religione

Buttiglione: “Il muro di Berlino iniziò a crollare con il viaggio di Wojtyla in Polonia nel ’79”

GIACOMO GALEAZZI Vatican Insider
Pubblicato il 10-03-2019

«Tutto è iniziato nel giugno del 1979, quando Giovanni Paolo II è andato in Polonia», afferma Rocco Buttiglione, professore di filosofia e storia delle istituzioni europee alla Pontificia Università Lateranense di Roma, amico di Karol Wojtyla e studioso del suo pontificato.

Professore, quale ritiene essere stato il contributo di Giovanni Paolo II alla caduta del Muro di Berlino?

«Il muro di Berlino non sarebbe caduto se non ci fosse stata la tavola rotonda polacca e le elezioni del giugno 1989 in Polonia, le prime elezioni (semi)libere in un paese comunista. Tutto però è iniziato nel giugno del 1979, quando Giovanni Paolo II è andato in Polonia. Lì a Varsavia, in Piazza della Vittoria, davanti ad un milione di polacchi, ha detto che con la elezione di un Papa polacco la Polonia era chiamata ad essere terra di una responsabilità cristiana particolarmente responsabile. E poi, congedandosi davanti ad una folla immensa, ha invocato la Spirito Santo: “Vieni e rinnova la faccia della terra”. Si è fermato per un attimo e poi ha aggiunto: “Di questa terra!”. Quella sera un amico, un grande filosofo, Jósef Tischner, mi ha detto: “Qualcosa deve accadere. Nessuno sa cosa, ma nulla potrà essere come prima”. Nell’agosto dell’80, un anno dopo, Lech Wałesa ha scavalcato i cancelli dei Cantieri Navali di Danzica ed è iniziata la epopea di Solidarność. L’ordine (o, forse meglio, il disordine) europeo sancito a Yalta, che aveva consegnato metà del continente al totalitarismo comunista ed all’imperialismo sovietico, è stato sfidato da una rivoluzione cristiana pacifica e non violenta che non ha mai sparso il sangue dei suoi avversari ma solo quello dei propri martiri ed ha fatto appello alla coscienza degli oppressori. È stata la rivoluzione delle coscienze».

Cosa ha impedito che ci fosse in Polonia una repressione sanguinosa come era accaduto in precedenza in Ungheria e Cecoslovacchia?

«Quando, nel dicembre del 1981, ci fu il colpo di stato di Jaruzelsky, i duri del partito esigevano un bagno di sangue contro Solidarność mentre dall’altro lato ci si preparava alla insurrezione. Fu Giovanni Paolo II a chiedere a Solidarność di rimanere fedele al metodo della non violenza e del dialogo e ad ottenere da Jaruzelsky garanzie per la vita dei prigionieri politici. Più tardi, quando il Muro è crollato, è stato ancora Giovanni Paolo II ad orientare le energie dei popoli verso il perdono, la riconciliazione, la ricostruzione materiale e morale. Fu questa la base culturale e spirituale su cui Helmut Kohl costruì il progetto di una nuova Europa con la riunificazione tedesca, la moneta comune, la edificazione di economie funzionanti e dello Stato di Diritto nei paesi ex/comunisti. Quando Giovanni Paolo II andò a Berlino nel giugno del 1996 Kohl all’inizio era esitante. Sapeva che il Papa non era popolare fra i teologi tedeschi e sapeva anche che il pregiudizio anti/polacco vegetava ancora in strati non trascurabili del popolo tedesco. Temeva che la visita potesse essere un flop. La sera mi ha telefonato e mi ha detto: “Rocco, avevi ragione tu! Ha entusiasmato tutti. Pensa che c’era ancora più gente ci quella che è venuta alla manifestazione della Frauenkirche”, quella in cui lui fece il grande discorso da cui partì la riunificazione tedesca sulle note del canto: “Wir sind ein Volk , siamo un popolo solo».

Che teologo-filosofo è stato Karol Wojtyla e che tipo di statista?

