Le lettere di Santa Caterina da Siena per la buona politica
Dal testo Massime di Reggimento Civile, emerge che S. Caterina aveva una concezione eminentemente etica dei governanti, nelle sue numerose lettere che ha scritto, li esortava alla lotta contro il male, per l’affermazione del bene: “piuttosto dobbiamo eleggere di perdere le cose temporali e la vita del corpo, che le cose spirituali e la vita della grazia…” Per l’uomo politico non basta dunque dominare gli uomini e le cose, ma soprattutto, bisogna, raggiungere il perfetto dominio di sé.Quello che conta maggiormente è la “signoria dell’anima”, che nessuno può togliere agli uomini se loro si comportano secondo giustizia divina. Gli antichi romani, già conoscevano questa signoria, il grande Seneca affermava: “Imperium sibi maximum imperium est”, una affermazione che in Caterina acquistava un significato eminentemente cristiano: la padronanza di sé per compiere il bene.
A questo proposito, è significativo quello che scrive la santa ai Signori e difensori di Siena: “scrivo a voi con desiderio di vedervi veri signori con cuore virile, cioè che signoreggiate la propria sensualità, con vera e reale virtù, seguitando il nostro Creatore. Altramenti non potreste tenere giustamente la signoria temporale, la quale Dio vi ha concessa per sua grazia. Conviensi dunque che l’uomo che ha a signoreggiare altrui e governare, signoreggi e governi prima sé”. (pag. 53)
S. Caterina si rendeva conto che gli uomini erano fragili e limitati, per questo era indispensabile che ciascun essere umano prendesse coscienza del proprio limite di creatura.
L’uomo di governo dev’essere umile, una virtù che gli permette, di essere libero e di darsi interamente “con grande sollecitudine” e con“affettuoso amore”, al servizio dei sudditi e della patria. Secondo S. Caterina, deve acquisire la virtù della santa pazienza, che non è quella del significato politico del saper attendere, temporeggiare, questa è arte politica o diplomatica. “La pazienza per S. Caterina è un atteggiamento interiore dello spirito che dà la capacità di ‘sostenere’ con dolce fortezza fondata sulla dimenticanza di sé ‘ogni pena, tormento e tribolazione’”.Pertanto per S. Caterina l’uomo che sale al potere, non deve pensare di trovare in esso “diletto e riposo”, ma deve sapere che troverà dolore.
La santa di Siena era consapevole delle miserie umane degli uomini politici e di potere. Sapeva quale era la dura realtà: avidità, gelosie, egoismi, intrighi, slealtà, violenze.. Il principe e signore deve conoscere, valutare e rispettare il dolore in sé e negli altri, e quando la croce stende la sua immensa ombra su tutta la patria egli, forte nella sventura militare nell’insuccesso politico e in ogni altra contrarietà, “si veste della pazienza di Cristo crocifisso, riposasi con questa dolce e gloriosa virtù nel mare tempestoso delle molte fatighe”. Questa è la virtù che vince sempre. Per S. Caterina non ci potrà mai essere un grande e vero capo di governo, senza la lotta dolorosa interiore ed esteriore, senza sofferenza, senza sforzo, senza “abbracciarci con la santissima croce, dove noi troveremo l’amore ineffabile, gustando il sangue di Cristo”.
Il Principe ideale di Caterina non è quello che sa mantenere il potere, ma colui che sa essere grande dinnanzi a Dio nella perfezione morale. Caterina fa coincidere il vantaggio dei popoli, il benessere sociale, con la grandezza morale e cristiana di chi governa. La grandezza di un principe per S. Caterina si basa sempre sull’umiltà, nel dolce spogliamento di sé, che invita Dio a venire nell’anima, così si possono fare grandi opere. Anna Maria Balducci ci ricorda che la santa sta parlando al “principe” cristiano. Nell’ascetica cateriniana, l’uomo trova il giusto posto come creatura creata da Dio e redenta dal Figlio.
