Morta Alda Merini, poetessa dalla doppia anima. Intervista rilasciata al nostro periodico.
La poetessa Alda Merini, 78 anni, è morta nel reparto di oncologia dell'ospedale San Paolo di Milano, "nosocomio che da anni l'ha avuta in cura e a cui ha dedicato profonde riflessioni poetiche oltre a una scultura di forte richiamo a un periodo travagliato della sua vita". "Il suo atteggiamento e la sua sensibilità - si legge nel comunicato dell'ospedale - hanno lasciato un profondo ricordo negli operatori sanitari del reparto di cura di Oncologia e cure palliative al quale si è rivolta nella consapevolezza di un supporto al disagio fisico e psicologico che la malattia le ha riservato nell'ultimo periodo della sua esistenza".
MORATTI: CAMERA ARDENTE A PALAZZO MARINO -
Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, mette a disposizione la sede del Comune, Palazzo Marino, per la camera ardente di Alda Merini e propone che sia sepolta al Famedio del cimitero monumentale. ''Alda Merini - ha osservato il sindaco - e' l'esempio di una donna profondamente radicata a Milano, al suo quartiere, alla sua via, alla sua casa che ha saputo dare con la sua arte una testimonianza universale della vita di oggi e delle sue contraddizioni''. ''Ricordo con commozione - ha aggiunto Moratti - quando Alda la scorsa estate mi regalo' una sua poesia, dolcissimi versi che tengo incorniciati nel mio ufficio a Palazzo Marino e testimoniano la sua grande sensibilita' e la sua passione. Come tutta la sua opera, riflessioni poetiche di una donna di cultura che ha onorato e amato fino all'ultimo la sua Milano, impegno per il quale nel dicembre del 2002 ha ricevuto la Medaglia d'Oro di Benemerenza Civica''.
UN ALBUM DI CANZONI PRONTO PER 2010
L'ultimo lavoro musicale della poetessa Alda Merini, frutto della collaborazione con il musicista Giovanni Nuti, uscirà l'anno prossimo. "Abbiamo terminato un bellissimo album di canzoni piene di vita e di gioia. Mai come adesso abbiamo fatto un album così vitale, così energico, così bello di speranze e di vita", dice lo stesso Nuti. "Alda Merini non amava le domande sul suo ricovero in manicomio ma, quando entrava in confidenza con una persona, era lei stessa ad affrontare l'argomento", aggiunge ai microfoni di CNR Media Giovanni Nuti. "L'importante era che non fossero gli altri a fare riferimento al manicomio - spiega - Alda gradiva parlarne per prima. Affrontare il tema della malattia era come respirare per lei, perché era rimasta segnata in maniera indelebile".
Sulla mancata assegnazione del Premio Nobel - era stata segnalata per il riconoscimento la Merini scherzava: "Era solita ripetere 'Non voglio il Nobel perche' in Italia non vengo trattata come dovutò" ricorda Nuti. "Prima dell'assegnazione di quest'anno aveva promesso che, in caso di vittoria, avrebbe devoluto tutto il compenso alla ricerca per le malattie mentali.
Riproponiamo ai lettori della Rivista San Francesco, l'intervista ad Alda Merini del 05 Gennaio 2008
Abbiamo pensato a lei per la sua vicinanza a san Francesco e per le sue vicende biografiche e poetiche che ci suggeriscono il tema delle ferite. Lei ha scritto “Più bella della poesia è stata la mia vita”.
Il tema del dolore... Sa, sono stata a lungo angustiata da domande sulla mia vita: se ho sofferto, come ho sofferto. Mi dà molto fastidio la curiosità degli altri, voler vedere il male anche dove c'è la poesia. La poesia non è mai il male.
Sempre lei ha scritto: “Tu, Dio, mi destinasti ai poemi, e per queste grandi vicende mi hai dato tenebre grandi”.
Non credo di essere qualche cosa di eccezionale. L'idea del poeta maledetto non è adatta a me, il poeta è sempre benedetto. È chiamato a parlar chiaro, a dire la verità, senza giudicarla. Il dolore è la vita. Il dolore è anche la poesia, non tutti sanno cantare il dolore, non è facile cantarlo.
In questo suo avvicinarsi ai temi del Sacro c'è stato un innesco, una fase di passaggio?
Nella disperazione del manicomio le alternative erano due: o la morte o l'estasi. Sopraggiungeva l'estesi per salvare la vita. La follia ci ha salvato la vita in fondo. Qualcuno è impazzito di gioia, senza volerlo, come tanti santi.
Cosa vede in san Francesco? Gli ha recentemente dedicato un volume di poesie.
La rinuncia totale alle cure degli uomini e soprattutto la bellezza delle piccole cose, la scoperta quotidiana della vita, il fatto di sentirsi vivi anche dopo essere stati martirizzati, violentati, e ancora sorridenti, ancora a chiedersi il perché malgrado tutto si è felici. Il vero miracolo è perché si rimane felici anche dopo la morte che ci danno gli altri. È una resurrezione quotidiana.
