ULIVO NEL FRANCESCANESIMO, SOLO UN SEGNO DI PACE ?
Se oggi parliamo di ulivo e di ciò che rappresenta nel sentire comune è facile associarlo a frate Francesco d’Assisi, in particolare per il significato più proprio che la vulgata gli assegna, ossia quello della pace. In realtà questa associazione è frutto di una stratificazione, di una serie di slittamenti di significato e di contaminazioni semantiche; essa, consegnataci dalla sovrapposizione di immagini proprie della tradizione cristiana e, poi, francescana, ha forse finito per relegare all’oblio significati ben più profondi. Proviamo, dunque, a compiere un cammino a ritroso, per dipanare la matassa di questo groviglio di significati.
L’associazione dell’ulivo alla pace è già nota nella tradizione greca, in quanto l’ulivo era considerato una pianta sacra, usata per le corone degli atleti vincitori delle Olimpiadi. Si narra che persino la dea Atena lo offrisse agli ateniesi in segno di pace, all’indomani della sconfitta di Poseidone. Per i Romani l'ulivo era il simbolo più alto per onorare gli uomini illustri. Nella tradizione ebraica era simbolo di giustizia e sapienza; infatti, nel libro della Genesi si racconta che, dopo il diluvio universale, una colomba portasse a Noè un ramoscello d'ulivo, per annunciargli che Terra e Cielo si erano finalmente riconciliati. Il ramoscello d'ulivo, dunque, era contemporaneamente simbolo di rinascita, perché dopo la devastazione del diluvio la terra tornava a fiorire, e simbolo di pace, perché attestava la riconciliazione fra Dio e Uomo.
Nella tradizione cristiana, l’ulivo è principalmente il segno che caratterizza la Domenica delle Palme, detta anche Domenica della Passione, ossia quella immediatamente precedente la festa della Pasqua. La liturgia di questo giorno si apre con la processione solenne, mentre i fedeli tengono in mano i rami di ulivo o di palma: «La gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palma e uscì incontro a lui gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore il re d’Israele!» (Gv 12,13). Al termine della processione, la liturgia continua subito con l’ascolto del vangelo della Passione, che mostra un Gesù spaventato nell’orto degli Ulivi e ci rammenta come le fronde di palme o di ulivo, agitate in segno di esultanza e di gioia, presto diverranno un grido di condanna a morte per Gesù. Dunque, l’ulivo rappresenta Cristo stesso che, mediante il suo sacrificio, diventa strumento di riconciliazione e di pace per l’umanità, un’umanità fragile e, per questo, facilmente influenzabile nella sua volubile mutevolezza.
Questa è la medesima accezione, con la quale, nelle fonti agiografiche di san Francesco, compaiono i rami di ulivo: il giorno dopo la morte di Francesco, numerosissimi cittadini di Assisi con tutto il clero prelevarono dalla Porziuncola il sacro corpo e «lo trasportarono onorevolmente in città tra inni e canti e squilli di trombe. Tutti, munitisi di rami di ulivo e di altri alberi, seguendo insieme in solenne corteo le sacre esequie, procedevano cantando a piena voce inni di lode al Signore nello splendore di innumerevoli fiaccole» (FF 523). Così, Tommaso da Celano, nella prima Vita di san Francesco, descrive le esequie del Santo, proiettandole in un clima di festa e letizia per il dies natalis (giorno della nascita al cielo) di colui che aveva chiamato sorella persino la morte.
Frate Francesco è rappresentato dal suo biografo come icona di Cristo (alter Christus); frate Francesco e colui che riconcilia l’uomo con la sua paura più grande la morte, che è nostra sorella. Allora quest’anno quando ci incammineremo verso la chiesa recando in mano i rami di ulivo, sforziamoci anche noi di diventare un’icona di Gesù, riconciliando noi stessi, le nostre paure e il nostro prossimo in nome di Chi ci ha riconciliato per prima. (Filippo Sedda)
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