«È stato il filosofo ed il teologo del Concilio. I popoli all’inizio della storia dell’Europa sono stati battezzati nella fede dei loro re, proprio come i bambini sono battezzati nella fede dei loro genitori. Clodoveo si è convertito e con lui sono stati battezzati i Franchi, Jogaja si è convertito e con lui sono battezzati i lituani e così via. Adesso è venuto un tempo in cui lo Spirito ci chiede di personalizzare la fede, di assumerla come forma della propria identità personale. È il tempo del sacramento della confermazione, il tempo della cresima delle Nazioni. Non a caso parlava di una nuova evangelizzazione dell’Europa. La nuova evangelizzazione non è una semplice risposta alla scristianizzazione, è lo sforzo di educare una fede matura, adulta, personale. È anche una risposta alla società liquida in cui tutti gli istinti vengono soddisfatti e tutte le domande e le esigenze fondamentali della nostra umanità rimangono senza risposta. La adolescenza è un tempo dal quale si può uscire con una regressione infantile o con la acquisizione di una personalità matura e libera. Non so se avrebbe accettato per se la definizione di statista. Si sarebbe invece sentito a suo agio in quella, cara a Papa Francesco, di discepolo missionario. Ciò non vuol dire che il suo pontificato non abbia prodotto grandi effetti politici. Lui però non faceva politica: parlava alle grandi passioni che agitano il cuore dell’uomo e facendo questo inesorabilmente cambiava i dati di partenza della azione politica».

Quale visione aveva Giovanni Paolo II della politica?

«Lui parlava all’anima delle Nazioni. Tutti pensavano che la storia la muovesse l’economia, il potere ed il denaro. Tutti pensavano che le Nazioni fossero morte. Invece erano solo addormentare e quando Lui ha parlato loro si sono ridestate. Molti pensavano che fosse morta la fede e la passione per la verità. Lui le ha ridestate e la fede è diventata di nuovo fattore di storia».

Quale era lo stile di governo di Karol Wojtyla?

«Era un uomo che aveva molti amici. A Cracovia, la città di cui è stato vescovo, era difficile trovare qualcuno che non fosse convinto di essere un suo amico personale. Un cardine della sua filosofia è che l’unico atteggiamento giusto davanti all’uomo è l’amore. Lui amava appassionatamente il destino degli uomini che aveva davanti a se. Per realizzare il Concilio nella sua diocesi fece un Sinodo Straordinario che durò sette anni. Prima però scrisse un libro “Alle fonti del Rinnovamento”, in cui sono già anticipate le conclusioni di tutti i documenti del Sinodo. Quando io glielo feci notare e gli chiesi perché mai avesse fatto il Sinodo se aveva tutto chiaro in testa fin da prima mi rispose: “Il risultato del Sinodo non sono i documenti. Sono cinquantamila persone che hanno lavorato insieme, hanno discusso insieme, hanno imparata a stimarsi gli uni gli altri, hanno imparato la Comunione some stile di vita. Sono loro le fondamenta e l’architrave della Chiesa di Cracovia”. Molti di loro sono poi diventati protagonisti anche della vita culturale, sociale e politica della città e di tutta la Polonia. Nel linguaggio di Papa Francesco potremmo dire che si preoccupava più di attivare processi che di coprire e difendere spazi».

La Curia vaticana lo ha più “subito” o gli ha più resistito?

«Questo bisogna chiederlo ad un uomo di Curia. Giovanni Paolo II non ha studiato da Papa. L’ultimo Papa che ha studiato da Papa è stato San Paolo VI. Il collegio dei cardinali ha privilegiato, negli ultimi quattro conclave, personaggi di grande esperienza pastorale, di grande levatura culturale ma non uomini che conoscono in dettaglio i meccanismi interni del governo della Chiesa. All’inizio egli ha tentato il cammino della riforma della Curia, affidata al cardinale Edouard Gagnon. Poi si è convinto che altri compiti più urgenti ed anche più congeniali richiedevano tutta la sua attenzione. Egli si sentiva chiamato al compito della predicazione e della evangelizzazione. Aveva un messaggio che doveva comunicare e questo messaggio ha sconvolto il mondo e regalato alla Chiesa una nuova giovinezza: il Salvatore dell‘uomo Gesù Cristo è il centro del Cosmo e della Storia. Si è costruito un minimo di struttura per perseguire le finalità che aveva a cuore, cioè fondamentalmente la nuova evangelizzazione, e si è appoggiato per la ordinaria amministrazione ad alcuni cardinali di grande esperienza». (Vatican Insider).


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