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Giovani e donne sono il motore per ripartire

Mario Deaglio Pixabay
Pubblicato il 04-01-2021

La ripartenza della quale si parla spesso non è così facile

Mia madre mi raccontò che quando nacqui, in pieno 1943 - con parto travagliato, e le urla sue che si sentivano ovunque nell' Ospedale di Pinerolo, pieno di alpini feriti in Grecia - i miei genitori si sentirono in obbligo di offrire un piccolo rinfresco ai ricoverati. Fui quindi salutato in questo mondo con un brindisi e con l' augurio - sicuramente sentito - di non essere mai coinvolto in una guerra. Quest' augurio ha tenuto finora, le poche guerre - talvolta anche molto cruente - in cui siamo stati coinvolti non hanno mai toccato, se non in maniera indiretta, il territorio italiano, non hanno mai messo in crisi i nostri progetti personali e collettivi né influito più di tanto sulla nostra vita di tutti i giorni. La pandemia, però, è quasi peggiore di una guerra.

Non ti ferisce fuori ma ti punge dentro anche quando non ti ammali, tocca tutto ciò che fai e tutto ciò che sei, non ci sono distruzioni materiali bensì devastazioni del nostro modo di vivere con l' annientamento di progetti e programmi. La "ripartenza" della quale si parla tanto, spesso senza avere il coraggio di approfondire, non è la semplice messa in moto di un treno fermo su un binario di una stazione. La vecchia strada ferrata (un' economia globale, una potenza egemone, una moneta solida e accettata ovunque) è finita proprio alla Stazione Pandemia. Non basta scegliere una meta nuova, bisogna anche costruire una nuova ferrovia per arrivarci. Per andare alla destinazione che sceglieremo avremo a disposizione, grazie all' Unione europea, grandi risorse finanziarie, da restituire solo in parte. Ci verranno versate "a rate", a condizione che i progetti siano ragionevoli e che la loro realizzazione sia costantemente verificabile dalla stessa Unione Europa.

Qualcosa di simile era avvenuto quando avevo poco più di quattro anni, a Torino erano ancora visibili i segni dei bombardamenti, nelle case d' inverno faceva freddo per scarsità di carbone e si diede il via al Piano Marshall. Questo sistema ebbe le sue prime incrinature '68, con le rivolte studentesche del '68, la guerra del Kippur del '73 e la conseguente crisi energetica, con un lampione su due spenti nei centri urbani e le domeniche senz' auto.

L' Italia aveva dietro di sé un quarto di secolo di crescita economica spettacolare che l' aveva portata ai primi posti in Europa con settori economici di eccellenza dall' auto alla chimica e ai computer. Tralasciamo i decenni successivi quando il Paese continuò a crescere accumulando allegramente debito pubblico e veniamo all' ultimo quarto di secolo: stagnazione, perdita di terreno nei confronti degli altri Paesi avanzati, un primato imbarazzante nella percentuale dei giovani che né lavorano né studiano e uno degli ultimi posti per le spese di ricerca scientifica in percentuale del Pil. Molti, senza dirlo apertamente, vorrebbero tornare a quello stato pre-pandemico, ossia usare i soldi nuovi per progetti vecchi riverniciati. Con un grande "tavolo" e tanti "tavolini" per decidere la distribuzione delle risorse. In realtà, non bastano i tavoli, ci vogliono le idee. E di idee nuove, strutturate in progetti realizzabili e coerenti, non ci sono molte tracce, tranne i progetti "verdi", ben articolati solo a livello europeo.

A differenza del dopoguerra, quando il nuovo Parlamento democratico italiano, istituì una commissione per sentire il parere dei grandi leader industriali, pubblici e privati, sulle possibilità di rilancio del paese in quegli anni, Togliatti si fece spiegare da Mattioli, amministratore delegato della Banca commerciale italiana, il funzionamento del sistema bancario; nel 1951 venne istituita un' altra commissione parlamentare sulla miseria in Italia e i mezzi per combatterla. Oggi i politici non si fanno spiegare quasi niente da nessuno: molti di loro pensano di sapere già tutto perché l' hanno letto su Internet. Il dibattito sulla "ripartenza" non si può risolvere in poche e frettolose sedute parlamentari per poi affidare il tutto a una "task force" e a una "cabina di regia". Il processo di determinazione della strada da costruire e da percorrere dovrà svilupparsi su un ampio scenario temporale e non ci devono spaventare i termini strettissimi per presentare progetti a Bruxelles: nessuno in Europa ha idee precise, i particolari del quadro si determineranno cammin facendo.

L' importante è avere alcuni punti di riferimento. Il primo, noto a chiunque abbia provato a "simulare" l' andamento futuro del sistema economico italiano, mostra che il Pil deve crescere a un tasso medio annuo superiore al 2 per cento nei prossimi decenni. Altrimenti continueremo a stagnare. Questa crescita deve essere accompagnata da una redistribuzione di risorse verso i giovani e verso le donne, due segmenti della popolazione italiana in posizione negativa e fortemente anomala rispetto al resto del mondo avanzato. Solo a questo punto possiamo parlare di settori senza costruire castelli in aria. E proprio di qui dovrebbe partire un grande dibattito nazionale. (La Stampa)

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