Francescanesimo/San Francesco cultura e spiritualità del santo patrono d'Italia
Innocenzo IV, Papa Fieschi, nella sua lotta contro Federico II di Svevia, ha bisogno di predicatori. Per questo favorisce l'insediamento dei Francescani a Santa Maria in Campidoglio (1248), e non è disposto a sentire ragioni di fronte agli appelli accorati dei benedettini, antichi possessori del complesso monastico.
Bonifacio VIII, indomito difensore del potere pontificio, il 5 febbraio 1297, vi celebra una messa, alla quale assiste un'assemblea di oltre mille fedeli. Gli siede accanto Matteo d'Acquasparta, suo nipote nonché ministro generale dell'ordine dei frati minori e redattore della bolla Unam sanctam, con la quale viene teorizzato un potere pontificio di stampo assolutistico. Un tale bagno di folla si era reso possibile per il fatto che, nel frattempo, era sorta la nuova basilica col nome di Santa Maria in Aracoeli in sostituzione dello scontato toponimo benedettino di Santa Maria in Campidoglio. L'edificio è costruito interamente con materiale di spoglio e la sua essenzialità rendeva evidente l'immagine della povertà francescana. L'aula è ampia, adatta appunto alla predicazione, come prevedevano le Costi-tuzioni di Narbona e come esigeva la missione dei mendicanti, nati per l'evangelizzazione, per offrire servizi agli ambienti popolari dei suburbi.
Dall'arrivo dei francescani sul Campidoglio, il sito aveva infatti mutato radicalmente i propri connotati: da una fortezza arroccata sulla sommità del colle si trasforma in uno spazio basilicale aperto sulla città e collegato a essa da una larga gradinata, invitante e solenne. Il piccolo edificio di culto officiato dai benedettini, affacciato sulla piazza del Campidoglio, costituiva ora il transetto di un enorme edificio ruotato di novanta gradi rispetto al precedente, e che si apriva sulla sommità del colle, sopra il complesso urbanistico sottostante. Emblema dell'alleanza con la temperie cittadina, l'Aracoeli, posta sotto la giurisdizione del palazzo senatorio, godeva di una legislazione privilegiata, a garanzia delle sua incolumità patrimoniale e artistica.
La nuova aristocrazia mercantile, che sostituiva la vecchia classe dei latifondisti, assunse in breve cariche di rilievo nella gestione politica del Comune, dominando il corpo senatoriale cittadino. Il legame tra questa nuova classe politico-imprenditoriale e i frati dell'Aracoeli si mantenne saldo per lungo tempo.
Nel corso del XV secolo, il francescanesimo rinnova la sua immagine. Dalla fucina dell'eremo di Brogliano, si diffondono nell'ordine aspirazioni a nuove conquiste, nuove alleanze, nuove concezioni dell'uomo e del mondo. San Bernardino da Siena, uno tra i maggiori protagonisti di questa nuova stagione, predica in piazza del Campo, rivolgendosi ai commercianti, agli economisti e parla loro del giusto prezzo, dell'economia di mercato, di equità.
Il papato, tornato a Roma da Avignone, come già il Caietani avversario di Filippo il Bello, non poteva che guardare con simpatia all'attività di questi nuovi predicatori. Martino V Colonna, mecenate di un ripristino socio-economico della città rimasta allo sbando per circa trent'anni, dopo aver restaurato il palazzo senatorio, si impegna a dare sviluppo al complesso conventuale aracelitano, corredandolo con l'edificazione di un secondo chiostro. Eugenio IV Condulmer, veneziano, appartenente a una famiglia di mercanti, sentì forte l'esigenza di una riforma religiosa degli ordini monastici, favorendo in modo particolare il rinnovamento dei francescani, tramite l'appoggio al movimento dell'Osservanza. Fu lui ad assecondare l'insediamento in Aracoeli dei nuovi predicatori della borghesia mercantile, detti appunto "osservanti".
Il Papa veneziano, che guardava a oriente, conosceva bene l'utilità ecclesiale, oltre che politica, della predicazione svolta da un illustre seguace di san Bernardino da Siena, san Giovanni da Capestrano che, durante la battaglia di Belgrado (1456), sosteneva con il suo incoraggiamento le truppe occidentali vittoriose contro i Turchi. Il suo successore, Paolo II Barbo (1564-1571), anch'egli veneziano, artefice di Palazzo Venezia e dell'attiguo quartiere, volle farsi costruire un suo appartamento all'interno della cinta conventuale minori-tica.
