religione

Il Papa all'università in dialogo con gli studenti

Redazione online Ansa - CLAUDIO PERI
Pubblicato il 30-11--0001

Comunicazione liquida, migranti, integrazione, pace, dialogo e cultura

Si tratta della sua prima visita in una università statale della capitale. Roma Tre è frequentata da circa 40mila studenti: era stata già visitata da Giovanni Paolo II nel 2002. Il Papa ha ringraziato di averlo invitato a visitare l’università più giovane di Roma, augurando ogni bene per il lavoro e la missione di questo Ateneo. “L’istruzione e la formazione accademica delle nuove generazioni – ha detto - è un’esigenza primaria per la vita e lo sviluppo della società”. Quindi ha consegnato il testo preparato e ha risposto alle domande rivoltegli da quattro studenti, Giulia, Niccolò, Riccardo e Nour: “Questo discorso – ha detto - è una risposta pensata, riflettuta sulle quattro domande, ma io vorrei rispondere un po’ spontaneamente, perché mi piace di più così!”.



La violenza del linguaggio

“Tu – risponde il Papa - hai parlato dell’agire violento, della violenza. Ma pensiamo al linguaggio: la tonalità del linguaggio è salita, tanto. Oggi si parla per strada, a casa, si grida, anche si insulta con una normalità … c’è anche la violenza nell’esprimersi, nel parlare. E questa è una realtà che tutti vediamo, no? Se c’è qualcosa sulla strada o qualche problema lì, prima di domandare cortesemente: ‘Ma, cosa è successo?’, ma, un insulto e poi si domanda il perché. E’ vero, c’è un’aria di violenza anche nelle nostre città; anche la fretta, la celerità della vita ci fa violenti a casa. Tante volte dimentichiamo – a casa – di dare il buongiorno: ‘Ciao, ciao’, questi saluti anonimi … La violenza è un processo che ci fa ogni volta più anonimi: ti toglie il nome. Anonimi gli uni verso gli altri. Ti toglie il nome e i nostri rapporti sono un po’ senza nome: sì, è una persona quella che ho davanti, con un nome, ma io ti saluto come se tu fossi una cosa. Ma questo che noi vediamo qui, cresce, cresce, cresce e diviene la violenza mondiale".



La pazienza dell'ascolto e del dialogo

Il Papa continua: "Nessuno, oggi, può negare che stiamo in guerra, e questa è una terza guerra mondiale a pezzetti, ma c’è. Bisogna abbassare un po’ il tono e bisogna parlare meno e ascoltare di più. Ci sono tante medicine, contro la violenza, ma la prima, prima di tutto è il cuore: un cuore che sa ricevere, ricevere cosa pensi tu. E prima di discutere, dialogare. Se tu pensi differente da me, ma dialoghiamo! Il dialogo avvicina, non solo avvicina le persone: avvicina i cuori. Con il dialogo si fa l’amicizia e si fa l’amicizia sociale. Quando io prendo il giornale e sul giornale vedo che questo insulta quello (…) dico: ‘Ma in una società dove la politica si è abbassata tanto – sto parlando della società mondiale, eh?, non di qui: di tutto, di tutto! – si perde il senso della costruzione sociale, della convivenza sociale e la convivenza sociale si fa con il dialogo. E per dialogare, primo: ascoltare. Tante volte – ma, questo si vede tanto quando ci sono campagne elettorali, discussioni in tv – che prima che l’altro finisca di parlare, la risposta (…) Ma aspetta, ascolta bene cosa dice, poi pensa e rispondi. Ascoltare bene. E se io non capisco quello che tu vuoi dirmi, domandare: ‘Ma con questo che hai detto, cosa vuoi dire? Perché non ho capito bene’. La pazienza del dialogo. E dove non c’è dialogo, c’è violenza".



Le guerre iniziano nel nostro cuore

"Ho parlato di guerra - ha proseguito - è vero, stiamo in guerra. E’ vero. Ma le guerre non incominciano là: incominciano nel tuo cuore, eh?, nel nostro cuore. Quando io non sono capace di aprirmi agli altri, di rispettare gli altri, di parlare con gli altri, di dialogare con gli altri: lì incomincia la guerra. Quando non c’è dialogo a casa, per esempio: quando invece di parlare, si grida (...) o si sgrida. O quando siamo a tavola, invece di parlare, ognuno con il suo telefonino, sta parlando, sì, ma con altri. E quel germe è l’inizio della guerra. Perché non c’è il dialogo. E questo credo che sia il fondamento. E questo dice tanto all’università, perché ho sentito quello che diceva il signor rettore: l’università è l’universo, è proprio il posto dove si può dialogare, dove c’è posto per tutti. Quello che la pensa così, quello che la pensa in quell’altro modo, quello che la pensa nell’altro modo. Dialogare è proprio di un’università. Una università dove soltanto si va a scuola, si ascolta il professore, la professoressa e poi torno a casa, questa non è una università. Una università deve avere questo lavoro artigianale del dialogo. Sì, sentire le scuole, sentire le lezioni, sentire la saggezza dei professori, sì; ma il dialogo, il dialogo, la discussione: questo è importante! E io parlo di una cosa che non so se in Italia c’è, non so. Ma so che c’è in altre parti. Anche io ho visto. Le università di élite, che sono generalmente cosiddette università ideologiche, dove tu vai, ti insegnano questa linea, soltanto, di pensiero, questa linea ideologica e ti preparano per essere un agente di questa ideologia. Quella non è università: quella non è università. Dove non c’è dialogo, dove non c’è confronto, dove non c’è ascolto, dove non c’è rispetto per come la pensa l’altro, dove non c’è amicizia, dove non c’è la gioia del gioco, lo sport, tutto quello, non c’è università. Tutto insieme".



