dubbio assomigliava a molte persone la cui bellezza, discreta e radiosa al tempo stesso, abbaglia certi sguardi e sfugge ad altri – soprattutto quando questa bellezza è d’ordine spirituale. Una luce maestosa su quel volto era percepita solo grazie a una predisposizione interiore.

Quando noi amiamo, ci meravigliamo dell’indifferenza altrui davanti al volto che riassume per noi tutto lo splendore del mondo. Quei tratti che riflettono il cielo e il cui solo aspetto ci rende ebbri di gioia e di angoscia, altri non si sognano neppure di porvi lo sguardo. Il più breve istante vissuto accanto all’essere amato ha per noi un valore inestimabile, mentre importa poco ai suoi compagni e ai suoi genitori di vivere sotto il suo stesso tetto o di lavorare con lui e respirare l’aria che lui respira. Come ogni creatura, Gesù si trasformava secondo il cuore che lo rifletteva. Ma a questo fenomeno di ordine naturale, qui la Grazia aggiunge la sua azione imprevedibile. Mentre noi non siamo liberi di apparire agli altri come vorremmo che ci vedessero, l’Uomo-Dio non rimaneva solo il padrone dei cuori, ma anche del riflesso del suo Volto nei cuori. Ha guarito molti più ciechi nati di quelli ricordati nel Vangelo... Ogni volta che a una creatura che l’ha chiamato suo Signore e suo Dio, ha confessato di essere il Cristo, il Messia venuto al mondo, è stato perché aveva aperto in essa un occhio interiore il cui sguardo non si ferma all'apparenza. Ecco perché, tra tutti i pittori, Rembrandt mi sembra abbia dato del Cristo l’immagine più conforme al racconto evangelico. Penso soprattutto alla tela del Louvre dove il Dio estenuato e quasi esangue è riconosciuto dai due discepoli coi quali spezza il pane, nella locanda di Emmaus. Niente di più normale di quel viso sofferente… Oserei dire: niente di più comune.

E tuttavia quel volto semplice risplende di una luce la cui sorgente è il Padre che è amore. Non si potrebbe essere più uomo di questo nazareno della classe povera, che i sacerdoti hanno schernito e prima che la flagellazione lo sfigurasse intimidiva così poco il corpo di guardia e i servi che ricevette uno schiaffo da un domestico del Grande Sacerdote. E tuttavia, in questa carne miserabile frutto di un abisso di umiliazione e di tortura, il Dio risplende con una grandezza dolce e terribile. Tutto si svolge come se il miracolo della Trasfigurazione non si fosse compiuto una sola volta sul monte Tabor, ma si fosse ripetuto tutte le volte che è piaciuto al Signore di farsi riconoscere da una delle sue creature. Tutto ciò non impedisce che un uomo amato o no, adorato o disprezzato, possegga una sua statura alla quale gli è proibito aggiungere o togliere un grammo. Appare diritto o curvo, i suoi tratti sono regolari o deformi. I capelli e gli occhi hanno un determinato colore. Ora, forse possediamo un documento che, se è autentico, dovrebbe impedire ogni discussione relativa all’aspetto fisico del Signore, perché ce ne fornisce, alla lettera, una fotografia. Il problema sollevato dalla Sacra Sindone di Torino e dall’immagine di un uomo crocifisso che si intravede, sfugge alla mia competenza. Io ne posseggo le riproduzioni fotografiche. Ho ascoltato e letto i commenti impressionanti di Paul Mignon, che è un saggio e un apostolo. Se accettiamo per vera questa immagine, la cui manifestazione, dopo tanti secoli, era riservata alla nostra epoca, grazie a una delle scoperte di cui si mostrò così orgogliosa, non possiamo negare che Gesù sia stato di una statura maestosa e che il suo volto regale suscitasse forse adorazione ancor più che amore. È strano che, per una misteriosa derivazione, quasi tutte le immagini del Cristo trionfante inventate dai pittori, dalle prime effigi bizantine fino ai Cristi di Giotto, del Beato Angelico, di Raffaello, di Tiziano e di Quentin Metsys, derivano da questo disegno misterioso nascosto nella Sacra Sindone e di cui nessuno dei numerosi artisti che lo riprodussero ne sospettava l’esistenza.

È proprio il tipo umano su cui tutti sono d’accordo e che si presenta allo spirito quando si dice di qualcuno: «Ha il volto di un Cristo...». E ancora oggi la più scialba iconografia di pessimo gusto disonora (e il suo crimine non è dei peggiori), il Volto autentico così come apparve alla Vergine, alla Maddalena e a Giovanni. È il suo ritratto, o più esattamente la sua caricatura, che noi evitiamo di guardare passando davanti alle vetrine di San Sulpicio. Il Figlio dell’uomo assomigliava veramente a quelle statue rosa del Sacro Cuore, se la reliquia di Torino non ci inganna. In compenso, i primitivi che hanno voluto ritrarre il Cristo sofferente e umiliato, hanno riprodotto quella umiliazione e quella sofferenza, più di quanto lo stesso Salvatore ha provato nella sua carne prima della Passione, attraverso i tormenti della flagellazione, l’incoronazione di spine, la crocifissione e l’agonia. Perché la sua bellezza fisica splende su quel lenzuolo, ancora sporco di sangue e di pus. La morte più atroce ha lasciato quel corpo intatto e gli schiaffi, gli sputi, il sangue e le lacrime non sono mai riusciti a distruggere la purezza di quel Volto incorruttibile. (Avvenire)

 

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