Festività di tutti i Santi, che significato ha per noi?
Dobbiamo riscoprire, apprezzare e amare la santità
Dagli inizi della sua storia la comunità cristiana ha prestato un culto a coloro la cui testimonianza di vita era stata un esempio di fortezza per tutti. Nei primi secoli la figura per eccellenza fu quella del martire, che per Cristo aveva dato il proprio sangue; poi, quando il culto cristiano fu ufficialmente riconosciuto, prese rilievo anche la figura del “confessore”, il quale, pur non avendo versato il sangue, era stato però capace di vivere il Vangelo in grado eroico. Sin dal IV secolo si veneravano, in Oriente, in un’unica celebrazione, tutti i Santi; in Occidente fu invece Gregorio IV (827-844) a istituzionalizzarla il 1° novembre: da Roma, la celebrazione si diffuse poi nel resto d’Europa.
Che significato ha per noi questa festa? Secondo l’Apostolo, che riteneva di essere l’infimo fra tutti (Ef 3,8), i cristiani sono santi per vocazione (Rm 1,7); la santità è quindi la chiamata propria del cristiano: egli deve essere irreprensibile e semplice, e splendere come astro nel mondo tenendo alta la parola di vita (Fil 2,15-16). Non sono tali, quindi, solo i santi ufficialmente riconosciuti, ma lo sono tutti i cittadini del paradiso, che hanno combattuto contro le debolezze della propria natura e hanno vinto: essi formano “una moltitudine immensa di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”, che sta “davanti al trono e davanti all’Agnello” (Ap 7,9). A tutti noi, in cammino verso la patria, i santi sono dati come sostegno e modello di vita nella nostra debolezza.
Ma chi è il santo? Ogni storia di santità resta, di fatto, un mistero: scelti da Dio per essere “Suoi”, i santi – uomini e donne – corrispondono alla propria vocazione con uno slancio che ha del prodigioso, ma che non cancella, al tempo stesso, le fragilità dell’umana natura. Per essi viene sempre prima l’Altro, il to-talmente Altro, immensamente distante e sorprendentemente vicino, quel Dio che ci ha amati e scelti sin dall’eternità; poi l’altro, con la a minuscola, il fratello che Dio mette sui nostri passi e che i santi si sforzano di vedere con lo sguardo dell’Altissimo. Solo alla fine viene la loro persona, alla quale non fanno mai sconti di nessun genere. Eppure anche i santi devono confrontarsi con le loro fragilità: quelle fisiche, anzitutto, che vengono spesso a tormentarli; quelle caratteriali, portando essi – non di rado – asperità non facili da domare, scrupoli a volte ec-cessivi, debolezze di vario genere; perfino quelle spirituali, dacché nessun uo-mo – se escludiamo Gesù e Maria di Nazareth – ne viene risparmiato.
Non dobbiamo temere l’umanità dei santi, perché è proprio attraverso di essa che la loro esperienza di vita e il loro insegnamento diventano accessibili a noi, fragili più di loro e meno di loro amanti di quel Dio che per noi ha dato se stesso. Infatti, può un santo parlare agli uomini se questi non avvertono che anch’egli è stato toccato dai loro stessi drammi, dai loro stessi dubbi e tormenti, prima di superarli attraverso un’adesione libera e convinta, anche se sofferta, a Cristo e alla sua croce? Se non avvertono che anch’egli, fino all’ultimo, ha dovu-to lottare con la propria umanità?
Pensiamo a quanto efficace è stata, per tante e tante persone dei nostri paesi d’Italia, del nord come del centro come del sud, la visita di quei frati cer-catori che puntualmente arrivavano – nei diversi periodi dell’anno – questuan-do vino e olio, grano e formaggio: entravano in tutte le case offrendo il saluto francescano, parlavano con vecchi e bambini, molte volte aiutavano nel lavoro dei campi, alla sera (perché capitava loro anche di dormire fuori del convento) raccontavano le storie dei santi in modo semplice, invitavano alla pazienza e all’amor di Dio. Uomini spesso rudi, rozzi quant’altri mai, ma che pur sapevano dire parole che scaldano il cuore, la cui sola presenza parlava di Dio.
Dobbiamo riscoprire, apprezzare e amare la santità, sforzandoci di viverla noi stessi nella quotidianità della vita, nel posto di lavoro, a scuola, nelle nostre case, perché il vero onore e culto che possiamo rendere ai santi è quello d’impegnarci a seguirne le orme: “Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e nella persecuzione, nella vergogna e nella fame, nell’infermità e nella tentazione e in altre simili cose, e per questo hanno ricevuto dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi, servi di Dio, che i santi abbiano compiuto le opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il solo raccontarle!” (Francesco d’Assisi, Ammonizione VI).
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