Il complesso francescano raggiunse però l'apice del suo sviluppo con il Papa francescano Francesco della Rovere, che prese il nome di Sisto iv. Questi, denominato a ragione restaurator urbis, portò a compimento la costruzione del secondo chiostro, di stile rinasci-mentale, il quale sembrava marcare ancora una volta il contrasto tra l'antico stile benedettino, appartato e aristocratico, e la modernità francescana, commista con l'urbanità borghese e di impronta popolare. Di questa trasformazione, si avvidero ben presto le eminenti fa-miglie romane, che si misero subito in gara per aggiudicarsi uno spazio all'interno dell'aula basilicale, ove costruire una cappella funeraria, con la quale attestare pubblicamente le gesta dei propri antenati.
A questa iniziativa partecipò anche il francescano urbanista Sisto iv, che provvide a collegare, tramite una linea viaria, questa novità sociale e civile della romanità con il nuovo polo religioso, sorto Oltretevere, il Vaticano. Da questo momento, le funzioni civili che si celebravano presso il Campidoglio, liberate ormai dall'ingombro dei banchi di commercio, fatti trasferire a Piazza Navona, sembravano costituire infatti l'interfaccia, per così dire, della ritualità religiosa che si esibiva nella nuova sede pontificia, cara al papato rinascimentale.
Nel 1517, anno in cui, secondo la tradizione, Lutero avrebbe affisso le 95 tesi sulla porta della chiesa di Wittemberg, i francescani convennero a Roma per la celebrazione del loro capitolo generale. In questa sede, la proverbiale dialettica intorno all'eredità di Francesco trovò uno sbocco istituzionale, tramite la concessione di una indipendenza amministrativa alle due principali correnti, cioè quella dei conventuali e quella degli osservanti. I capitolari osservanti ebbero perciò facoltà di riunirsi autonomamente nel convento dell'Aracoeli, seguiti da quelli che rappresentavano altri gruppi riformati (colettani, amadeiti, clareni e guadalupensi) e, tutti insieme, alla presenza dei cardinali supervisori e presidenti, elessero il loro ministro generale.
Papa Leone X, già da tre anni, aveva concesso ai frati dell'Aracoeli piena autonomia in fatto di committenza artistica, ma ora, a suggello dell'indipendenza istituzionale, conferiva alla loro chiesa il titolo di sede cardinalizia. I Pontefici suoi successori, sovente si avvalsero dei ministri generali residenti all'Aracoeli, inviandoli in missione diplomatica alla corte dell'imperatore Carlo V, e presso altre monarchie europee, con speciale incarico di trattare la questione luterana.
Clemente VII, ad esempio, durante la sua permanenza forzata a Castel Sant'Angelo, a causa del sacco di Roma (1527), creò il ministro generale minoritico, padre Francesco Quiñones, suo nunzio, per inviarlo a negoziare con Carlo V il ritiro delle truppe dalla città pontificia. Il ministro generale padre Vincenzo Lunel da Balbastro, venne investito del medesimo ufficio da Paolo III, che in seguito nominò il suo successore padre Giovanni Maltei da Calvi, legato pontificio presso il re del Portogallo e presso il re di Francia, con l'incarico di pacificare l'imperatore Carlo v con il re francese e, in seguito, di trattare altri affari riguardanti il concilio di Trento.
L'imperatore e i vescovi riuniti per il concilio di Trento sono visibili infatti nella cappella dedicata all'Immacolata Concezione, edificata e fatta affrescare nel corso dell'assise conciliare (1550-1551). Il tema mariano, già caro ai francescani, costituisce in fondo la loro risposta al pessimismo luterano, ossia l'esaltazione della donna luminosa e forte, che esce vittoriosa dalla battaglia cosmica ingaggiata contro il nemico della vita.
Non stupisce allora che il medesimo Paolo III, patrocinatore del concilio di Trento, abbia guardato con occhio di riguardo alla sede aracelitana, spianando e impreziosendo con statue la piazza del Campidoglio, arricchita ora del Marco Aurelio, trasferito dal Laterano, sistemando i fori e intervenendo sull'intero assetto del rione San Marco, dalle pendici del colle Capitolino fino a via Lata (via del Corso). Questo Papa farnese aveva eletto la sede di Giove capitolino per costruirvi la sua dimora, innalzando un alto e possente palazzo, detto anche torre, luogo privilegiato per i suoi spazi di riposo.
L'edificio, collocato alla sinistra del complesso minoritico, contiguo al chiostro rinascimentale, godeva di un'area adibita a giardino e offriva dalle sue logge una vista panoramica su tutta Roma. La sua posizione era stata studiata in modo da esibire, a chi entrava in città da Piazza del Popolo, un colpo d'occhio prospettico verso quella torre svettante sopra la città prima pagana e ora cristiana, anzi papale.
(Osservatore Romano)
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