opinioni

Carità politica, comunità di fratelli

Alex Zanotelli Ansa - Francesco Malavolta
Pubblicato il 15-03-2021

È mai possibile che non ci commuoviamo davanti alla sofferenza e morte di milioni di persone? 

Papa Francesco nel primo capitolo dell’enciclica Fratelli Tutti analizza “Le ombre di un mondo chiuso”. Parla di “guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali, religiosi e tanti soprusi contro la dignità umana.”  È chiaro che ci troviamo davanti a un’umanità ferita, situazione che il Pontefice legge alla luce di un’icona biblica: la parabola del Samaritano. Un uomo si commuove nel vedere un altro uomo ferito dai briganti, si prende cura di lui e lo porta in un albergo, mentre un sacerdote e un levita passano e non si fermano.  Noi occidentali dovremmo riconoscerci nei briganti e negli indifferenti davanti al dolore del mondo, ma non riusciamo ad ammetterlo e troppo spesso pensiamo di essere i buoni samaritani di turno. La realtà è un’altra, almeno davanti all’immenso grido degli impoveriti che sale fino a noi. Certo, anche fra noi occidentali ci sono tante persone buone che si commuovono e danno una mano a chi soffre. Purtroppo spesso questa rimane una carità individuale; manca quella ‘carità politica’, come la chiama papa Francesco. “È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza”. È facile per noi fare la carità a chi soffre la fame, ma troviamo difficile impegnarci a cambiare le strutture che producono la fame. Eppure le abbiamo davanti a noi: strutture economiche-finanziarie, militarizzate che uccidono per fame, guerra, e avvelenano l’ambiente entro cui viviamo. E non ce ne accorgiamo. 

Due miliardi di persone soffrono per insicurezza alimentare, mentre settecento milioni soffrono la fame. Muoiono per fame almeno venti milioni di persone, mentre i paesi ricchi buttano via un miliardo e quattrocento milioni di tonnellate di cibo buono. Tutto questo produce milioni e milioni di migranti e rifugiati, che il mondo ricco non vuole accogliere. E per difendersi dagli impoveriti, questo Sistema si arma fino ai denti. Lo scorso anno abbiamo speso a livello mondiale 1.917 miliardi di dollari al minuto in armi. È mai possibile che noi benestanti non ci commuoviamo, come ha fatto il Buon Samaritano, davanti alla sofferenza e morte di milioni e milioni di persone e anche del male che facciamo al Pianeta? 

Quello che papa Francesco chiede all’umanità è una rivoluzione culturale: diventare una comunità di fratelli. È il sogno che tutti possano sedersi alla comune mensa in pari dignità e in profondo rispetto nelle differenze (anzi trovandosi ricchi nelle loro differenze!) e condividendo i beni della Terra, nostra casa comune. L’attuale globalizzazione è la negazione di questa visione. Per realizzare la grande festa della fraternità universale, il Papa insiste che tutta l’umanità deve diventare una comunità di fratelli. E per arrivare a questo dice che dobbiamo praticare la carità non solo individuale, ma soprattutto quella politica. L’amore infatti non si esprime solo nei piccoli gesti di amore, “ma anche nelle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici”

Per realizzare questo sogno, Francesco rimette in discussione una serie di tabù: la proprietà privata, “La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. Il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale”; la ‘guerra giusta’, “... oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile ‘guerra giusta’. Mai più la guerra!”; e infine la pena di morte, “oggi affermiamo con chiarezza che la pena di morte è inammissibile e che la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia abolita in tutto il mondo.”  L’importante, ci ammonisce Francesco, è di “essere capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina.”

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