Miccoli: nel segno della povertà, san Francesco e la sua Regola
Le tappe per lui essenziali sono evocate nel suo Testamento, una rarità per quei secoli, dettato prima di morire per lasciare ai «fratelli», con le me ultime volontà
Era probabilmente la primavera del 1209 quando uno strano gruppo che si autodefiniva dei «penitenti di Assisi» si presentò a Roma al papa Innocenzo III, allora al culmine della sua potenza. Vestivano le povere tuniche dei lavora-tori manuali e portavano le brache, come si usava andando in viaggio. Li guidava il figlio di un mercante, Francesco, che alcuni anni prima aveva rinunciato ai suoi beni e abbandonato le ambizioni cavalleresche nutrite fino allora. Al papa volevano chiedere l'approvazione di un breve testo che compendiava il loro proposito di vivere «secondo il modello del santo vangelo».
Era il punto d'arrivo di un percorso non breve, che Francesco aveva iniziato da solo. Le tappe per lui essenziali sono evocate nel suo Testamento, una rarità per quei secoli, dettato prima di morire per lasciare ai «fratelli», con le me ultime volontà, il ricordo dei caratteri della loro scelta evangelica. Francesco non spiega, descrive un cammino posto tutto sotto il segno della grazia: il Signore mi diede, il Signore mi mostrò. L'inizio aveva comportato una svolta radicale. Nona caso per dame piena l'idea egli scelse il suo incontro di misericordia con i lebbrosi, cioè con quanto di più orrendo esisteva agli occhi degli uomini di quel tempo. Anche per lui era stato naturalmente così, al punto da fug-gire alla loro vista.
Ma dopo quell'incontro ciò che prima gli appariva «amaro» gli si mutò, come egli stesso disse, «in dolcezza di animo e di corpo». Sono parole che suggeriscono quel radicale rovescia-mento nei comuni criteri di giudizio e di comportamento, che resterà per lui il connotato saliente del modello evangelico da riproporre agli uomini. Era Cristo stesso che con la sua incarnazione ne aveva offerto i tratti: «Egli, che essendo ricco sopra ogni cosa, volle scegliere con sua madre la povertà», come Francesco scrisse in una lettera ai fedeli. Il proposito di seguire «le orme di Cristo», di riproporre il modello da lui offerto, comportava dunque, per essere credibile, la scelta della povertà, una povertà come veniva concretamente vissuta allora dai poveri: all'ultimo gradino della società, senza garanzie né cultura, umili e sottomessi a tutti, lavorando con le proprie mani o ricorrendo altrimenti alla mendicità, ma offrendo a ogni incontro quel saluto di pace (il Signore ti dia pace) che compendiava tutto il senso di una vita di testimonianza cristiana la cui sola pretesa era di mostrare «quei nuovi segni del cielo e della terra che sono grandi ed eccellenti agli occhi di Dio e che da molti religiosi e altri uomini non sono considerati affatto».
Si trattò di scelte e convinzioni sui caratteri di quel modello maturate poco a poco, ma che Francesco situò nel loro momento culminante, ossia «dopo che il Signore gli diede dei fratelli». Non era una scelta scontata. Da sem-pre coloro che volevano abbracciare la vita religiosa per «seguire Cristo» rinunciavano ai propri beni: i versetti del vangelo lo richiedevano esplicitamente. Ciò implicava la povertà personale, ma non una vita di povero tra i pove-ri. Tradizionalmente monaci e canonici, abituali autori di quella rinuncia, si collocavano al sommo delle gerarchie sociali, protetti dai privilegi loro concessi da Roma. Per Francesco non era né doveva essere così. Non era il chiostro di un ricco convento la sede adatta per dare testi-monianza del Cristo: essa andava offerta con la propria vita per le strade del mondo. Non era in questo progetto l'unica difficoltà agli occhi di Roma. In quei decenni infatti il vangelo era divenuto l'insegna di movimenti che ne contestavano la ricchezza e il potere. Nemmeno questo però Francesco voleva: esplici-ta infatti è la sua scelta di ortodossia e di sottomissione a Roma.
Lo attesta tra l'altro la sua richiesta al papa di approvare il suo progetto. Ogni forma di ribellione del resto avrebbe contraddetto ai suoi occhi quella scelta di umiltà e sottomissione, quella rinuncia alla propria volontà che non fosse di seguire Cristo. Dopo molte incertezze la sua richiesta fu accolta: si trattava in fondo di un piccolo gruppo senza pretese. Ebbe inizio così un nuovo percorso del tutto imprevisto. In pochi anni infatti quel piccolo gruppo crebbe ad alcune migliaia, configurando agli occhi di Roma un insperato strumento per sopperire alle carenze della cura pastorale e far fronte alla crescente minaccia ereticale.
Nasceva un nuovo ordine religioso, che doveva uniformarsi ai modelli offerti dalla tradizione. Francesco, pur accettandolo, visse con grande sofferenza tale processo. Il Testamento lo esprime chiara-mente. Secondo un suo biografo così, sul letto di morte, egli si sarebbe rivolto ai fratelli: «Il mio compito l'ho svolto, il vostro ve lo insegni Cristo». Sono parole che segnano l'avvenuto distacco, la consapevolezza che la strada che egli aveva percorso era diversa da quella su cui l'Ordine era ormai avviato. (Giovanni Miccoli per "La maturità evangelica di Francesco" saggio di Padre Enzo Fortunato per Edizioni Messaggero )
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