Come si diventa santi? Il manuale di Papa Francesco 'Gaudete et Exultate'
Papa Bergoglio, nella sua enciclica cita tre volte San Francesco d'Assisi
Come si diventa santi ? Papa Francesco nella sua Esortazione Apostolica “ Gaudete et exultate” propone la sua versione delle Beatitudini evangeliche e scrive: “torniamo ad ascoltare Gesù, con tutto l’amore e il rispetto che merita il Maestro. Permettiamogli di colpirci con le sue parole, di provocarci, di richiamarci a un reale cambiamento di vita. Altrimenti la santità sarà solo parole”.
Segue il Vangelo di Matteo con qualche inserimento di Luca e passa le Beatitudini al setaccio di Sant’ Ignazio di Loyola. Così la “povertà di spirito” è la “santa indifferenza” che sant’Ignazio di Loyola,proponeva per il raggiungiamo una bella libertà interiore, e , seguendo Luca è anche un invito “ad un’esistenza austera e spoglia”. C’è poi la mitezza. “Se viviamo agitati, arroganti di fronte agli altri, finiamo stanchi e spossati” scrive Francesco , e aggiunge : “anche quando si difende la propria fede e le proprie convinzioni, bisogna farlo con mitezza”. Ed “è meglio essere sempre miti, e si realizzeranno le nostre più grandi aspirazioni”.
C’è il tema delle lacrime tanto caro a Francesco, nella spiegazione della beatitudine sulla consolazione. “ Il mondo non vuole piangere: preferisce ignorare le situazioni dolorose, coprirle, nasconderle” e invece “la persona che vede le cose come sono realmente, si lascia trafiggere dal dolore e piange nel suo cuore è capace di raggiungere le profondità della vita e di essere veramente felice”.
C’è poi la giustizia che “non è come quella che cerca il mondo, molte volte macchiata da interessi meschini, manipolata da un lato o dall’altro” ma è quella di quando “si è giusti nelle proprie decisioni, e si esprime poi nel cercare la giustizia per i poveri e i deboli”. E poi c’è la misericordia. “Dare e perdonare è tentare di riprodurre nella nostra vita un piccolo riflesso della perfezione di Dio, che dona e perdona in modo sovrabbondante”. E cosa significa purezza del cuore? Risponde Francesco: “Quando il cuore ama Dio e il prossimo , quando questo è la sua vera intenzione e non parole vuote, allora quel cuore è puro e può vedere Dio”.
E poi la pace che per Francesco nasce dalla assenza di calunnie e dicerie e poi ci sono i perseguitati a causa della giustizia e dice : “Se non vogliamo sprofondare in una oscura mediocrità, non pretendiamo una vita comoda, perché «chi vuol salvare la propria vita, la perderà»”. Perché non si può aspettare di vivere in una società favorevole per vivere il Vangelo e si deve fare anche se in un società “alienata, intrappolata in una trama politica, mediatica, economica, culturale e persino religiosa che ostacola l’autentico sviluppo umano e sociale, vivere le Beatitudini diventa difficile e può essere addirittura una cosa malvista, sospetta, ridicolizzata”.
Come abbiamo ormai imparato Papa Francesco ama ripetere il capitolo 25 del vangelo di Matteo come una sorta di manuale di vita: “Davanti alla forza di queste richieste di Gesù è mio dovere pregare i cristiani di accettarle e di accoglierle con sincera apertura, “sine glossa”, vale a dire senza commenti, senza elucubrazioni e scuse che tolgano ad esse forza”.
E senza quegli errori nocivi ed ideologici come quello “di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri” per cui “la difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto”.
Allora scrive Francesco attenzione a non dimenticare “che il criterio per valutare la nostra vita è anzitutto ciò che abbiamo fatto agli altri”. Davanti ai rischi per la santità di oggi Francesco propone delle indicazioni pratiche come “lottare e stare in guardia davanti alle nostre inclinazioni aggressive ed egocentriche per non permettere che mettano radici”. E aggiunge: “Anche i cristiani possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale”.
E poi “non ci fa bene guardare dall’alto in basso, assumere il ruolo di giudici spietati, considerare gli altri come indegni e pretendere continuamente di dare lezioni”. Torna il tema della umiltà che “può radicarsi nel cuore solamente attraverso le umiliazioni, come quelle “quotidiane di coloro che sopportano per salvare la propria famiglia”. E magari “qualcuno può avere il coraggio di discutere amabilmente, di reclamare giustizia o di difendere i deboli davanti ai potenti, benché questo gli procuri conseguenze negative per la sua immagine”.
