La 'vita segreta' di tutti gli animali
Il libro del teologo Martin Lintner si interroga sul significato globale dei nostri compagni di viaggio
Nel risvolto di copertina si è fatto fotografare con un gatto dallo sguardo sornione, facendo sospettare che vale anche per lui la confessione autobiografica di Montaigne nei Saggi: «Quando gioco con la mia gatta, chi sa se lei non si diverte con me più di quanto mi diverta io con lei». Il libro, confezionato con la collaborazione di altri due colleghi teologi, Christopher J. Amor e Markus Moling, è firmato da Martin M. Lintner, classe 1972, docente di etica nello Studio filosofico- teologico accademico di Bressanone che, pur essendo in Italia, è di lingua tedesca, come si evince non solo dall’originale del testo ma anche dalla bibliografia finale trionfalmente germanica. Il titolo Etica animale sorprende molto meno oggi rispetto al passato, considerata l’attuale sensibilità animalista che assume talora accenti veementi come nella lotta allo «specismo» condotta da Peter Singer col suo manifesto di Liberazione animale (Il Saggiatore 2015), pronto ad assegnare la qualità di «persona» anche agli animali fino all’eccesso di ritenere - a livello utilitaristico - più grave la soppressione di Gianfranco Ravasi uno scimpanzé o di un delfino adulto rispetto a quella di un bambino piccolo.
Si deve riconoscere che il testo del teologo sudtirolese/altoatesino conquista il lettore per un dettato quasi narrativo e coinvolgente, capace però - coi suoi colleghi - di scovare tutti gli angoli insospettati, oltre ai capitoli fondamentali, di questa etica molto particolare. L’antropocentrismo tradizionale, basato sugli asserti biblici, assunti talora in modo sbrigativo e assoluto (ad esempio, il celebre binomio della Genesi sul «dominare» e «soggiogare », un lessico in realtà più variegato a livello semantico ebraico), ha fatto accantonare la presenza animale. Essa era ridotta a cornice o a fondale dell’imponente presenza umana, nonostante l’affollamento del bestiario biblico che va dal sacrale «agnello» fino alla fastidiosa «zanzara». Il percorso proposto da queste pagine comprende una tetralogia di tappe che sono difficili da riassumere perché costellate di tante scene tematiche.
I primi due movimenti si allargano a ventaglio sulle questioni fondamentali. Esse si aprono proprio su un’interrogazione capitale: qual è il significato globale di un creato così molteplice nel quale l’essere umano ha, sì, una funzione di rappresentanza divina, ma non in chiave suprematista e tirannica, bensì secondo i canoni dell’etica della responsabilità? Il ventaglio, spalancandosi pienamente, si colora di ulteriori domande: esiste una differenza uomo-animale? Si può parlare di dignità animale? Quali sono stati gli approcci passati (Lintner scopre, al riguardo, un «buco nero») e quelli dell’etica filosofica attuale a tendenza «patocentrica », ossia attenta a riconoscere anche all’animale la gamma dell’esperienza del dolore? E ancora: oltre al citato Singer, come si collocano due figure importanti che si sono dedicate al nostro legame con gli animali, Tom Regan col suo I diritti animali (Garzanti 1990) e Martha Nussbaum che si è orientata a sondare le loro «capacità» applicando anche ad essi la categoria «giustizia» (ad esempio, nelle Nuove frontiere della giustizia. Disabilità, nazionalità, appartenenza di specie, Il Mulino 2007)?
Ricostruito in modo più corretto lo statuto del dialogo con queste creature viventi, che ci accompagnano nel giardino del mondo, dalla vetta dei princìpi si scende fino a valle ove si diramano le strade ben più sassose dei «campi concreti d’azione» che occupano le altre due tappe dell’itinerario di ricerca proposto da questo saggio. Qui non solo gli animalisti - ma tutti coloro che, come Montaigne e Lintner, hanno un gatto o un cane o contemplano l’orizzonte popolato di animali (compresi i pipistrelli e i pangolini saliti alla ribalta in questi tempi di pandemia) - si incontrano con un altro arco ancor più ampio di questioni. Tentiamo solo un’esemplificazione, che subito rende ragione del territorio accidentato in cui ci troviamo a procedere, anche a causa della tentazione di reazioni eccedenti in opposte direzioni.
Pensiamo all’allevamento intensivo, alle relative soppressioni e al consumo di prodotti animali. Tempo fa nelle nostre città sono apparsi manifesti a due registri: sopra, un gattino con la scritta: «lo mangi di baci »; e sotto, una gallina con la replica: «la mangi arrosto». Si accende, così, il dibattito feroce che vede avanzare la folla in crescita di vegani, vegetariani, pescetariani e così via, a cui si oppongono i «freegani», cioè coloro che invece non esitano a impiattare verdure, carni, pesci e quant’altro. Ma, procedendo in terreni più ardui, ecco la sperimentazione animale, oggetto di invincibile odio e di indomito amore per esigenze terapeutiche. Oppure l’insonne vertenza che ruota attorno agli zoo e ai circhi e, più in generale, alla custodia degli animali. Ma ancor più incandescente è la discussione sull’attività venatoria.
Il discorso si complica ulteriormente quando si assiste a fenomeni culturali inediti come la sepoltura, il lutto o l’attribuzione di legati ereditari agli animali, approdando in sede teologica all’escatologia degli animali, cioè a una loro ascensione paradisiaca, sulla quale già esitava persino per gli umani Qohelet, sapiente biblico di frontiera: «Chi sa se il soffio vitale dell’uomo sale in alto, mentre quello della bestia scende in basso, nella terra?» (3,21). Certo è che nella società odierna il nostro sguardo su queste con-creature è molto mutato, e il saggio di Lintner e dei suoi colleghi ne è un’attestazione qualificata e meditata, capace di incrociare e giudicare pacatamente le diverse sensibilità, senza ignorare che talora l’animale può diventare quasi la virtù dell’amicizia personificata per certe persone totalmente sole e dimenticate dagli altri esseri umani, ma anche non evitando di penetrare nell’oscuro sotterraneo della zoofilia.
Pur lasciando che «l’animale sia animale e l’uomo sia uomo», è possibile, in modo forse un po’ ingenuo, ripetere col Molière dell’Anfitrione che «le bestie non sono così bestie come si pensa», nonostante non ci facciano domande né ci muovano critiche. Ne erano consapevoli i santi che, come Francesco d’Assisi, interloquivano con esse: non bisogna dimenticare che la favolistica, da Esopo a Fedro, da La Fontaine a Parrault, ha proiettato negli animali quella sapienza di cui spesso gli uomini sono privi. Anzi, nella Gaia scienza con palese (ma non troppo) paradosso, Nietzsche temeva che essi «vedessero nell’uomo un essere a loro uguale che ha perduto in maniera estremamente pericolosa il sano intelletto animale, vedessero quindi in lui l’animale delirante, che ride, che piange, l’animale infelice».
Per concludere, si deve notare che in questi ultimi anni in modo inatteso gli animali sono stati scoperti anche dai teologi, al punto tale che dal 2009 esiste a Münster persino un «Istituto di teologia zoologica»… E l’opera godibile e suggestiva del professore di Bressanone e dei suoi colleghi ne è una testimonianza efficace, capace di allegare persino il delizioso film di animazione Pets. Vita da animali (2016) sulla «vita segreta» della fauna domestica che popola Manhattan!
Gianfranco Ravasi - Il Sole 24 Ore
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