La Novena di Natale - Gesù tra i dottori
Continuiamo il viaggio alla scoperta delle scene dell'infanzia di Gesù
Facciamo un salto lungo dodici anni. I Vangeli dell'Infanzia, dopo l'episodio della fuga in Egitto e della strage degli innocenti non ci raccontano come prosegue la fase successiva della vita di Cristo: come il neonato diviene bambino, come sua mamma e suo papà lo crescono. Possiamo solo ricavare da alcuni riferimenti la dedizione e la premura di Giuseppe e Maria, così come la devozione della Sacra Famiglia: «I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua». È appunto questo l'incipit dell'episodio che andiamo a scoprire nel capitolo. Una disavventura che ci illumina sulla vocazione di Gesù, ma al tempo stesso ci dice tanto sulle qualità di sua madre, Maria.
Riprendiamo da Maria. La Madre di Gesù va al tempio con mille preoccupazioni, ma – vogliamo immaginare, una volta trovatolo – anche con della gioia nel cuore. Va al tempio sapendo che aveva dovuto nascondere il figlio in Egitto – la fuga – che aveva scampato la strage degli innocenti. Quello al tempio è un ritorno alla quotidianità. La tradizione giudaica ci dice che l’umanità è come un grande mosaico. Così, troviamo il tassello più prezioso e luminoso, quello che sta nell’occhio, ma anche il tassello opaco e scuro, che compone le gambe. A ben guardare, sono tutti ugualmente preziosi perché vanno a comporre il complessivo disegno di Dio. Ecco, Maria ci dice come affrontare questa quotidianità. Gesù dodicenne scompare, si perde per Gerusalemme mentre i suoi cari erano sulla via del ritorno.
Questo episodio diventa occasione di epifania, una manifestazione di Cristo. Lo ritroviamo infatti nel tempio. Possiamo cogliere alcuni elementi da questo episodio. Innanzitutto Maria, che – insieme a Giuseppe – si preoccupa con spirito materno di suo figlio Gesù. Questo aspetto ci dice la preoccupazione per chi ci sta intorno, per i nostri figli, i nostri cari in generale. Quando ci preoccupiamo per qualcosa, ci prendiamo cura di qualcuno, è un segno intenso: significa che non siamo concentrati solo su noi stessi, ma ci interessiamo all'altro, a ciò che accade a chi ci è accanto. Maria custodisce nel cuore gli episodi della vita che la uniscono a Gesù. Nella nostra vita ci capitano tanti episodi, da quelli felici a quelli più drammatici. Chiediamoci cosa ci dicono, cosa rivelano, a cosa ci portano, quali porte ci aprono. Maria in questo si fa nostra compagna di viaggio perché assume tutte le nostre preoccupazioni. Quante mamme, quanti papà si preoccupano per i propri figli? La speranza è che i giovani siano in grado di leggere nello sguardo dei propri genitori l’intensità dell’amore che questi riservano loro. E, anche se non trovano dimostrazione di tale amore, che siano in grado di cogliere quel battito forte, silenziosamente attivo, per i figli.
Maria e Giuseppe osservano, si preoccupano, domandano. Ma alla risposta di Gesù, non comprendono. Questo ci dice che occorre imparare a custodire nel cuore, a far nostri i messaggi, le parole e le emozioni, anche quando non riusciamo a capirle, quando non comprendiamo quello che fanno i nostri figli. A volte è bello anche tacere, serbare nel cuore. Il futuro, chissà, ci illuminerà, ci insegnerà la rotta. Maria, passo dopo passo, cresce nella fede. Non comprende appieno ciò che le capita: “Perché ci hai fatto questo?”. Ma non smette mai di credere, perché dentro di sé sa che suo Figlio sta trovando la sua strada, sta compiendo i primi passi del suo lungo percorso. Questo vale anche per noi: molte volte non comprendiamo il mistero di Dio. Ci chiediamo perché: perché questo imprevisto, perché questa sofferenza, perché questo incidente, perché questo dolore. Quanti perché... E anche se non comprendiamo, ancoriamo la nostra fede, un po’ come la nave che sbattuta dalle onde si ancora al porto per stare ferma. Ancoriamoci a Dio, per non sbattere a destra e a manca. Dietro le nuvole della tempesta, infatti c’è sempre il sole.
