francescanesimo

San Francesco e la grotta di San Michele

Antonio Tarallo Pubblico dominio
Pubblicato il 08-05-2021

Il viaggio da pellegrino alla famosa grotta del Gargano

Il vescovo di Siponto, insieme ad altri sette vescovi pugliesi, si recò in processione con il popolo e il clero di Siponto sul sacro luogo. Durante la processione accadde una cosa straordinaria: alcune aquile protessero i vescovi dai raggi del sole con le loro ali spiegate. Quando arrivarono alla grotta trovarono che vi era già stato eretto un altare primitivo, coperto con una tovaglia d’altare rossa e sormontato da una Croce; secondo la leggenda, inoltre, trovarono le orme di San Michele sulla roccia. Con immensa gioia il santo vescovo offrì il primo Sacrificio divino… La grotta è l’unico luogo di adorazione non consacrato da mani umane, e nel corso di secoli ha ricevuto il titolo di “celeste basilica”. La “celeste basilica” di cui si parla in questo racconto -  tramandato nei secoli -  è il santuario del Monte Sant’Angelo sul Gargano, o più comunemente detto del “Monte Gargano”. Il luogo di culto  è situato su un’altura in una penisola circondata dal mare Adriatico.  La “celeste basilica” fu consacrata direttamente dall’ Arcangelo Michele. Tutto ciò avvenne l’8 maggio 940.

Durante tutto il Medioevo, il Monte Gargano divenne un punto centrale della devozione a San Michele, attirando pellegrini provenienti perfino dalla isole britanniche. Non a caso, in quello stesso periodo storico, molte altre chiese furono dedicate a San Michele Arcangelo.  E proprio a questa grotta così speciale, volle far visita - come pellegrino - il nostro San Francesco d’Assisi. Sappiamo bene il legame profondo del Poverello con gli spiriti celesti e in particolare con san Michele arcangelo. Basterebbe citare la famosa biografia del Celano per comprendere quanto i tre arcangeli fossero presenti nella sua spiritualità: “Venerava amorosamente gli angeli, i quali combattono con noi, e con noi camminano fra le ombre di morte. Diceva che essi devono essere venerati dovunque come compagni e non meno invocati come custodi. Insegnava non doversi offendere il loro sguardo e non osare davanti ad essi fare ciò che non si farebbe davanti agli uomini. Poiché nel coro si canta in cospetto degli angeli, voleva che quanti potevano, andassero in coro, e vi salmeggiassero devotamente”. 

E in questa venerazione particolare spicca lui, San Michele: “Ripeteva spesso che si deve onorare in modo più solenne il beato Michele, perché ha il compito di presentare le anime a Dio”. Parole sempre del Celano che ci offrono la possibilità di comprendere l’animo, la devozione rivolta al  princeps degli angeli.  Perciò, non ci stupisce poi molto che Francesco abbia voluto pregare in questo sito così spiritualmente importante. Francesco si recò in pellegrinaggio sul Monte Gargano  - molto probabilmente - nell’anno 1216 o nel 1222. Possibile anche che le due date facciano riferimento addirittura a due visite. Secondo la leggenda, Francesco essendo molto umile non volle entrare nella sacra grotta perché si sentiva indegno e si fermò a pregare vicino all’ingresso.Prima di andar via, però, volle incidere sulla parete rocciosa il segno del suo passaggio.  Sulla roccia del santuario angelico non volle scrivere il suo nome, ma il segno del Tau. 

Oggi, nella basilica dell’arcangelo, l’antica pietra sulla quale Francesco lasciò il suo segno non c’è più. Infatti, in un saccheggio del 1799  - ad opera dei soldati francesi napoleonici - la pietra fu sottratta da questo luogo così carico di storia e di spiritualità. Oggi,  al posto della pietra originaria, ve n'è un’altra con lo stesso simbolo. Francesco è ancora vicino alla grotta, a pregare. Rimane pellegrino, rimane il nostro pellegrino che continua a incamminarsi per chiedere grazie per ognuno di noi. 

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