A volte anche una resurrezione non voluta, o non meritata, una novità, un dono, un privilegio, un linguaggio, la voglia ancora di camminare malgrado si è storpi e claudicanti. Non crede?
La forza di un santo...
La forza di tutti gli esseri umani. San Francesco siamo tutti noi, solo che abbiamo paura di dire che siamo felici anche se Dio ci perdona. La santità nasce dal momento in cui smettiamo di chiederci perché si soffre, ma ci domandiamo perché si è vivi.
Abbiamo parlato della speranza, della resurrezione quotidiana. Lei saprà che il Santo Padre ha appena scritto nella sua ultima enciclica che saremo salvati nella speranza.
Io sono su un Naviglio dove non arrivano giornali, non arriva niente. Sono qui un po' ammassata su questo letto, come un pacco postale che non ha corso. Non so cosa sia la speranza, senz'altro è la fiducia nella provvidenza: Dio sa cosa vuole da noi, noi non lo sappiamo.
E fiducia negli uomini lei ce l'ha?
No. Però basta disarmarli. Sa, gli uomini si presentano sempre armati come tanti soldati, basta togliere loro le armi, dolcemente, e ci troviamo davanti delle persone deboli che hanno bisogno di un invito a sedersi al nostro stesso tavolo, capisce?
E lei di cosa ha bisogno oggi?
Potrei dire una cattiveria. Io ho una figlia molto dolce che si preoccupa molto della mia morte e non capisce che io ho voglia di morire, perché sono stata una donna felice. Forse lei ha paura del dolore, ha paura di perdere la mamma.
Il dolore nel lutto è per chi rimane di solito.
Una volta ho avuto una relazione epistolare e di più con Quasimodo, e mi diceva una cosa: “tu non puoi amarmi, ami tutti”. È difficile far capire agli altri che non c'è bisogno di un uomo, ma di tutto il genere umano, capisce?
A proposito delle sue relazioni, anche a Giorgio Manganelli, lei dedicò dei versi: “Non eri tu ad avermi, ma la psicanalisi”.
Manganelli era un uomo che dubitava di sé, io non ho mai dubitato dell'amore, della fragranza dell'amore. Ecco, forse, né Manganelli né Quasimodo né Sereni, forse nemmeno Turoldo, hanno sentito il profumo della provvidenza divina, del Grande Maestro. Avevano paura di sbagliare, anche a parlare, rinunciando a questo svestirsi generale di tutti gli orpelli, per apparire nudi e perfetti come Dio ci ha fatto. Perché coprirci di mantelli? Siamo la più bella fattura divina. Una fattura che non smetteremo mai di pagare.
Qual è il suo pensiero su santa Chiara?
Un Francesco che arde d'amore e sentimento e che riesce a fare della donna la cultura suprema del linguaggio. È stato un grande amore di Francesco, come quello di Giuseppe per la Madonna, il custode di un cuore. Tutti e due hanno custodito il cuore della donna. È stato magnifico, non hanno protetto la carne della donna, ma il cuore, quel cuore che a tante donne è stato strappato con la violenza.
Signora Merini quando verrà a farci visita ad Assisi?
Ma... non cammino quasi più, sono un po' debilitata, e soffocata anche dall'amore dei miei cari che non riescono a capire.
Lei è abituata alla solitudine?
Io la invoco la solitudine. Perché solo nella solitudine trovo la mia prigione. Vede, il manicomio è stato il beneficio più grande. Ero sola, in mezzo a tanta gente che mi amava e che amavo, e lì ho trovato veramente la mia grande vocazione.
Come un'illuminazione? La “Terra Santa” (Premio Librex Montale nel ‘93) è frutto di quell'esperienza?
Mio marito, che era di Soncino dove fu fatta la prima Bibbia, in effetti si chiamava Ismaele. Io ieri ho fatto una poesia per la pena di morte e dicevo: “un giorno un uomo volutamente mi ha ammazzato ma non mi ha giudicato, ed è quello che ho amato di più, l'uomo che mi ha ucciso senza un ragione, così è la vita.”
Lei ha paura di scrivere i suoi ultimi versi?
Io non temo la poesia.
Sente l'esigenza di lasciare un testamento in poesia?
No, il testamento più bello che ho lasciato sono stati i miei figli. La mia vera carne. La mia vera poesia. Li ho fabbricati, me li hanno tolti, me li hanno ridati.
Tant'è che lei dedicò una poesia al medico che fece nascere sua figlia, “Tu sei Pietro”.
Ah sì. L'uomo che salvò la mia bambina, e che io amai in modo sconsiderato. Una grande passione, ma non avrei potuto dargli niente, perché m'aveva salvato la vita, salvando la mia bambina. Ma io lo amai per tutta la mia vita.
Sente di essere stata un'ossessione per gli uomini della sua vita?
No. I miei amici, i miei amanti non mi hanno mai abbandonato, io non li ho mai toccati, non li ho mai offesi, ma li ho guardati come fatture di Dio e basta, come persone. Li ho amati tutti. A loro ho dato il mio amore, ma non quello fisico, qualcosa di molto di più.
di Fancesco Nati
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