La personalità ideale del cristiano che esercita il potere politico, si compenetra nella carità, soltanto così si può compiere ogni giustizia e dalla quale nascono le buone opere. Caterina insegna al principe anche di perdere il potere se non può attuare il bene di tutti, al contrario di Machiavelli che al suo Principe insegna di sapere commettere il male per conservare il potere. L’uomo che è al potere “deve servire con grande diligenzia il prossimo suo”. In pratica anche se è difficile dirigere la vita degli uomini a fini alti, S. Caterina chiede l’eroismo cristiano al suo principe, ricordandogli che può fare tutto con l’aiuto di Dio, nella partecipazione alla vita della Grazia, che è il sangue di Cristo.
Nessuno ha saputo più di Caterina adorare il Sangue Divino di Gesù, nessuno più di lei ha saputo comunicare agli uomini, l’amore, il bisogno del “dolcissimo Sangue…nel quale si spegne ogni odio e guerra…si pacifica il cuore e l’anima”.
Ed è proprio in questo Sangue che S. Caterina conduce “i signori e governanti a conquistare quella perfezione cristiana del loro stato, che è conformazione a Cristo Crocifisso, nella cui luce la santa diplomatica senese ha visto e ci ha dato la nobile personalità morale dell’uomo di governo…” (pag. 64)
Nelle lettere agli uomini di Stato S. Caterina fa emergere sempre esclusivamente il carattere morale e spirituale, quasi mai ci sono norme pratiche sull’esercizio del buon governo. La santa è convinta che una volta che l’uomo é formato al bene e alla giustizia non potrà che compiere azioni giuste e virtuose, questo vale anche per il governante. Del resto, per S. Caterina ogni problema sociale e politico appare come un problema morale, ella dà tuttavia valore anche alla parte ‘pratica’ dell’attività politica, anche perché ci sono uomini buoni, ma che non sanno governare.
A base di ogni grande costruzione politica e sociale c’è la realizzazione della giustizia, che caratterizza ogni attività politica, ogni azione individuale e sociale del principe della nostra santa. Ma la giustizia deve essere sempre “condita con misericordia, perché ella esce dalla fontana della carità”.
La Balducci, curatrice del libro edito dalle edizioni Cateriniane nel 1947, si affretta a scrivere che “l’uso della misericordia nell’esercizio della giustizia non diminuisce però la coscienza di quello ch’è dovuto alla repressione del male. In un regime ben ordinato, fare giustizia è un dovere dell’autorità, perciò, non è permesso al signore di tollerare il male. Per la santa occorre sempre una giustizia regolata dalla carità. Certo Santa Caterina sa che è presente nel governante il pericolo di lasciarsi trasportare nella repressione per propria passione, ma c’è anche l’altro pericolo della pazienza inerte di fronte a colpe che possono esporre la società intera al male. Comunque sia per la santa, la giustizia perfetta, potrà attuarla, soltanto “colui che giustamente ha giudicato sé”, cioè, colui che virilmente ha sottomesso sé “alla regola della giustizia”, nel distacco da sé e dal mondo, nell’amore di Dio e delle virtù. Quindi soltanto l’uomo forte, buono e umile, che ha conosciuto la Verità di Dio sarà capace di realizzare la giustizia perfetta.
E’ presente in S. Caterina il concetto di giustizia sociale con al centro e come fine la persona umana, una giustizia che si appoggia sui diritti naturali della persona umana, che sfociano nei diritti religiosi, morali, giuridici, economici. L’uomo di governo nella sua attività, deve riconoscere e difendere la dignità personale del cittadino e il suo sviluppo.
Un’ultima annotazione, la fa notare la Balducci, proprio leggendo le tante lettere della santa di Siena: “Non si può non domandarci come ella potesse pretendere da uomini comuni del suo tempo tanta virtù; come potesse richiedere un simile sforzo, un superamento così assoluto dell’umano, una così perfetta vita della Grazia, in quella che può sembrare l’attività che più difficilmente l’uomo riesce a mantenere conforme ai comandi divini”. Eppure S. Caterina con la sua grande semplicità è riuscita a parlare a chiunque e a ottenere anche numerose conversioni dei loro cuori. Lo si nota leggendo le lettere inviate allo stesso personaggio, come Niccolò Soderini, uno dei Priori dell’Arti della città di Firenze, è un grande miracolo come la santa “…sapesse con rara sapienza trarre quegli uomini rudi e lontani dalle finezze dello spirito, ad alta perfezione morale”. (DOMENICO BONVEGNA - Cristianocattolico.it)
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