Gaudete, quindi di alla gioia contraria ad “uno spirito inibito, triste, acido, malinconico, o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell’umorismo”. E sì alla parresia che “è audacia, è slancio evangelizzatore che lascia un segno in questo mondo” e che grazie allo Spirito Santo permette di “ non essere paralizzati dalla paura e dal calcolo”. E quindi: “ Sfidiamo l’abitudinarietà, apriamo bene gli occhi e gli orecchi, e soprattutto il cuore, per lasciarci smuovere da ciò che succede intorno a noi e dal grido della Parola viva ed efficace del Risorto”.
E per la vita in comunità, in ogni comunità “fare attenzione ai particolari” come ha fatto Gesù. E spazio alla preghiera soprattutto per combattere le “tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita”. Francesco dedica ampio spazio al problema del Maligno e alla sua esistenza: “Non pensiamo dunque che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea.Tale inganno ci porta ad abbassare la guardia, a trascurarci e a rimanere più esposti. Lui non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio, con la tristezza, con l’invidia, con i vizi”.
Per tutto questo serve il discernimento che Francesco ripropone alla scuola di Sant’ Ignazio Un discernimento che serve anche nelle cose più semplici perché “ senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento”.
Il discernimento ci rende “capaci di riconoscere i tempi di Dio e la sua grazia, per non sprecare le ispirazioni del Signore, per non lasciar cadere il suo invito a crescere” ed è una grazia. E del resto “non si fa discernimento per scoprire cos’altro possiamo ricavare da questa vita, ma per riconoscere come possiamo compiere meglio la missione che ci è stata affidata nel Battesimo” e per questo “occorre chiedere allo Spirito Santo che ci liberi e che scacci quella paura che ci porta a vietargli l’ingresso in alcuni aspetti della nostra vita”. Francesco conclude affidandosi a Maria e aggiunge: “Spero che queste pagine siano utili perché tutta la Chiesa si dedichi a promuovere il desiderio della santità. Chiediamo che lo Spirito Santo infonda in noi un intenso desiderio di essere santi per la maggior gloria di Dio e incoraggiamoci a vicenda in questo proposito. Così condivideremo una felicità che il mondo non ci potrà togliere”.
La data della firma è quella del 19 marzo, Solennità di San Giuseppe. (Angela Ambrogetti - Aci Stampa)
Papa Francesco cita anche il Santo di Assisi:
Quando san Francesco d’Assisi vedeva che alcuni dei suoi discepoli insegnavano la dottrina, volle evitare la tentazione del gnosticismo. Quindi scrisse così a Sant’Antonio di Padova: «Ho piacere che tu insegni la sacra teologia ai frati, purché, in tale occupazione, tu non estingua lo spirito di orazione e di devozione». Egli riconosceva la tentazione di trasformare l’esperienza cristiana in un insieme di elucubrazioni mentali che finiscono per allontanarci dalla freschezza del Vangelo. San Bonaventura, da parte sua, avvertiva che la vera saggezza cristiana non deve separarsi dalla misericordia verso il prossimo: «La più grande saggezza che possa esistere consiste nel dispensare fruttuosamente ciò che si possiede, e che si è ricevuto proprio perché fosse dispensato. [...] Per questo, come la misericordia è amica della saggezza, così l’avarizia le è nemica». «Vi sono attività che, unendosi alla contemplazione, non la impediscono, bensì la favoriscono, come le opere di misericordia e di pietà»....
Purtroppo a volte le ideologie ci portano a due errori nocivi. Da una parte, quello dei cristiani che separano queste esigenze del Vangelo dalla propria relazione personale con il Signore, dall’unione interiore con Lui, dalla grazia. Così si trasforma il cristianesimo in una sorta di ONG, privandolo di quella luminosa spiritualità che così bene hanno vissuto e manifestato san Francesco d’Assisi, san Vincenzo de Paoli, santa Teresa di Calcutta e molti altri. A questi grandi santi né la preghiera, né l’amore di Dio, né la lettura del Vangelo diminuirono la passione e l’efficacia della loro dedizione al prossimo, ma tutto il contrario...
In ogni situazione, occorre mantenere uno spirito flessibile, e fare come san Paolo: «Ho imparato a bastare a me stesso in ogni occasione» (Fil 4,11). E’ quello che viveva san Francesco d’Assisi, capace di commuoversi di gratitudine davanti a un pezzo di pane duro, o di lodare felice Dio solo per la brezza che accarezzava il suo volto. Non sto parlando della gioia consumista e individualista così presente in alcune esperienze culturali di oggi. Il consumismo infatti non fa che appesantire il cuore; può offrire piaceri occasionali e passeggeri, ma non gioia. Mi riferisco piuttosto a quella gioia che si vive in comunione, che si condivide e si partecipa, perché «si è più beati nel dare che nel ricevere» (At 20,35) e «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7).
ECCO IL TESTO INTEGRALE DELL'ENCICLICA "GAUDETE ET EXULTATE"
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