Di ritorno dal Marocco. Il Papa in volo: «Chi alza muri ne resta prigioniero»
Francesco parla ai giornalisti in aereo:
«Abbiamo visto nel dialogo qui in Marocco che ci vogliono ponti, coloro che costruiscono muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito». «I diritti umani sono prima degli accordi». «Ponti vanno messi anche nei porti per evitare che migliaia di migranti disperati affoghino in mare».
Papa Francesco, sul volo che lo riporta a Roma da Rabat dopo la visita di due giorni in Marocco non nasconde anche di aver pianto di fronte alle barriere di lame metalliche che separano il Paese nordafricano dalla Spagna e risponde anche sul significato dell’appello firmato suGerusalemme.
Questa visita è stata per il Paese un avvenimento storico. Quali sono per lei le conseguenze nel dialogo tra culture?
«Io dirò che adesso ci sono i fiori, i frutti verranno dopo. Ma i fiori sono promettenti. Sono contento, perché in questi due viaggi ho potuto parlare di questo che mi tocca nel cuore: la pace, l’unità, la fraternità. Con i fratelli musulmani e musulmane abbiamo sigillato questa fraternità nel documento di Abu Dhabi e qui in Marocco abbiamo visto una libertà, una fraternità, un’accoglienza da tutti i fratelli. Questo è un bel fiore di coesistenza che promette di dare frutti. Non dobbiamo mollare! È vero, ci saranno ancora difficoltà perché purtroppo ci sono gruppi intransigenti. Ma questo vorrei dirlo chiaramente: in ogni religione c’è sempre un gruppo integralista che non vuole andare avanti e vive dei ricordi amari, delle lotte del passato, cerca più la guerra e semina la paura. Noi abbiamo visto che è più bello seminare la speranza. Abbiamo visto nel dialogo qui in Marocco che ci vogliono dei ponti e sentiamo dolore quando vediamo le persone che preferiscono costruire dei muri. Perché coloro che costruiscono muri finiranno prigionieri dei muri che hanno costruito. Invece quelli che costruiscono ponti andranno avanti. Mi ha sempre toccato una frase del romanzo di Ivo Andric, Il ponte sul Drina: «Il ponte è fatto da Dio con le ali degli angeli perché gli uomini possano comunicare. Il ponte è per la comunicazione umana. Invece i muri sono contro la comunicazione, sono per l’isolamento e quelli che li costruiscono ne diventeranno prigionieri».
Con il re del Marocco ha firmato un patto per Gerusalemme. Che significato ha questo gesto?
Il comune appello su Gerusalemme è stato un passo avanti fatto non da un’autorità del Marocco e da un’autorità del Vaticano, ma da fratelli credenti che soffrono vedendo questa Città della speranza non ancora universale come tutti vogliamo: ebrei, musulmani e cristiani. Tutti vogliamo questo. E per questo abbiamo firmato questo appello: è un desiderio, una chiamata alla fraternità religiosa che è simbolizzata in questa Città che di tutti. Tutti siamo cittadini di Gerusalemme, tutti i credenti.
Il re del Marocco ha detto che proteggerà gli ebrei marocchini e i cristiani che vivono nel Paese. Lei è preoccupato per gli uomini e le donne che rischiano la prigione in altri paesi musulmani?
«In Marocco c’è libertà di culto, c’è libertà religiosa. In altri Paesi ancora no. Anche noi in passato non avevamo questa libertà. Noi abbiamo tolto dal Catechismo della Chiesa cattolica la pena di morte. Trecento anni fa bruciavamo vivi gli eretici, questo perché la Chiesa si è accresciuta nella coscienza morale, nel rispetto della persona e nella libertà di culto. E anche noi dobbiamo continuare a crescere. Ci sono cattolici che non accettano ancora quello che il Vaticano II ha detto sulla libertà di culto, la libertà di coscienza. Anche i fratelli musulmani crescono nella coscienza e alcuni paesi ancora non capiscono bene o non crescono così come altri, come in Marocco. In questa quadro s’inserisce il problema della conversione. Alcuni paesi ancora non la vedono. Ma a me preoccupa un'altra cosa la retrocessione di noi cristiani quando togliamo la libertà di coscienza. Pensiamo ai medici e alle istituzioni ospedaliere cristiane che non hanno il diritto dell’obiezione di coscienza, per esempio per l’eutanasia. Come? La Chiesa è andata avanti e voi Paesi cristiani andate indietro? Pensate a questo perché è una verità. Oggi noi cristiani abbiamo il pericolo che alcuni governi ci tolgano la libertà di coscienza che è il primo passo per la libertà di culto. Non è facile la risposta, ma non accusiamo i musulmani, accusiamo anche noi in questi paesi dove succede questo. C’è da vergognarsi. Lei ha detto che il fenomeno migratorio non si risolve con i muri, ma qui in Marocco la Spagna ha costruito ben due barriere con lame per tagliare quelli che li vogliono superare. Anche il presidente americano Trump vuole chiudere completamente le frontiere… »
Cosa vorrebbe dire ai governanti, ai politici che difendono ancora queste decisioni?
