Il Papa e il suo viaggio in Marocco: sulle orme di San Francesco e Giovanni Paolo II
“Ringrazio soprattutto il Signore, che mi ha permesso di fare un altro passo sulla strada del dialogo e dell’incontro con i fratelli e le sorelle musulmani, per essere ‘Servitore di speranza’ nel mondo di oggi”.
Papa Francesco ricorda così il suo viaggio appena trascorso in Marocco durante l’Udienza generale odierna in Piazza San Pietro. “Il mio pellegrinaggio ha seguito le orme di due Santi: Francesco d’Assisi e Giovanni Paolo II”, sottolinea il Papa.
“Servire la speranza, in un tempo come il nostro, significa anzitutto gettare ponti tra le civiltà. E per me è stata una gioia e un onore poterlo fare con il nobile Regno del Marocco, incontrando il suo popolo e i suoi governanti. Ricordando alcuni importanti vertici internazionali che negli ultimi anni si sono tenuti in quel Paese, con il Re Mohammed VI abbiamo ribadito il ruolo essenziale delle religioni nel difendere la dignità umana e promuovere la pace, la giustizia e la cura del creato, nostra casa comune”, continua il Papa nella catechesi. “Qualcuno può domandarsi perché il Papa va dai musulmani? – aggiunge il Papa al braccio - Con i musulmani siamo discendenti dello stesso Padre, Abramo. Dio ha voluto che ci siano tanti religioni. Tutti guardano il cielo e guardano Dio. Quello che Dio vuole è la fratellanza. La fratellanza con i nostri fratelli musulmani. Il Pontefice ricorda anche l’Appello per Gerusalemme, perché la Città santa sia preservata come patrimonio dell’umanità e luogo di incontro pacifico, specialmente per i fedeli delle tre religioni monoteiste”.
Il Papa ricorda anche il suo interesse in Marocco per la questione migratoria: “Come Santa Sede abbiamo offerto il nostro contributo che si riassume in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni, per costruire città e Paesi che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperti alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana”.
“A me non piace dire migrante, è solo un aggettivo. Le persone sono sostantive, noi siamo caduti nella cultura dell’aggettivo”, aggiunge a braccio il Papa. Francesco conclude la sua catechesi con il ricordo finale della Messa: “La gioia della comunione ecclesiale ha trovato il suo fondamento e la sua piena espressione nell’Eucaristia domenicale, celebrata in un complesso sportivo della capitale. Migliaia di persone di circa 60 nazionalità diverse! Una singolare epifania del Popolo di Dio nel cuore di un Paese islamico”.
ACI stampa
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