Bibbia letta, scrutata e tradotta
Sacre Scritture: un nuovo testo integrale e commentato
«Cristo mi ha parlato attraverso il suo isolamento, il peso della sua morte, il suo sdegno, il suo dolore…». Non è la confessione pubblica di un predicatore o di un mistico, conquistato dalla voce di Cristo che fuoriesce dalle righe del Vangelo di Marco a cui egli rimanda. Si intuisce chi sia quando dichiara: «Non devo far altro che salire sul palco e lasciare che l’anatema di Dio mi ruggisca dentro e s’impossessi di me». Sì, è un cantautore, che riconosce di essere «ossessionato» dalla Bibbia, pur rimanendo sostanzialmente non credente: è l’australiano Nick Cave, classe 1957, affacciatosi anche in Italia non tanto tempo fa col suo film-concerto Idiot Prayer (e già il titolo è un emblema) e ora nelle librerie col suo Stranger Than Kindness (il Saggiatore).
È forse l’ultimo della lunga serie di artisti che, apparentemente remoti dai testi sacri, talora persino avvolti da un alone sulfureo, hanno rivelato in filigrana alle loro opere il balenare di una Parola trascendente: ad esempio, ricordiamo Leonard Cohen o Bob Dylan più a loro agio con le Scritture Sacre e, a suo modo, anche De André, oppure un inatteso Springsteen e così via. Anzi, l’editrice Claudiana ha da tempo inaugurato una collana ove si va alla ricerca delle orme bibliche persino lungo i passi di Tex Willer, nelle liti dei Simpson, lungo le strisce della Mafalda di Quino, entrando persino nel frastuono di Star Wars o nelle trame di Stephen King… A costo di ripeterlo per l’ennesima volta, è la conferma dell’insonne presenza del «grande codice» biblico nella cultura occidentale non solo alta ma nazional- popolare.
Questa premessa è destinata a salutare un’impresa che le Edizioni San Paolo hanno realizzato con un importante battage pubblicitario: è la pubblicazione di una nuova Bibbia integrale commentata, offerta a un orizzonte vasto anche attraverso il costo veramente sorprendente, tenendo conto dell’imponenza del volume (più di tremila pagine). Come è accaduto per una delle Bibbie più diffuse, quella cosiddetta «di Gerusalemme» edita dalle Dehoniane, anche questa ha un motto che la definisce e che è trasparente: «Scrutate le Scritture ». Si tratta di una frase, venata di polemica, che Gesù lancia contro quei Giudei che «cercavano persino di ucciderlo perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio» (Giovanni 5,18).
Il verbo greco usato da Gesù è eraunan e ricorre solo sei volte nel Nuovo Testamento, due proprio nel quarto Vangelo, sempre col significato di «scrutare, indagare, esaminare, ricercare». Giustamente può diventare la sintesi ideale di un metodo corretto di lettura della Bibbia, opposto ai due estremi del letteralismo fondamentalista e dello spiritualismo evanescente. L’approccio viene ulteriormente precisato attraverso una «grammatica» ermeneutica di otto regole approfondite nell’introduzione generale. Se volessimo spremerne il succo interpretativo, potremmo rimandare a un bel suggerimento di Emmanuel Lévinas nel suo saggio, folgorante già nel titolo, L’al di là del versetto: «Strappare alle parole bibliche - come se fossero le ali ripiegate dello Spirito - tutti gli orizzonti che il volo dello Spirito può abbracciare, tutto il senso che queste parole portano o al quale esse risvegliano».
In questa operazione risulta fondamentale una via o regola che costituisce l’originalità o specificità di questa Bibbia, allestita da una piccola legione di esegeti prevalentemente italiani e molti ancor giovani. È un metodo ben noto già alla tradizione classica con la proposta del grammatico e filosofo greco del IIIII sec. a.C. Aristarco di Samotracia, soprannominato «l’eruditissimo»: «Omero si spiega con Omero». È la scelta anche del giudaismo col principio, coniato da rabbì Hillel, detto ghezerah shawah, ossia della «deduzione logica»: si instaurava la rete dei passi paralleli biblici nei quali una parola o un’espressione ricorreva e se ne estraeva un messaggio coerente. Ora questa comparazione nella Bibbia. Scrutate le Scritture è visibile già graficamente nei margini del testo sacro che è costellato di rimandi ai paralleli, così come lo è nel taglio delle note (a riprova, si legga il commento ai primi tre capitoli della Genesi).
