Psicoanalisi e libertà, tutto quello che Sartre ci insegna
È possibile per il soggetto essere libero se la sua vita è costituita dall' Altro?
Ho un profondo debito con Sartre. È il debito che si contrae con la parola di un maestro. Risale ai tempi della mia formazione filosofica presso l' Università Statale di Milano, prima che iniziassi quella psicoanalitica che ha occupato il resto della mia vita. È un debito che si intreccia con quello nei confronti di Franco Fergnani che fu mio professore in quell' Università accompagnandomi nella mia prima lettura di Sartre. Con questo libro non intendo liquidare il doppio debito ma onorarlo mostrando cosa di quell' incontro con Sartre e con Fergnani resta ancora profondamente vivo in me oggi. Un filo rosso unisce infatti lo studio di Sartre con quello ad esso coevo di Freud e con quello, immediatamente successivo, di Lacan. È questo - ristretto al suo minimo - il tripode che ha contrassegnato la mia avventura intellettuale e il mio ingresso nella psicoanalisi. Ritorno a Sartre a partire dal mio incontro con Lacan. Non sarebbe possibile altrimenti. È uno degli insegnamenti maggiori del pensiero sartriano: sempre rileggiamo il nostro passato a partire dal nostro procedere verso l' avvenire e sempre l' avvenire ci consente di dare forme diverse al nostro passato. Nel panorama filosofico e culturale contemporaneo Sartre appare come un «cane morto». Se la sua figura intellettuale e la sua opera letteraria e filosofica avevano realizzato negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale una vera e propria egemonia culturale, oggi appaiono precipitate nell' oblio. La radicalizzazione del pensiero di Heidegger verso il problema dell' Essere, da una parte, e l' affermazione dello strutturalismo, dall' altra, hanno tagliato l' erba alla vocazione umanistica del suo pensiero. La scena culturale e filosofica dopo lo strutturalismo, con l' eccezione significativa di Lacan, ha lasciato dietro le sue quinte il problema del soggetto tanto caro all' esistenzialismo sartriano.
Il carattere algido delle strutture, divenute le macchine impersonali del desiderio nella svolta vitalistica che il deleuzismo ha impresso allo strutturalismo, ha il suo corrispettivo in una psicoanalisi ormai irretita in un modello evolutivistico che trova i suoi sviluppi più recenti nell' affermazione incontrastata dei paradigmi neuroscientifici e cognitivo-comportamentali (antisoggettivistici) della vita psichica. In queste derive, seppure tra loro profondamente eterogenee, la problematica del soggetto e del processo di soggettivazione viene considerata antiquata, fuori moda, concettualmente debole. Aggredita senza mezzi termini da Heidegger, messa in seguito a morte dallo strutturalismo e dai suoi sviluppi, ridotta ad una retorica antropologia umanistica dal pensiero contemporaneo irresistibilmente attratto dal post-umano, boicottata se non schernita in più circostanze da Lacan stesso, la filosofia di Sartre è scomparsa dal nostro orizzonte culturale. Questo libro si muove dunque controcorrente proponendo un «ritorno a Sartre». In quanto scritto da uno psicoanalista lacaniano formatosi inizialmente alla filosofia attraverso l' opera di Sartre, esso non si preoccupa tant o, come si potrebbe invece pensare, di rileggere quest' opera alla luce della psicoanalisi o di confrontarla con essa, foss' anche quella di Lacan. Piuttosto il contrario: il mio lavoro vuole dimostrare quanto potrebbe essere utile oggi per la psicoanalisi non dimenticare la lezione sartriana. Nell' epoca del trionfo scientista della valutazione quantitativa, delle neuroscienze, del paradigma cognitivo-comportamentale, ma anche della forza anti-storica e impersonale della pulsione, ripensare l' irriducibilità della soggettività umana che il filosofo francese ha sempre difeso è ai miei occhi un' operazione quanto mai necessaria. Nondimeno questa irriducibilità viene pensata da Sartre stesso attraverso paradigmi differenti e non solo quello esistenzialista della soggettività in quanto «progetto», «scelta» e «libertà» - dell'«esistenza che precede l' essenza».
Il mio obbiettivo è correggere la versione stereotipata del soggetto sartriano come pura trascendenza della libertà, mostrando che il movimento più profondo del suo pensiero implica una concezione della soggettività come ripresa, assunzione retroattiva, soggettivazione di quello che Sartre definisce il carattere «insuperabile» e «inassimilabile» dell' infanzia. Il soggetto non è Sovrano, non è Sostanza, non è un Ego, poiché, semplicemente, nessun soggetto può essere senza infanzia. Sicché la sua vocazione originaria non sorge dall' intenzionalità, non è, paradossalmente, una libera scelta del soggetto, ma proviene sempre, come direbbe Lacan, dal discorso dell' Altro. Il soggetto può guadagnare la sua singolarità solo rimodellando incessantemente le tracce indelebili di questo discorso. Perciò il Sartre più maturo dissolve l' idea di un' esistenza libera che precede ogni essenza, mostrando invece quanto l' esistenza si trovi da sempre sommersa, insabbiata, presa in circuiti di costrizione eterodiretti, inclusa nell' alienazione della storia, obbligata ad una passività di fondo costituita dalle marche traumatiche del desiderio degli Altri. Per questa ragione il mio focus teorico è centrato su L' idiota della famiglia considerata l' opera maggiore del filosofo francese in cui «costituzione» e «personalizzazione » scandiscono il rapporto necessario del soggetto con gli eventi contingenti della propria infanzia. Di qui un confronto serrato con Freud e, soprattutto, con Lacan: è possibile per il soggetto essere libero se la sua vita è costituita dall' Altro? Come dobbiamo ripensare una libertà che non escluda il destino? Quale rapporto sussiste tra la necessità delle essenze storiche dalle quali proveniamo - e delle quali l' infanzia è la condensazione - e la contingenza dei nostri atti? Cosa significa scegliere la propria vita se la nostra prima vocazione è stata scelta dagli Altri? Cosa significa, insomma, pensare, come sostiene Sartre, l' infanzia al futuro? (Repubblica)
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