opinioni

La cultura del noi come strada della rinascita

Massimo Giuliani Unsplash
Pubblicato il 09-03-2021

Nel libro del rabbino Sacks una critica alla società egocentrata

Ci sono diversi modi per dire quanto l' egocentrismo faccia male, anche fisicamente, agli individui e soprattutto alle società. C' è un modo moralistico e predicatorio, e c' è un modo ragionato e documentato dai fatti: cifre statistiche, fasi storiche, indicatori di qualità della vita. La filosofia ha percorso spesso il primo modo, con scarsi successi. Il compianto rabbino inglese (nonché Lord) Jonathan Sacks, scomparso nel novembre scorso a 72 anni, ha tentato una via diversa e con stile tipicamente anglosassone, che muove dall' esperienza e dai dati empirici, ci offre una desolante fotografia di cosa siamo diventati, nelle società occidentali, a seguito della svolta individualista degli ultimi decenni del Novecento giunta al culmine con l' esplosione della comunicazione narcisista dei social. Tale foto si trova nel libro che Sacks ha scritto poco prima della pandemia, appena tradotto da Giuntina, Moralità. Ristabilire il bene comune in tempi di divisioni, una road-map per quel che resta del XXI secolo, dove si fa il punto della crisi dell' Occidente, individuandone la causa principale nel culto dell''io' e nell' oblio del 'noi'.

E dove, con vis profetica e saggezza antica, si suggerisce la terapia: un plus di moralità, la riscoperta delle relazioni interpersonali, la restaurazione della fiducia sociale, il primato della comunità (o della società civile, se preferite) invece che dei mercati e dello Stato. Se il cambiamento climatico ambientale incombe con poche possibilità di gestirlo in tempi brevi, possiamo invece avviare e stimolare subito un cambiamento climatico culturale, dice il rabbino-filosofo inglese, se solo tornassimo a mettere il 'noi' al centro del nostro modo di pensare e di agire, se solo scegliessimo stili di vita più etici, invece della gratificazione del desiderio e degli interessi di casta. Non sembra una soluzione radicale, ma lo è: mettiamo mano ai numeri sui suicidi e sul consumo di droghe, valutiamo le disfunzioni familiari in crescita, la demotivazione esistenziale, il degrado della vita pubblica, la sfiducia diffusa, il perenne sentirsi vittime di qualcosa o di qualcuno... Forse, leggiamo nell' epilogo steso quando il coronavirus stava già scuotendo vite e coscienze, la nuova situazione mondiale costituisce l' occasione giusta.

Come dicevano i latini, il fato conduce per mano i consenzienti, ma tira con violenza quanti mancano di volontà. Cos' è dunque la moralità, di cui parla questo maestro molto ascoltato e amato nel mondo ebraico contemporaneo? Non è un mero codice comportamentale religioso, sebbene essa viva e si nutra della linfa vitale di ogni credo teologico. Neppure si riduce alle deontologie di cui parlano le filosofie antiche e moderne. Moralità, secondo Sacks, sono le nostre scelte quotidiane, quando mettiamo al centro delle nostre preoccupazioni gli altri e la cura dei loro bisogni, invece di perseguire soltanto il nostro interesse e le nostre a- spettative; quando abbiamo il coraggio di relazionarci con sincerità al prossimo de visu e non solo via sms o social; quando accettiamo i nostri limiti e riconosciamo la vulnerabilità comune a ciascuno. «Moralità è entrare in contatto con la nuda vulnerabilità umana degli altri ed è la nostra capacità di sanare parte di quel dolore. Imparo a essere morale quando sviluppo la capacità di mettermi nei panni dell' altro e questa abilità l' apprendo solo confrontandomi faccia a faccia o fianco a fianco ». E ancora, divento morale quando «sono responsabile del bene degli altri, compresi coloro che verranno dopo di me. Sono, tra le altre cose, il custode del futuro per il bene delle generazioni non ancora nate».

Jonathan Sacks è l' ultimo di una lunga serie di intellettuali ebrei che hanno messo la sveglia all' umanità circa il dovere di pesare oggi le conseguenze future delle nostre scelte: Emmanuel Levinas, Hans Jonas, David Brooks, Daniel Lubetzky, Nathan Glazer, ad esempio. Il risveglio collettivo può essere duro, ma è necessario e passa anche dalla capacità di dire dei 'no'. «Ci vuole coraggio morale - scrive Sacks - a dire No alle cose che sono allettanti nel presente ma disastrose nel lungo termine, e abbiamo bisogno di spazio nella nostra vita per raccogliere la saggezza relativa al bene comune, e per prendere in considerazione il sacrificio ora, a vantaggio del bene delle generazioni future». Qualcuno dirà che questo Sacks è un conservatore, è di destra; e altri diranno: no, è di sinistra. In vero è un maestro che non ha mai guardato agli schieramenti politici o alle mode; cresciuto in una modesta famiglia di immigrati ebrei, ha avuto la possibilità di studiare nelle ottime università inglesi e si è impegnato a servire la sua comunità e il suo Paese in nome del suo ebraismo, ortodosso sì ma aperto al dialogo con tutti, diventando un vero leader religioso. Cosa ci si aspetta da un leader? Che abbia una visione lucida delle cose, soprattutto dei problemi; empatia con la gente; preparazione e coraggio; che sia saggio e forte ma anche umile e capace di ascolto.

 

L' intima conoscenza della Torà scritta e orale gli ha aperto mondi, che rav Sacks ha condiviso in decine di libri e saggi dedicati alla riconciliazione sociale, al dialogo interreligioso, alla ricerca della «dignità della differenza » e, ora, alla riscoperta della fiducia sociale basata su un rinnovato senso dei nostri limiti. «Minando i concetti classici di umanità, le visioni di marxisti, darwiniani e freudiani hanno tragicamente eliminato le grandi limitazioni al comportamento umano. Lo hanno fatto in modi diversi, ma tutti hanno sovvertito la forza del 'tu non...'. Quando muore il sacro, allora niente è sacrilego; quando non c' è un Giudice, non c' è giustizia». La visione del rabbino Sacks resta radicata nel Grande Codice dell' Occidente, che è summa di valori etici e norme morali perché è la codificazione dell' idea che ogni essere umano ha dignità in sé ed è inviolabile, e che da tale dignità scaturiscono doveri precisi e altrettanto inviolabili. A quando una 'carta dei doveri dell' uomo'?, si ironizza spesso. Forse quando cesseremo di sentirci tutti vittime, di 'esigere' e cominceremo invece a dare, a condividere. Una società sradica l' odio sociale quando cambia passo, si apre e diventa inclusiva, e agli 'io' organizzati per rivendicare sostituisce il 'noi' teso al bene comune. (Avvenire)

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