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Il 'Padre nostro' svela il volto luminoso di Cristo

Gianfranco Ravasi - Il Sole 24 Ore pixabay
Pubblicato il 10-01-2021

Potenza della preghiera

Wittgenstein nei suoi appunti del 1914-16 annotava: «Pregare è pensare al senso della vita». Kierkegaard era ancor più radicale: «Gli antichi dicevano che pregare è respirare. Si vede, allora, quanto sia sciocco chiedersi un “perché”. Perché io respiro? Per non morire. Così con la preghiera». Bisogna, però, riconoscere che molti ai nostri giorni hanno mozzato questo respiro dell’anima, né si curano di «pensare al senso della vita», per cui è raro vedere mani giunte o braccia levate in segno di orazione. Eppure non si spegne il flusso di testi dedicati a questo atto religioso universale, persino (anzi, forse proprio) in questo periodo di pandemia: ad esempio, tre teologi, un austriaco, un italiano e uno spagnolo, si sono recentemente interrogati sul «ripensare la preghiera nel tempo dell’emergenza» con un e-book.

Noi, però, abbiamo scelto una trilogia all’interno della bibliografia cartacea, partendo da un piccolo classico apparso in inglese nel 1970 e in francese nel 1971, e proposto ora in italiano dalla vivace casa editrice protestante dei Gruppi Biblici Universitari. Il titolo sembra strano, L’impossibile preghiera; l’autore è una figura importante della saggistica francese, Jacques Ellul, nato a Bordeaux nel 1912, convertitosi alla Chiesa Riformata dall’ebraismo familiare, e morto nel 1994. Docente di teologia, di etica e di diritto, collaboratore della famosa rivista «Esprit» su impulso del filosofo Mounier, ha legato il suo nome ai tre volumi della sua Ethique de la liberté (1968-94), un vasto affresco teologico della libertà come liberazione in Cristo, e a un altro importante e fortunato trittico sulla Storia delle istituzioni tradotto in italiano da Mursia.

Ma soprattutto la sua figura è divenuta emblematica come antesignano del confronto tra il dato teologico e l’evidenza sociologica, in particolare col nascente impero della tecnica che egli aveva desacralizzato, svelandone il determinismo e l’omologazione antropologica. Ed è proprio in questo contesto che la preghiera diventa apparentemente «impossibile» e l’anima si intisichisce. Eppure, proprio nel deserto spirituale che la tecnocrazia sta creando, radendo al suolo ogni anelito verso la trascendenza, Ellul è convito che si debba far scorrere il fiume fecondatore dell’orazione. Ma perché le sue acque siano pure, è necessario smitizzare «visioni intime e rassicuranti della preghiera» e ai «fondamenti fragili» sostituirne di solidi, rigenerando il linguaggio.

In questa operazione catartica lo studioso replica anche a «tutte le ragioni per non pregare», a partire da quella implicita ma dominante in molte persone: «è perfettamente possibile vivere senza pregare». Introduce, così, la «sola ragione» che motiva il pregare. Essa è a prima vista paradossale, affidata a un comandamento di Cristo: «Vegliate e pregate!». Non possiamo né vogliamo articolare questa «ragione » così sconcertante nel suo stesso autoporsi: solo la lettura del capitolo quarto che è il cuore del libro, con la finezza delle sue argomentazioni, il ricamo delle citazioni, la vivacità stessa del dettato, può dispiegare il senso di questo atto tutt’altro che consolatorio o devozionale e magico. Non per nulla l’ultimo capitolo è - nella linea di un’antica tradizione spirituale che ha un suo archetipo simbolico nella lotta del patriarca ebreo Giacobbe con l’Essere misterioso lungo le rive del fiume Jabboq (Genesi 32,23-33) - segnato dall’immagine del «combattimento » con Dio e persino contro Dio.

