Fratelli Tutti, Segoloni: 'Enciclica dedicata alla fraternità universale'
"L'accento è sull’universalità della famiglia umana, che comprende tutti e tutte"
di Simona Segoloni Ruta, storica
La prossima enciclica di papa Francesco è dedicata alla fraternità universale. Si tratta di un tema radicalmente evangelico (“uno solo è il Padre che è nei cieli e voi siete tutti fratelli”), ma trova in Francesco un’icona viva perché egli ha rigettato ogni forma di gerarchia e di esclusione, proprio per poter essere fratello di tutte le persone e di tutte le creature. Per questo Papa Francesco per il titolo della sua enciclica prende in prestito dal santo di Assisi due parole della sesta ammonizione: “Fratelli tutti”. L’accento è chiaramente posto sull’universalità della fraternità perché nella lingua italiana, quando l’aggettivo viene messo dopo il nome, si vuole mettere enfasi sull’aggettivo stesso: una cosa è dire “un nuovo giorno” (cioè un altro fra i tanti), altra è dire “un giorno nuovo” (cioè un giorno come non ce ne sono stati fin ora). Il titolo di papa Francesco – come anche il suo magistero e il suo stile – non lasciano dubbi: l’accento è sull’universalità della famiglia umana, che comprende tutti e tutte.
Perché allora tanti e soprattutto tante si pongono il problema che si parli solo di fratelli senza nominare le sorelle? Perché la condizione delle donne nel mondo e nella chiesa è ancora radicalmente ingiusta e, oramai, sappiamo che il linguaggio gioca un ruolo decisivo nel perpetrare questa ingiustizia. Il linguaggio che parla dell’essere umano al maschile, infatti, ci ha insegnato a pensare le donne come “caso strano” dell’umano, cui dobbiamo assegnare un ruolo per corrispondere al quale le donne devono avere certe caratteristiche e fare solo certe cose. La violenza di tali stereotipi è mortificante e le donne cristiane ne sono ancora più avvilite, perché la chiesa sembra essere il luogo dove tali stereotipi sono più forti, fino a far perdere l’originaria fraternità inclusiva del Vangelo. Allora le donne più sensibili su questi temi – tralascio chi fa polemica solo per fare polemica – chiedono al papa di cambiare il linguaggio: si può insegnare una fraternità che includa le donne con un titolo che le esclude?
Potremmo provare a rispondere chiedendo a Francesco cosa dobbiamo intendere quando leggiamo fratres. Notiamo che nel medioevo le donne erano considerate inferiori agli uomini e marginalizzate, eppure Francesco (diversamente da altri) riconosceva loro la capacità di seguire il Signore come se fossero uomini. Ora, nel suo mondo, considerare le donne come uomini significava liberarle, perché le toglieva dalla condanna a essere diverse dal prototipo ideale e quindi difettose. Per questo chiama Chiara semplicemente “cristiana” e si rivolge all’amica di una vita chiamandola frate Iacopa. Non insiste sulla differenza, ma sulla comune umanità, che al suo tempo non poteva dirsi se non al maschile.
Oggi vorremmo sentire riaffermato il femminile (che sappiamo non essere un difetto) perché le donne escano dall’invisibilità che fa il gioco di un sistema di potere che le umilia e misconosce i loro doni, con grave danno di tutti: questo sarebbe indubbiamente un bene. Frate Francesco però ci mostra il primo passo da fare per andare in questa direzione: perché le donne escano dall’invisibilità occorre considerarle anzitutto umane, senza altre specifiche né ruoli, e in quanto umane fratres, in una relazione paritaria cioè che ci (a noi donne) permetta semplicemente di vivere il Vangelo che abbiamo abbracciato, con i doni che Dio ci ha fatto. Hanno buone ragioni quelli che chiedono l’esplicitazione del femminile nel titolo dell’enciclica, ma frate Francesco ci precede sulla via: per lui sono fratres tutti e tutte quelli che seguono il Signore, perché, come Gesù, non è interessato al sesso di chi vuole fare la volontà di Dio. Partiamo da qui e non sarà difficile costruire un mondo e una chiesa inclusivi, nei linguaggi come nelle prassi: una chiesa secondo il Vangelo (finalmente!), come papa Francesco continuamente ci richiama a fare.
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