All'università per imparare il vero, il buono, il bello

"Io - ha detto il Papa - vado all’università per imparare: per imparare. Ma sì: ma imparare, io dirò: per vivere, per vivere il vero, cercare il vero, per vivere il buono, la bontà, cercare la bontà, per vivere il bello, cercare la bellezza. Verità, bontà e bellezza. Ma questo si fa insieme, tutti insieme, e questo è un cammino universitario che non finisce mai. Per questo è tanto importante la presenza degli antichi alunni dell’università nel corpo universitario, perché i nuovi, quelli che stanno facendo il corso adesso, possano avere il dialogo con loro. Quando si fa questo, l’agire non è violento, è bello: è bellissimo. E’ la gioia di fare una strada insieme, senza gridare, senza insulto, senza … e cercando sempre la verità, la bontà, la bellezza".

Rapidità della comunicazione e società liquida
Quindi si riferisce alla comunicazione, di network: "E' vero che c’è una celerità…  Gli olandesi 40, 50 anni fa, avevano inventato una parola che a me piaceva tanto: 'rapidazione', è come la progressione geometrica nel tempo. Quello di Aristotele ... il movimento, quando arriva alla fine è più veloce, la legge della gravità e si va più rapido. E oggi la comunicazione è così, col pericolo di non avere il tempo di fermarsi per un’assimilazione, un pensare, un riflettere su… E questo è importante: abituarsi a questa comunicazione ma senza che questa rapidità (...) mi tolga la libertà di dire ‘No’. Abituarsi al dialogo a questa velocità. Tante volte una comunicazione così rapida, così leggera, può diventare liquida, senza consistenza e questo è uno dei pericoli di questa società - questa non è una parola mia, la società liquida, l’ha detta Bauman da tempo -, la liquidità senza consistenza. E noi dobbiamo prendere la sfida di trasformare questa liquidità in concretezza. La parola per me chiave per rispondere alla domanda è ‘concretezza’: contro la liquidità la concretezza. Anche pensiamo all’economia. Qual è il dramma oggi dell’economia? L’economia liquida. E quando c’è economia liquida, c’è mancanza di lavoro, c’è disoccupazione".

Le migrazioni non sono un pericolo
Il Papa risponde: “Nour ha parlato dell’identità cristiana dell’Europa e della paura, ma, se viene gente di altra cultura perdiamo l’identità europea … Ma io mi domando: quante invasioni hanno avuto l’Europa dall’inizio a qui? L’Europa è stata fatta da invasioni, migrazioni … i Normanni … ma voi sapete meglio di me … è stata fatta artigianalmente così. Le migrazioni non sono un pericolo: sono una sfida per crescere e lo dice uno che viene da un Paese dove più dell’80 per cento sono migranti. In Argentina dal 1880 al 1950, sì, nel dopoguerra, ci sono state ondate migratorie, tante, tante, da tutti i Paesi. E’ un Paese meticcio, no?, il sangue si è mischiato. E’ vero, non abbiamo una bella identità, noi, ma questo perché non sappiamo gestire le cose, perché voi conoscete meglio di me gli scherzi che si fanno con gli argentini, tanti … e sono giusti, eh?, sono giusti! [ride] Ma questo è peccato nostro, ma non è una cosa cattiva delle migrazioni".



La sofferenza del Papa durante il viaggio a Lesbo

Poi parla della paura dei migranti e cita il suo viaggio a Lesbo dove ha incontrato Nour: "Io ricordo quel giorno, a Lesbo: ho sofferto tanto, quel giorno. Ma loro sono saliti sull’aereo prima che arrivassi io con il primo ministro per congedarli e (…) qualcuno è andato (…) a dire loro che dovevano scendere per salutare: non volevano scendere, avevano paura! Avevano paura, la paura di rimanere lì, no? E’ importante, il problema dei migranti, pensarlo bene, oggi, perché c’è un fenomeno migratorio così forte – pensiamo all’Africa e al Medio Oriente, verso l’Europa: questo non è fare politica (…) no. Questo è dire una realtà come la vedo. Perché c’è la guerra e fuggono dalla guerra, o c’è la fame: fuggono dalla fame. Ma quale sarebbe la soluzione ideale? Che non ci sia la guerra e che non ci sia la fame, cioè fare la pace, fare la pace o fare investimenti in quei posti perché abbiano risorse per lavorare e guadagnarsi la vita. Ma se c’è la fame, fuggono. Anche in alcuni Paesi hanno (…) una cultura povera, di una sofferenza, una cultura che li fa soffrire, che è lo sfruttamento: è gente sfruttata. Ma noi – noi in generale – andiamo là per sfruttarli".