«Primo, ripeto quello che ho appena detto: i costruttori di muri, siano di lame o di mattoni, diventeranno prigionieri dei muri che fanno. Secondo, ho visto un pezzo di quel filo con le lame. Ho pianto perché non entra nella mia testa e nel mio cuore tanta crudeltà. Non entra nella mia testa e nel mio cuore vedere affogare nel Mediterraneo… questo non è il modo di risolvere il grave problema dell’immigrazione. Bisogna mettere ponti nei porti per evitare che migliaia di migranti disperati affoghino in mare. Certo un governo con questo problema ha una patata bollente nelle mani, ma deve risolverlo umanamente. Ho visto anche un filmato nei carceri dei trafficanti dove finiscono i rifugiati che vengono rimandati indietro. Fanno soffrire. Le torture che si vedono lì sono da non credere. Ho parlato con un governante, un uomo che rispetto: Alexis Tsipras. Parlando di questo con lui e degli accordi mi ha spiegato le difficoltà, ma alla fine mi ha parlato col cuore e ha detto questa frase: «I diritti umani sono prima degli accordi». Questa frase merita il premio nobel».
Sulla questione migranti la politica europa va però esattamente nella direzione opposta. Questa politica rispecchia l’opinione degli elettori e la maggioranza degli elettori sono cristiani cattolici…
«Vedo che tanta gente di buona volontà, non solo cattolici, è un po’ presa dalla paura che è la predica usuale dei populismi: la paura. Si semina paura. La paura è l’inizio delle dittature. Ma andiamo al secolo scorso, alla caduta dell’impero di Weimer. La Germania aveva necessità di una uscita e, con promesse e paure è andato avanti Hitler, conosciamo il risultato. Impariamo dalla storia, questo non è nuovo: seminare paura è fare una raccolta di crudeltà, di chiusure e anche di sterilità. Pensate all'inverno demografico dell’Europa. Anche l'Italia è sotto zero. Pensate anche alla mancanza di memoria storica: l’Europa è stata fatta da migrazioni e questa è la sua ricchezza. Gli emigranti europei sono andati in massa nei due dopoguerra, in America del nord, in America centrale, America del sud. Un po’ di gratitudine… Se l’Europa così generosa vende le armi allo Yemen per ammazzare dei bambini come fa l’Europa a essere coerente? Poi c’è il problema della fame, della sete. L’Europa, se vuole essere la madre Europa e non la nonna Europa, deve investire, deve cercare intelligentemente di aiutare con l’educazione, con gli investimenti e questo non è mio lo ha detto il cancelliere Merkel. È una cosa che lei porta avanti abbastanza: impedire l’emigrazione non con la forza ma con la generosità, gli investimenti educativi, economici, questo è molto importante. Ci vuole generosità, con la paura non andremo avanti, con i muri rimarremo chiusi nei muri».
Ieri un ministro italiano, in riferimento al convegno di Verona, ha detto che più della famiglia bisogna avere paura dell’islam. Siamo a rischio dittatura?
«Io di politica italiana non capisco nulla. Sul congresso di Verona ho letto la lettera del cardinale Parolin (spedita per motivale la sua assenza dopo l’invito ricevuto) e sono d’accordo, è pastorale, di buona educazione». Il cardinale Barbarin è nato a Rabat. Proprio in questa settimana il consiglio della diocesi di Lione ha votato quasi all’unanimità che sia trovata una soluzione durevole al suo ritiro. È possibile per lei ascoltare questo appello di un’intera diocesi in una situazione così difficile? «Il cardinale ha dato le dimissioni, ma io non posso moralmente accettarle perché giuridicamente c’è la presunzione di innocenza, dato che la causa è aperta. Lui ha fatto ricorso e la causa quindi è aperta. Forse non è innocente ma c’è la presunzione di innocenza. Questo è importante. Ci sono stati casi di come la condanna mediatica abbia rovinato la vita di sacerdoti che poi sono stati riconosciuti innocenti. Quando il secondo tribunale darà la sentenza vedremo».
Lei denuncia spesso l’azione del diavolo, lo ha fatto anche nel recente summit. Cosa fare per contrastarlo, soprattutto in merito agli scandali della pedofilia?
«Un giornale, dopo il mio discorso alla fine del summit dei presidenti, ha detto: il Papa è stato furbo, prima ha detto che la pedofilia è problema mondiale, poi ha detto qualcosa sulla Chiesa, alla fine se ne è lavato le mani e ha dato la colpa al diavolo. Un po’ semplicistico. Per capire una situazione bisogna dare tutte le spiegazioni e poi cercare le significazioni. Io cerco di dare tutte le spiegazioni. Noi nella Chiesa faremo di tutto per finirla con questa piaga, faremo di tutto. Ho dato misure concrete. Ma c’è un punto che non si capisce senza il mistero del male, è un problema concreto. Per questo ci sono due pubblicazioni che raccomando: un articolo di Gianni Valente su Vatican Insider e uno della Civiltà Cattolica».
Stefania Falasca - Avvenire
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