Francesco d'Assisi raccontato da Tommaso d'Aquino
Succede nei versi dell’XI canto del Paradiso di Dante
Un immenso santo parla di un altrettanto immenso santo: avviene nell’XI canto del Paradiso di Dante Alighieri. San Tommaso d’Aquino ci narra la vicenda di Francesco d’Assisi. Il poeta Eliot ci lascia - a riguardo - parole che impressionano il lettore: lo impressionano nel cuore, nell’animo e nell’intelletto. Parla, riguardo il linguaggio dantesco, di una lingua dal “pensiero sensato”, “sensibile”. Ovviamente non può che essere così: il santo di Assisi è un santo in cui i “sensi” assumono una fondamentale importanza. Il Francescanesimo è radicato così intellettualmente, così pragmaticamente, con la vita di tutti i giorni in cui i “sensi” (non sotto l’aspetto del “sensuale”, bensì di quei sensi che ci fanno “tangere” il tutto) sono il “corpus vivendi” dell’essere francescano.
Ma torniamo a Tommaso d’Aquino e alla sua lettura della biografia di Dante su Francesco d’Assisi. Le immagini sono forti. Tommaso da Celano parla del santo di Assisi. Si fa suo biografo, grazie alla penna di Dante. Tema centrale del canto è il racconto della vita del Poverello fatto da san Tommaso d'Aquino: obiettivo del filosofo domenicano è di lodare il fondatore dell'ordine francescano per evidenziare la decadenza dell'ordine cui egli stesso apparteneva. Il Santo aquinate spiega che Dio - che agisce secondo un disegno misterioso che gli uomini non possono cogliere - ha posto due uomini eccellenti e differenti tra loro a servizio della Chiesa, affinchè la guidassero: San Francesco (1182-1226) per la carità, e San Domenico (1170-1221) per la sapienza. Soffermiamoci, dunque, sul santo assisano.
Tommaso inizia con una lode a San Francesco, narrandone la vicenda personale. Comincia raccontando di come Francesco rinunciò ai beni di famiglia in nome della Povertà che, personificata in una donna, diventa sua sposa dopo aver atteso undici secoli un nuovo compagno, dopo la venuta di Cristo. Rimaniamo senza parole davanti a una bellezza descrittiva, biografica che lascia pieno di stupore il lettore:
“Questa, privata del primo marito,/ millecent’ anni e più dispetta e scura/ fino a costui si stette sanza invito;/ né valse udir che la trovò sicura/ con Amiclate, al suon de la sua voce,/ colui ch’a tutto ’l mondo fé paura;/ né valse esser costante né feroce,/ sì che, dove Maria rimase giuso,/ ella con Cristo pianse in su la croce”. Successivamente racconta di come nuovi fedeli si unirono all’ordine e di come questo abbia ricevuto l’approvazione orale da Innocenzo III nel 1210 per poi ottenere nel 1223 da Onorio III l’approvazione con la bolla Solet annuere.
In tutto il canto la figura di San Francesco è collegata a quella di Gesù, come dimostra l’episodio in cui il Francesco riceve le stimmate al monte della Verna, nel 1224. Il momento della morte e del trapasso di Francesco è cruciale nella narrazione di S. Tommaso: il santo raccomanda la propria sposa, la Povertà, ai suoi discepoli, e chiede la sepoltura più semplice possibile, nella nuda terra, spogliato di ogni bene (vv. 109-117). “A’ frati suoi, sì com’ a giuste rede,/ raccomandò la donna sua più cara,/ e comandò che l’amassero a fede;/ e del suo grembo l’anima preclara/ mover si volle, tornando al suo regno, e al suo corpo non volle altra bara”.
L’umiltà di Francesco, la sua missione, la sua vita narrata da un santo teologo come San Tommaso d’Aquino. E’ la potenza della Poesia, la potenza dei versi di Dante.
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