Ma un’altra conferma viene dalle 380 note tematiche che applicano il metodo in questione alle categorie bibliche capitali (alleanza, amore, fede, grazia, giustizia, miracolo, mistero, morte, risurrezione, rivelazione, vangelo, verità e così via), ma anche a simboli minori, forse inattesi, eppure significativi, come anello, asino, bacio, bastone, carne, coscia, la formula «Eccomi», germoglio, issopo, luna, ombra, radice, sigillo, solitudine, vesti bianche etc. A proposito di simboli, domina nella copertina quello vegetale caro alla sapienza biblica che si autodefinisce così: «È un albero di vita per chi l’afferra e chi ad essa si stringe è beato » (Proverbi 3,18). E il commento è affidato, nella quarta di copertina a Efrem il Siro, Padre della Chiesa d’Oriente del IV secolo: «La Parola di Dio è un albero di vita che da tutte le parti ti porge frutti benedetti».
Nella sua Lettera apostolica Scripturae Sacrae Affectus, emessa il 30 settembre scorso in occasione del XVI centenario della morte di san Girolamo, il grande traduttore e interprete della Bibbia, papa Francesco in finale citava un appello di quel Dottore della Chiesa: «Leggi spesso le Divine Scritture; anzi, le tue mani non depongano mai il libro sacro» (così nell’Epistola 52,7). Questo invito, per le ragioni dette in apertura, vale anche per i non credenti, ma in modo cogente per i cristiani che - sempre secondo Girolamo - in Cristo, la Parola fatta carne, hanno «Colui che ha in mano la chiave di Davide» che apre le verità racchiuse nello scrigno dei libri sacri. Per costoro decisivo è, perciò, il Nuovo Testamento. In questa luce dobbiamo suggerire con altrettanto calore l’edizione delle Scritture cristiane, elaborata in chiave ecumenica e basata sulla mirabile «sinossi» tra testo originario greco, traduzione latina e versione italiana ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana.
Un cenno speciale merita il cuore del volume, ossia il testo originale greco del Nuovo Testamento perché è offerto secondo l’edizione critica più qualificata, la quinta (2020) del famoso The Greek New Testament, alla cui elaborazione in passato s’era impegnata una schiera di studiosi di altissimo livello, tra i quali anche il card. Carlo Maria Martini. Una grandiosa introduzione di un centinaio di pagine delinea la mappa di questa operazione scientifica, non ignorando che, accanto al fluire del testo greco col suo apparato critico, scorre anche la Nova Vulgata latina. Ritorna, così, in scena Girolamo: infatti, dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica decise di promuovere una revisione della Vulgata, frutto del lavoro che il santo dalmata svolse soprattutto a Betlemme ove si era ritirato negli ultimi 34 anni della sua vita (dal 386 al 420). Questa operazione cercava di sintonizzare la versione geronimiana con le nuove acquisizioni della scienza esegetica.
Non è raro che i lettori mi interpellino esprimendo il loro desiderio di accostare i testi sacri originali. Questa è un’occasione felice per quanto concerne il Nuovo Testamento, in greco Kainè Diathèke. A questo proposito, intenerisce la confessione della giovanissima s. Teresa di Gesù Bambino - sì, la figura dolce e patetica della Leggenda del santo bevitore, il racconto del 1939 dell’ebreo Joseph Roth, divenuto il bel film di Ermanno Olmi (1988) - che sognava: «Se io fossi stata prete, avrei studiato a fondo l’ebraico e il greco per conoscere il pensiero divino, così come Dio ha voluto esprimerlo nel nostro linguaggio umano».
di Gianfranco Ravasi, Il Sole 24 Ore
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