Quel delizioso "cibo degli dei" il più dolce tra i piaceri proibiti
Lavagna celebra il cioccolato per tre giorni, da oggi a domenica. Ed è difficile pensare che per
molti secoli gran parte dei popoli abbiano potuto fare a meno del cacao e che solo in seguito alla scoperta del
nuovo mondo la preziosa sostanza abbia invaso corti e palazzi nobiliari divenendo elemento di distinzione
sociale. Fin dal suo arrivo a Siviglia, in terra di Spagna, forse per merito dei frati che lo inviavano alle case
madri, il cacao "cibo degli dei", usato come bevanda in tazza, entrò a far parte della vita sociale determinando
curiosi comportamenti e strane considerazioni. Tra le dame dell'alta società spagnola, infatti, venne di moda
farsi accompagnare alla messa da una serva che portava la bevanda fumante da sorseggiare durante le
funzioni. Ma poiché esse erano di lunga durata, si giunse a modificare il sistema: non più la fantesca a
compagnia della signora ma l'arrivo ad un dato momento della celebrazione di una servente, trafelata ed
attenta a servire il caldo e prezioso ristoro. Uno scompiglio, un atto irriguardoso che urtava non poco la
gerarchia ecclesiastica costretta, per amor di decoro, a chiedere il parere di eminenti prelati.
Furono stabiliti il
momento della refezione, dopo la messa ed il luogo, la sacrestia. Questa novità parve interessante anche ai
parroci che decisero di provvedere essi stessi alla distribuzione della cioccolata in tazza. Non più serventi né
bricchi fumanti portati da casa, ma un servizio offerto in prima persona ad un prezzo non certo modico e tale
da fornire altre entrate economiche alla parrocchia. Una specie di cioccolateria, secondo molti non consona
alla sacralità del luogo e pertanto da verificare con norme emanate espressamente dalla Chiesa di Roma. Tra
contrasti e considerazioni diverse, il papa Pio V nel 1569 dichiarò che il cioccolato, se preparato con sola
acqua, non rompeva il digiuno e, pertanto, poteva esser assunto in qualsiasi periodo dell'anno. In questa
dichiarazione forse avevano parte anche i monaci che sapevano come la bevanda, per l'alto potere
energetico, avesse un benefico effetto nei lunghi periodi di digiuno. Erano stati proprio gli ordini monastici ad
usare in momenti particolari dolci a base di cacao e cioccolata: la sera precedente le feste di San Domenico e
di San Francesco, patroni degli ordini religiosi, si teneva un incontro con "merenda" a base d'almeno 12
varietà di dolciumi di cioccolato, definito "un piacere innocente".
Ma per lungo tempo la diatriba sul cacao
impegnò studiosi e religiosi. Nel 1616 la chiesa bollò il chicco di cacao come "fermento della rivolta" ed
"esecrabile agente di negromanti e stregoni". I gesuiti nel 1650 tentarono di bandire il cioccolato che, tuttavia,
avevano essi stessi trasformato in un lucroso commercio. Gli ordini più rigidi, come i carmelitani, videro la
bevanda "così strettamente legata ai peccati della carne" che il suo uso da parte di un monaco era punito con
tre giorni di digiuno a pane ed acqua. Nonostante i contrasti e le diverse interpretazioni, la cioccolata,
ottenuta secondo l'antica ricetta degli aztechi ed addolcita con anice, cannella e vaniglia cui si aggiungevano
peperoncino e spezie piccanti, iniziò il suo trionfale cammino in Europa. Già nel 1606 a Torino si produceva
cioccolato per merito del duca Emanuele Filiberto di Savoia che era generale dell'esercito spagnolo e, a suo
tempo, aveva ricevuto in dono i semi dall'imperatore Carlo V e parimenti in Toscana ove si aggiungevano
aromi di gelsomino, ambra e muschio.
Le dosi e le ricette qui erano custodite dal principe Cosimo de Medici
nel forziere di palazzo Pitti. È nel 1615, con il matrimonio della figlia del re di Spagna Filippo III, Anna
d'Austria, con il re di Francia Luigi XIII, che quasi tutte le corti europee adottano la moda di questa bevanda
esotica che si presta a particolari preparazioni. Anna d'Austria permetteva che solo la sua dama favorita
potesse prepararle la cioccolata ed il cardinale Richelieu voleva solo e sempre un servo negro a tale incarico.
Gli Inglesi solo nel 1657 scopriranno la cioccolata, venduta in locali pubblici appositi e nel 1678 si avrà la
prima licenza per aprire una cioccolateria a Torino, con il brevetto concesso da Casa Savoia con una
"patente" di Madama Reale. Madame de Sévigné, nelle lettere alla figlia, descrive la moda della cioccolata:
"Ciò che trovo più meraviglioso è la sua efficacia, per qualunque motivo la si consumi" ma l'imperversare dei
costumi parigini porta ad altre considerazioni: "La moda mi ha trascinato con sé", dichiara la raffinata scrittrice per la quale ora la cioccolata è causa di palpitazioni, febbri, addirittura la morte o di orribili sventure: "La
marchesa di Coetlogon ha bevuto così tanta cioccolata durante la gravidanza che ha partorito un bimbo nero
come il diavolo..."
Tra strane divertenti credenze dovranno passare ancora diversi secoli prima che un'ampia
parte della società possa assaporare questo prodotto che, nel frattempo, ha visto l'applicazione di ricerche,
tecniche nuove di produzione e variazioni di componenti come il latte al posto dell'acqua. Nel 1804, il
genovese Bozelli, modificando un torchio per olive, inventa una macchina che raffina la pasta del cacao per
miscelarla con zucchero e vaniglia e fare un impasto solido. Nascono così le tavolette e pochi anni dopo
Caffarel introduce le nocciole frantumate. È una questione economica che porta alla pasta di nocciole inserita
in quantità nel cacao. Nel 1852, Napoleone III, emana leggi speciali volte a limitare l'uso di particolari prodotti
tra cui il cacao e, pertanto, si utilizzano le pregiate nocciole delle Langhe piemontesi per continuare una
produzione che ha fatto dell'artigianato del cioccolato un emblema di bontà e buon gusto.
L'anno 1865, in
occasione del Carnevale, a Torino per la prima volta sono in vendita i giandujotti e anche Genova può
rivendicare una sua tradizione nel campo della confezione di cioccolatini accanto alle più note confetterie e
frutta candita che, fin dal Medioevo ne hanno fatto un punto di riferimento. Nel 1878 Daniel Peter inventa il
cioccolato al latte, usando latte condensato e intanto si conferma l'uso delle uova di Pasqua, create attorno
alla seconda metà del secolo XIX dopo la realizzazione dei sistemi di stampaggio e delle scatole di gustose
praline, riservate ad un consumatore raffinato ed esclusivo. Stranamente, a toglier al cioccolato l'aura di
prodotto riservato in particolare a donne e bambini sarà il periodo della prima guerra mondiale quando le
società svizzere verranno incaricate dai governi nazionali della preparazione di barrette da distribuire come
razione per le truppe al fronte. Passato attraverso sconvolgimenti sociali ed economici, il cioccolato, antico
simbolo di fertilità e matrimonio, è oggi, nelle numerose manifestazioni attuate in piccoli e grandi paesi, segno
di amicizia, allegria e di una nuova socialità.
(fonte Il Secolo XIX)
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