opinioni

Greta e il beato Egidio

Felice Accrocca
Pubblicato il 10-10-2021

«La speranza non viene dal bla bla bla dei politici»; le parole di Greta Thunberg sono state sovente riprese nei giorni scorsi, richiamate anche dal presidente italiano Sergio Mattarella. Esse costituiscono, senz’ombra di dubbio, un chiaro segnale che i giovani lanciano a una politica che — persa dietro i sondaggi, divenuti ormai la sua principale preoccupazione giornaliera — sembra incapace di pensare oltre il quotidiano, il quale molto spesso si riduce alla rincorsa di un effimero consenso.

A far fortuna è stata soprattutto l’espressione «bla bla bla», notissima agli appassionati dei fumetti (come chi scrive), ma che ha finito per sorprendere i più...
Ciò mi ha fatto riflettere sull’incisività di certe espressioni estranee al politichese, che sembra invece preferire, con sempre maggior frequenza, un linguaggio violento e offensivo. Nel ricercarne la lontana origine, mi è tornato alla mente uno dei Detti del beato Egidio († 1262), che fu tra i primi compagni di Francesco d’Assisi. Originario anch’egli della città umbra, risiedette però per lunghi decenni a Perugia, dove si ritirò a vita contemplativa nel 1226 dopo essersi dedicato a lungo al lavoro manuale con il quale si guadagnava da vivere, insegnando al contempo agli uomini ad amare Iddio. I suoi gustosi Detti, pieni di sapienza, hanno nutrito interiormente generazioni e generazioni, trasmessi da un’intricata tradizione manoscritta che ha fatto sudare le proverbiali sette camicie al suo editore critico, Stefano Brufani.

I Detti s’inseriscono nella ben nota e plurisecolare tradizione dei Verba seniorum o Apophtegmata Patrum, un genere letterario straordinariamente efficace che, attraverso brevi sentenze, offriva chiari indirizzi sulla vita spirituale a coloro i quali decidevano di voltare le spalle al mondo optando per la vita religiosa. La Tebaide dell’alto Egitto tra IV e V secolo fu la fucina principale di tali collezioni: qui furono messe infatti per iscritto le Vite di alcuni padri distintisi per santità e sapienza, alle quali si affiancarono presto i loro stessi Detti: tradotti in latino e poi anche in volgare, finirono per conoscere una straordinaria diffusione. Ad essi vennero nel tempo accostandosi altre opere del medesimo genere, per quanto stavolta scritte direttamente in latino, quali le Conlationes di Giovanni Cassiano, conosciutissime nel medioevo grazie anche ai loro numerosi volgarizzamenti.

A riprova della diffusione di simili testi sappiamo ad esempio che — vivente ancora Francesco — i frati minori intervenuti nei Capitoli si intrattenevano tra loro «sulle vite dei santi padri, o della perfezione di qualche frate, o come meglio potessero rendersi graditi al Signore nostro», come scrive Giovanni da Perugia, discepolo del beato Egidio e autore dell’opera impropriamente nota come Anonimo Perugino.

Ebbene, uno dei detti attribuito al beato Egidio — trasmesso non in una collezione autonoma, ma solo da una delle sue vite (la cosiddetta Vita III)— riporta le parole che, nel suo dialetto, egli avrebbe chiesto di ripetere a un predicatore sulla piazza di Perugia: «Bo, bo, molto dico e poco fo». Autentico o meno che sia, il detto del frate assisano ha goduto poi di una florida vita, trasmesso oralmente anche da molti maestri di noviziato.

«Bo, bo», avrebbe dovuto dire il predicatore: «Bo, bo», un suono onomatopeico che sta quindi a indicare le molte chiacchiere alle quali non seguono i fatti («molto dico e poco fo»), proprio come il «bla bla bla» di Greta. Con una qualche differenza, però, perché il beato Egidio chiedeva a ognuno di puntare il dito innanzitutto contro se stessi: tradotto in termini odierni, contro quelli di noi che vivono nelle zone ricche del mondo — adulti o giovani, non fa differenza — e sono chiamati a un uso più essenziale delle limitate risorse terrestri (quante docce non necessarie, quanta acqua sprecata ogni volta che ci laviamo i denti). Ne saremo capaci?

(L'Osservatore romano

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