Giustamente il saggio - che è accompagnato nell’edizione italiana da un’accurata introduzione della teologa Elisabetta Ribet, la quale contestualizza anche lei la proposta di lettura nell’orizzonte dell’attuale pandemia - è suggellato in finale da una breve post-fazione del pastore Jean-Sébastien Ingrand dal titolo emblematico Salire sul ring della preghiera con Ellul. Come è noto, Gesù non si è accontentato di proclamare quell’appello-comando, ha offerto anche un modello di preghiera, il «Padre nostro», giunto a noi in due redazioni evangeliche omogenee nella sostanza: Matteo, pur con la formulazione più a ricalco sul linguaggio originale semitico di Gesù, riflette col suo settenario di domande aggiunte già l’uso liturgico da parte della comunità cristiana delle origini (6,9-13); Luca segue, invece, la struttura originaria con le sue cinque invocazioni, ma il dettato è adattato al probabile mondo di matrice pagana a cui prevalentemente si rivolge (11,2-4).

Questa preghiera che Tertulliano, il primo commentatore dell’oratio dominica (la «preghiera del Signore»), definiva il breviarium totius evangelii, è stata oggetto di infinite analisi. Una menzione particolare merita il secondo volume della trilogia che stiamo proponendo, un’opera del francese Jean Carmignac (1914-1986), uno dei massimi esperti dei manoscritti di Qumran, scoperti nel 1947 in 11 grotte incombenti sulla costa occidentale del mar Morto, eredità di una comunità giudaica spazzata via dai Romani del 73 d.C. Al «Padre nostro» e alla filigrana ebraica sottesa egli ha consacrato un imponente saggio, frutto della sua tesi dottorale, che però ha poi condensato in un libretto che ora Antonio Garibaldi ha tradotto per i lettori italiani. Il punto rovente per lo studioso (e lo è stato per tanti) è la resa della sesta invocazione: «Non ci indurre in tentazione», che ora anche la Conferenza Episcopale Italiana ha meglio tradotto con un «Non abbandonarci alla tentazione».

Rimane, comunque, interessante seguire l’intero commento di Carmignac, non solo per comprendere la sua versione di quella domanda sulla tentazione (che fu oggetto di un’aspra polemica con la resa adottata allora dalla Chiesa di Francia), ma anche per respirare l’atmosfera e udire quasi l’eco delle parole di Cristo con tutte le loro connotazioni e allusività. A questo punto, col terzo scritto, facciamo un balzo in avanti, tirando e forse strattonando il «Padre nostro» fino alla nostra secolarizzata e - come si diceva - poco orante società contemporanea. Per altro, ci aveva già provato Hemingway con una sua quasi blasfema trascrizione, sostituendo alle parole della preghiera evangelica un terribile e personificato NADA, in spagnolo «nulla»: «O NADA, che sei nel NADA...» e così via (in uno dei suoi 49 racconti del 1938).

Anche se non così aggressive, sono sorprendenti le «riscritture civili tra musica e letteratura» che con molta creatività il giornalista e docente Alberto Sebastiani ha raccolto in un volumetto suggestivo. Con finezza interpretativa egli convoca testi e idee di personalità della cultura attuale, attente a registrare la sensibilità contemporanea, senza perdere il gusto dello scavo testuale: Erri De Luca, Vito Mancuso e anche il cardinale portoghese José Tolentino de Mendonça. Ma la sorpresa è nella convocazione sulla ribalta - dopo un’essenziale ma acuta analisi del testo del « Padre nostro» e della voce «spirituale » di Pasolini - di un’inattesa scelta di interpreti. Ecco il cantautore Vasco Brondi col suo straniato «Ingegnere aerospaziale che sei nei cieli...», una sorta di pastiche con altre preghiere e un provocatorio affacciarsi verso l’«eternità su YouTube». Ecco anche il rock alternativo del «Teatro degli Orrori» con un loro Padre nostro, che cita integralmente, commenta e decostruisce le parole di Gesù, in questo caso affacciandosi sulle sofferenze del mondo. Infine, è di scena il gruppo folk rock dei Gang che, sulla scia di Erri De Luca, invocano: «Marenostro ascolta ti prego... », con evidente rimando alla tragedia dei migranti nel Mediterraneo («...ti prego stanotte / non li affogare / Marenostro mare»).

di Gianfranco Ravasi - Il Sole 24 Ore

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