Il Mediterraneo oggi è un cimitero

Racconta quanto gli ha detto un primo ministro africano l’anno scorso: "Il primo lavoro che lui ha fatto nel suo governo è stata la riforestazione del Paese, perché le ditte internazionali erano andate là e avevano deforestato tutto ( …) Hanno sfruttato. E’ un esempio piccolino, ma … non sfruttare. Non facciamo i potenti che vanno a sfruttare. E loro hanno fame perché non hanno lavoro e non hanno lavoro perché sono stati sfruttati. Fuggono. Ma poi, per arrivare all’Europa dove pensano che troveranno uno status migliore, anche lì sono sfruttati dagli sfruttatori dei barconi, tutto quello che noi sappiamo: quello che ha fatto del Mediterraneo un cimitero. Non dimentichiamo questo: il nostro mare, il 'mare nostrum', oggi è un cimitero. Pensiamolo quando stiamo da soli, come se fosse una preghiera.  Questa gente, questi migranti arrivano, sono accolti: quando quattro anni fa, quasi, un po’ di meno, sono andato a Lampedusa perché ho sentito che dovevo andare, il primo viaggio che ho fatto, incominciava il fenomeno. Adesso è di tutti i giorni".



Accogliere e integrare

Il Papa chiede: "Come si devono ricevere i migranti? Come si devono accogliere i migranti? Prima, come fratelli e sorelle umani: sono uomini e donne come noi. Secondo, ogni Paese, ogni Paese deve vedere quale numero è capace di accogliere. E’ vero: non si può accogliere se non c’è possibilità. Ma tutti possono fare. Poi, non solo accogliere: integrare. Integrare, cioè ricevere questa gente e cercare di integrarli. Primo, che imparino la lingua, cercare un lavoro, un’abitazione: integrare. Che ci siano organizzazioni per integrare. L’esperienza che io ho avuto quando è venuta Nour, credo che tre giorni dopo i bambini andavano a scuola e quando sono venuti (…) tutti insieme, da me a un pranzo, dopo tre mesi, i bambini parlavano l’italiano. I più grandi ancora più o meno, ma i bambini parlavano … perché? Ma perché sono andati a scuola e i bambini noi sappiamo come imparano subito, no? Questo è integrare. E poi, già la maggioranza aveva lavoro e aveva una persona che li accompagnava nella integrazione: le porte aperte. Poi è importante: loro portano una cultura, una cultura che è ricchezza, per noi. Ma anche loro devono ricevere la nostra cultura e fare uno scambio di culture. Rispetto. E questo toglie la paura. Ma c’è la paura, sì; ma la paura non è soltanto dei migranti: i delinquenti che vediamo sui giornali, le notizie, sono nativi di qui, o immigrati, di tutto: c’è di tutto, eh? Ma integrare è importante: integrare è importante!".



Si riceve una cultura e si offre un’altra cultura

Il Papa ricorda i ragazzi che hanno compiuto la strage a Zaventem: "Erano belgi, nati in Belgio! Figli di migranti, ma ghettizzati, non integrati! (...) Ci sono alcuni Paesi d’Europa che danno un bell’esempio di questo, di integrazione (...) per esempio, io conosco dal tempo delle dittature militari in America Latina, la Svezia: la Svezia ha ricevuto tanti migranti sudamericani, tanti. Ma subito, il giorno dopo avevano un’abitazione, poi un lavoro (…) poi la lingua … Gli svedesi, per esempio, oggi sono 9 milioni, ma di questi, 890 mila sono nuovi svedesi, cioè migranti o figli di migranti integrati. Il giorno che io partivo dalla Svezia, è venuta a congedarmi a nome del governo il ministro (…) una donna, figlia di una donna svedese e di un padre credo che fosse del Gabon, un migrante. Ministro dello Stato. Perché? Perché sanno – e altri Paesi hanno fatto cose del genere – sanno fare questo. E quando c’è questo: accoglienza, accompagnare e integrare, non c’è pericolo con le migrazioni. Si riceve una cultura e si offre un’altra cultura. Questa è la mia risposta alla paura.

Quindi il Papa ha concluso: “Vi ringrazio. Ma università, eh? Dialogo nelle differenze, eh? E grazie tante!”.

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