Lettere al direttore

Uccidere una donna è più grave che uccidere un uomo?

Enzo Fortunato
Pubblicato il 30-11--0001

Spett.le Redazione, signor Fausto Belia, mi riferisco all’articolo “Femminicidio e le colpe della società” uscito sul numero di marzo. Il femminismo odierno imperante, nella confusione e negazione attuale delle differenze di genere, porta a chiedere pene esemplari per difendere le donne, (giusto difenderle), e creando una assurdità palese, uccidere una donna sarebbe più grave che uccidere un poliziotto, un medico, se uomini, o chiunque altro. La levata di scudi contro gli uomini che ferocemente uccidono le donne, uccisioni e violenze ovviamente esecrabili e da prevenire ed evitare se possibile, e da punire severamente se verificatesi, appare stridere alquanto nei tempi attuali nei quali noi viviamo, quando le donne abortiscono con il permesso della legge, con il riconoscimento legale di un diritto (!!!). Sento dire che almeno un terzo delle donne ha subito violenza da un uomo. Ma chi fa le statistiche? E cosa si mette in queste statistiche e cosa si esclude dalle stesse? Insomma la rivolta contro le violenze è legittima e doverosa. L’attuale moda “femminista” (come definirla?) mi pare inadeguata. Nella società degli aborti, nella società che chiede di parificare le unioni omosessuale alle unioni eterosessuali, ci manca solo che si stabiliscano pene più severe a chi uccide una donna e meno severe a chi uccide un uomo, e che pene dare a chi uccide un bambino? Mi auguro che il coro attuale rientri in un più equilibrato giudizio. Cordialità,
Maurizio (MO)


Carissimo Maurizio,
innanzitutto grazie per la tua e-mail. Ti rispondo con le parole del dott. Belia. «Gentile lettore, oggi, 14 maggio, mentre sto rispondendo alla sua cortese lettera, il Corriere della Sera ha in prima pagina, taglio basso, il titolo “Rosaria, la miss in fin di vita per le botte del suo fidanzato”. Lei ha ragione su un punto: non bisogna far parte di un coro – qualsiasi coro, se mi permette – perché ciò impedisce di leggere correttamente la realtà. Nel 2012 sono state 124 le donne uccise in Italia e 47 ferite: il 60% di questi casi è avvenuto all’interno di una relazione fra la vittima e il suo carnefice. I dati sono stati diffusi da associazioni e organizzazioni, incrociando notizie e fatti di cronaca, perché finora – data la ”novità” del fenomeno femminicidio – mancano statistiche ministeriali. Nel 2006, invece, prima che il fenomeno assumesse tali dimensioni, l’Istat certificava che 14 milioni di donne erano state oggetto di violenza fisica, sessuale o psicologica e che il 69,7% degli stupri era responsabilità dal partner. La violenza sulle donne, fino ad arrivare al femminicidio, è ormai un fenomeno diffuso e inquietante, gentile lettore, come indica una recente sentenza della magistratura francese. Il 23 marzo 2012 la corte d’assise di Douai, nel nord della Francia, ha assolto una donna di 32 anni, che aveva ucciso a coltellate il marito, alcolista e violento, che per anni l’aveva maltrattata. Era stato lo stesso pm a chiedere l’assoluzione, rivolgendosi alla donna con queste parole: “Lei non ha nulla a che fare in questa corte d’assise. Questo processo va al di là di lei, perché sullo sfondo ci sono tutte quelle donne che vivono tutto quello che lei ha vissuto... il rumore di quei passi che salgono le scale e che ci fanno capire ogni sera che quando lui rientra dal lavoro il pericolo entra in casa”».
Un caro saluto di pace e bene

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