Maria ancora la propria fede in Cristo, nel proprio figlio, nel Figlio di Dio. Crescere nella fede, farlo insieme alla nostra famiglia. Maria lo fa, insieme a Gesù: il cammino in fondo non è mai da soli. C'è un ultimo aspetto che vogliamo sottolineare e lo troviamo sempre nella risposta di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Parole che lasciano perplessa la Madre e lasciano tutti noi con una domanda: chi è costui? Una risposta prende via via spazio: È davvero Lui, il Figlio di Dio. Torna alla mente un passo del Vangelo di Matteo, la domanda che Cristo pone ai suoi discepoli: “Voi chi dite che io sia?”. È suggestivo mettere a confronto questi due episodi: il Gesù dodicenne che scalpita, che afferma deciso di occuparsi già allora delle cose del Padre e il Cristo maturo, che invita i suoi compagni a interrogarsi, li provoca, li porta a non dare nulla per scontato. Un cammino verso la maturità nella fede, per non essere sballottati, come una barca dalle onde del mare. Un percorso verso un obiettivo «cui siamo chiamati ad arrivare per essere realmente adulti nella fede. Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità. E in che cosa consiste l’essere fanciulli nella fede? Risponde San Paolo: significa essere “sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (Ef 4, 14)». Si trattava, secondo le parole dell'allora cardinale Joseph Ratzinger, di “una descrizione molto attuale!”.
L'eligendo Benedetto XVI prosegue nella propria omelia: «Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità. San Paolo ci offre a questo proposito – in contrasto con le continue peripezie di coloro che sono come fanciulli sballottati dalle onde – una bella parola: fare la verità nella carità, come formula fondamentale dell’esistenza cristiana. In Cristo, coincidono verità e carità. Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1)».
La migliore risposta al “Voi chi dite che io sia?” la troviamo nella riflessione che papa Giovanni Paolo II rivolse ai giovani, in occasione della XV Giornata Mondiale della Gioventù. Parole illuminanti, fatte di ricerca e di conoscenza, di fede e di volontà di incontro con la vera natura di Cristo: «È Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna».
Sete di radicalità, volontà di seguire un ideale, impegno a migliorare noi stessi e la società con umiltà e perseveranza. Parole che raccontano la vita di un buon cristiano, di una persona che ha colto la vera essenza di Gesù e vuol provare a seguirne le orme. Viene alla mente un episodio che ritroviamo nelle fonti francescane e che ci è narrato da Tommaso da Celano nella Vita Seconda. Anche in quel caso abbiamo a che fare con una disputa dialogica, un confronto tra due anime: il Santo d'Assisi e un dottore in teologia. Viene chiesto a Francesco un parere su un passaggio biblico, dal Libro del profeta Ezechiele. Ne deriva un confronto che è emblematico riguardo l'umiltà di san Francesco, ma non solo. Il Santo ci dà infatti una direzione chiara su cosa significhi riconoscere Cristo e seguirne i passi: se ci troviamo davanti a persone empie, non occorre redarguirle, ma illuminarle con la luce dell'esempio e l'eloquenza della nostra condotta. «Mentre dimorava presso Siena, vi capitò un frate dell’Ordine dei predicatori, uomo spirituale e dottore in sacra teologia. Venne dunque a far visita al beato Francesco e si trattennero a lungo insieme, lui e il santo in dolcissima conversazione sulle parole del Signore. Poi il maestro lo interrogò su quel detto di Ezechiele: Se non avrai annunciato all’empio la sua empietà, domanderò conto a te della sua anima. Gli disse: “Io stesso, buon padre, conosco molti ai quali non sempre manifesto la loro empietà, pur sapendo che sono in peccato mortale. Forse che sarà chiesto conto a me delle loro anime?”. E poiché Francesco si diceva ignorante e perciò degno più di essere da lui istruito che di rispondere sopra una sentenza della Scrittura, il dottore aggiunse umilmente: “Fratello, anche se ho sentito alcuni dotti esporre questo passo, tuttavia volentieri gradirei a questo riguardo il tuo parere”. “Se la frase va presa in senso generico – rispose Francesco –, io la intendo così: Il servo di Dio deve avere in se stesso tale ardore di santità di vita, da rimproverare tutti gli empi con la luce dell’esempio e l’eloquenza della sua condotta. Così, ripeto, lo splendore della sua vita e il buon odore della sua fama renderanno manifesta a tutti la loro iniquità”. Il dottore rimase molto edificato per questa interpretazione e, mentre se ne partiva, disse ai compagni di Francesco: “Fratelli miei, la teologia di questo uomo, sorretta dalla purezza e dalla contemplazione, vola come aquila. La nostra scienza invece striscia terra terra”». (Dal libro Il Natale di Maria, di padre Enzo Fortunato)
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