Se il dialogo è come... l'informe da plasmare
Una riflessione della pensatrice e docente di filosofia morale
Trovandosi a Firenze, vale la pena visitare la Galleria dell' Accademia, dove sono conservati i quattro torsi di Michelangelo, sculture vistosamente non finite, lasciate incompiute dall' artista con l' intenzione di comunicare uno dei suoi temi più cari, ossia l' imperfezione dell' essere umano attraverso la tensione fra l' immagine scolpita nel blocco della scultura e il peso inerte della materia. Il maestro sembra apparentemente non aver vinto sulla durezza del marmo, non certo per incapacità del suo fare artistico, quanto per esibire - tramite il senso di tensione e di movimento impresso nella torsione dei corpi - una contrapposizione fondamentale, un contrasto non composto e forse non componibile fra il principio formante e il principio dell' informe, tra il principio che vuole plasmare e quello che non vuole lasciarsi plasmare .
Non è questa, anche, la via dello spirito dell' umanità nelle sue tensioni sociali e politiche e anche la posizione del singolo, perennemente esposto alla lotta tra il principio che muove alla trasformazione di sé e del mondo che lo circonda, e al contempo costretto a tener conto dell' informe che irrompe, pronto a disgregare la forma, l' equilibrio, la struttura a cui faticosamente si tende? Andando oltre la possente metafora delle statue di Michelangelo, c' è da supporre che si è di continuo esposti all' influsso deformante dell' informe, ma anche spinti a recuperare l' energia necessaria per trasformare il nostro essere in un processo continuo, che richiede disciplina, costanza, apertura ad accogliere, ed anche pazienza, forza di resistere. (...)
Il principio formante è rappresentato dall' io che orienta e decide l' incontro, oppure è il movimento dialogico che impone vie diverse? La questione non è di poco conto e impone un radicale cambio di prospettiva, se si accoglie il principio che il dialogo non sia tanto una modalità linguistica consigliabile di comunicazione, al fine di neutralizzare le spinte violente dell' incomprensione e del conflitto, quanto piuttosto la struttura fondamentale dell' identità che ha da trascendersi, da uscire fuori di sé per realizzarsi e scalzare i fallimenti dell' incontro.(...) C' è da chiedersi al riguardo perché il dialogo, nome sempre esaltato nelle relazioni umane, in famiglia come nella politica, nella Chiesa come nelle associazioni, si presenta - alla prova dei fatti - come discorso retorico e inattuabile, colmo di argomenti ma vuoto di risultati, fonte di illusione nel supporre di trasformare la vita chiacchierando. Proviamo a percorrere, tramite l' apertura del pensiero e l' utilizzo di parole giuste, la via che conduce dall' io all' altro, dove si annida la malattia mortale, quella che pretende di avviare il percorso con l' intenzione di convincere l' altro delle proprie ragioni, attuando in tal modo un falso movimento. È questa la storia di molti dialoghi mancati, che così bene la Sacra Scrittura illustra: Caino e Abele, Isacco ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli, la torre di Babele e molti altri ancora. La disciplina del dialogo impone, al contrario, il movimento di 'andata e ritorno', in un con- fronto che veda il contenuto del colloquio muoversi libero da una parte all' altra, in uno scambio reciproco che neutralizzi le spinte autocentrate e, al contempo, conduca a un inedito risultato, frutto delle idee e delle argomentazioni che si incrociano, si compongono con ritmi diversi da quelli iniziali. Il dialogo, insomma, non può realizzarsi né in una lotta che preveda un vincitore, né in una sintesi composta da un falso accordo, ottenuto con l' intenzione di non nuocersi.
Riprendendo la suggestione della metafora dei torsi di Michelangelo: l' informe che pesa e paralizza il principio formante appartiene a tutti gli attori della vicenda dialogica, quando, ciascuno dalla propria postazione, presume di condurre in modo unilaterale le fila del discorso. Il soggetto immagina di essere dinamico, ma non si muove; è duro come la materia informe delle statue, che resiste all' azione creatrice dell' artista, a quel principio formante che prevede l' attenzione a chi sta di fronte, il rispetto per le posizioni dell' altro, puntando a un incontro che generi partecipazione, comprensione e condivisione.(...) Vera rivoluzione teorica, capace di rifondare «il linguaggio del nostro orientamento nel mondo» , il dialogo rovescia le usuali coordinate del rapporto fra io e tu, insistendo sul fatto che l' identità di ciascuno non è pensabile al di fuori del rapporto con il tu, non solo nel senso ovvio che l' io si distingue dall' altro, non è il tu, ma nel senso che l' identità personale si costituisce positivamente solo nella relazione con il tu .(...) Non è questa la grande sfida del pluralismo culturale e politico entro cui siamo immersi? Percorso complesso e non di rado segnato dall' astrattismo e dalla retorica politica, il pluralismo deve poter diventare valore etico-sociale quando sia disposto pragmaticamente a pensare sempre il soggetto come 'essere in relazione', a percepire la propria identità non in modo chiuso e statico, ma dinamicamente aperta al riconoscimento sociale e politico di ogni altro.
Il pluralismo, insomma, è l' inedito scenario entro cui non basta più lo scontro fra le diverse posizioni politiche per far emergere qualche forma di mediazione, ma un orizzonte culturale che dà valore alle proprie scelte, nella misura in cui queste vengono riconosciute (anche se non accettate) dagli altri. Certo, qui vale la reciproca: ogni cultura deve porsi nella condizione di riconoscere cosicché, a sua volta, possa essere riconosciuta. Si situa in questo scenario la necessità del pluralismo educativo. Un astratto cosmopolitismo di marca neoilluminista non fa che eludere le radici delle singole appartenenze, scivolando in un appiattimento dei valori e nel conseguente relativismo. Abituati a confrontarsi con la ricchezza delle diverse culture, depositarie di valori civili, culturali e religiosi, i cittadini 'plurali' non potranno che superare le forme desuete di multiculturalismo, quando queste si presentino come moltiplicazioni di identità chiuse, dentro la loro specifica differenza, separate in comunità dai confini netti e incapaci di una sana e corretta integrazione. Un sano pluralismo dialogico ha dunque bisogno di prendere le distanze sia dalla polverizzazione valoriale del relativismo, sia dalle tentazioni asociali del multiculturalismo, diventando la nuova frontiera di una corretta pratica sociale e politica, sostenuta dal dialogo, unico esercizio difficile, ma necessario. (Avvenire)
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