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La vocazione del custodire

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

PIÙ VOLTE PAPA BERGOGLIO HA FATTO RIFERIMENTO ALLA VOCAZIONE DEL CUSTODIRE

Al buon Signore, Altissimo e Onnipotente, frate Francesco innalza la lode – forse due anni prima della sua morte – attraverso la bellezza e lo splendore del creato. Nel suo rapimento mistico, si lascia coinvolgere dalla luce irradiante del sole e dalla luminosità e lucentezza degli astri celesti, in special modo della luna e delle stelle. Così il vento, l’aria, l’acqua e il fuoco che illumina la notte…

Così la Terra, madre perché feconda e ricca di fiori, frutti ed erba. Come creatura tra le creatura, come elemento forgiato dal Creatore, Francesco ritrova nella bellezza penultima i segni della Bellezza ultima, di quell’Altissimo che dona senso al suo agire, pensare ed essere. La creazione è, per Francesco, come un’immensa icona che esercita un certo fascino contemplativo su di noi e che, per essere ammirata, ha bisogno di due chiavi di lettura fondamentali: l’incarnazione del Verbo e la parusìa, ossia l’inizio della Redenzione nella storia di Gesù e il compimento del mondo nella manifestazione della luce divina, lo Spirito Santo.

Questo fascino del creato e questa attenzione alla bellezza degli elementi della terra e del cielo, dei fondali marini e di ogni abisso creato, emergono anche nel pensiero e nel magistero di papa Francesco che, fin dal suo primo pronunciamento, dichiarò di aver scelto il nome del Poverello anche per amore del creato, per dare un contributo al tema dell’ambiente e della salvaguardia del creato. Più volte, poi, Papa Bergoglio ha fatto riferimento alla vocazione del custodire.

«La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!» (Papa Francesco, Omelia per l’inizio del suo ministero petrino [19-3- 2013]).

È sufficiente rileggere questo stralcio di omelia di papa Francesco per riconoscere in lui i segni del carisma francescano: la “vocazione del custodire”. Papa Francesco, nel suo riferimento alla “vocazione del custodire”, ci invita a riscoprire il tema dell’ecologia e della salvaguardia del creato. Il mondo che

noi abitiamo, le città che noi viviamo, sono destinati alla salvezza, all’incontro con Dio. La materia che ci circonda – che porta le vistigia Trinitatis di bonaventuriana memoria – è chiamata a ricevere pure essa lo Spirito Santo, ad essere cioè divinizzata, e a divenire, quindi, diafanica, ossia portatrice di luce. L’aver poi cura l’uno nell’altro nella famiglia è un segno di grande reciprocità che richiama il segno della lavanda dei piedi e l’amore che il Serafico Padre san Francesco ebbe per i suoi fratelli che considerò, anche nel tempo della crisi e dell’incomprensione, “dono del Signore”. Possiamo ritenere per vero, senza sbagliare, che la “vocazione del custodire” tocca i nostri rapporti con Dio, il mondo e i fratelli. D’altronde, questi sono i tre ambiti della fede e dello stesso annuncio del Vangelo che riguardano non solo noi francescani, bensì ogni battezzato!


di Edoardo Scognamiglio

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