francescanesimo

La conversione di Suor Maria Gioia del monastero di Bra

Gelsomino Del Guercio Federazione Clarsse
Pubblicato il 04-04-2022

Da bambina sognava di fare l’esploratrice

Da bambina sognava di fare l’esploratrice. «Ma volevo anche viaggiare nello spazio come in guerre stellari e vincere le Olimpiadi di pallavolo!!!», dice Suor Maria Gioia Beccio, classe 1982, raccontando a Federazione Clarisse, come è nata la sua vocazione, che l’ha portata a diventare una clarissa.

“GESU’ MI PIACEVA TANTISSIMO”
«Da piccola Gesù mi piaceva tantissimo - afferma Suor Maria Gioia, che vive nel monastero di Bra - era buono, aiutava le persone, era un amico. La vita con lui era una vita bella. Una vita piena di vita. Era La vita. Però allo stesso tempo non ho mai voluto farmi suora. Assolutamente».

«La “razza suora” - prosegue - era per me un attentato alla vita. Non che le odiassi, è che mi sapevano di vecchio, di triste, persone bacchettone, spente. Mentre da sempre nella mia esistenza c’è stato il bisogno di gioia, di vita».

“DIO NON ESISTE”
Il “clima” non era, poi, stimolante sotto l’aspetto della fede. «Nella mia famiglia non si pregava e non sempre si andava a Messa la domenica. Ma ho sempre visto nei miei genitori lo spirito di sacrificio, la disponibilità per gli altri. Facevo, forse, le medie e mentre leggevo un articolo di astronomia dissi a me stessa: “La scienza spiega tutto. Dio non esiste. Non serve per spiegare l’universo.”».

L’ESPERIENZA CON GLI SCOUT
Ad un certo punto della sua vita, la futura clarissa ebbe un “sussulto interiore”. «Tempo dopo, percepii dentro di me che se Dio non esisteva … non esistevo nemmeno io. Che c’era un mistero più grande di ogni scienza e senza il quale niente avrebbe avuto un senso, nemmeno io stessa. Questo fu un altro punto fermo. Insieme allo scoutismo».

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LA “SETE” DI ASSOLUTO
E così per lei, inizia l’esperienza del mondo scout. «Tra le tante cose che la vita mi ha donato, lo scoutismo è stata la più bella: vivere di quel niente che è tutto … quell’andare all’essenziale … quella sete di radicalità … quel contatto con la natura, con l’Assoluto di Dio … quella gioia di stare insieme …».

LA CONFESSIONE
Grazie a questa esperienza, Suor Maria Gioia si riavvicina al sacramento della penitenza. «Erano passati più di sei anni dall’ultima confessione e avevo già iniziato la facoltà di chimica. Ma una mattina mi decisi e andai. Fu una giornata bellissima, ma la sera improvvisamente mi sentii vuota. Completamente. Niente e nessuno mi dava più felicità. Tutto iniziò ad andare male: studio, scout, affetti, amicizie, pallavolo, famiglia. Riempivo le giornate e le serate, ma non potevo fuggire a quel vuoto. Mi vergognavo e così mi isolai sempre più. Ero sola al mondo. O quasi. C’era ancora Lui. Poco per volta incontrai le persone giuste, iniziai un cammino di discernimento e mi accorsi che il servizio con gli scout non mi bastava, la sete di Lui cresceva sempre più».

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“DECISI DI VENIRE AL MONASTERO”
Erano maturi i tempi per un “salto” verso il Signore. «Un giorno d’estate, decisi di venire al monastero di Bra (conosciuto con gli scout) con il solo scopo di pregare un po’. Ma appena arrivai … quel vuoto si riempì. Così come si era creato: all’improvviso. La vita scorreva di nuovo. Ero tornata a vivere. Ero, finalmente, a casa».

“HO CURATO LE MIE FERITE”
«Entrai il 2 febbraio 2009 - conclude Suor Maria Gioia - e da allora la strada prosegue. E se nel cammino tante volte ho conosciuto la mia debolezza, altrettante volte il buon Dio, nel volto delle mie sorelle, e non solo, si è fermato. Ha fasciato le mie piaghe. Ha curato le mie ferite con l’olio della misericordia, del perdono, dell’amore, della speranza».

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