La beatitudine dei Santi
Cosa significa essere beato?
Il mese di novembre inizia con la grande solennità di tutti i Santi, dove festeggiamo non soltanto i santi conosciuti, ma pure tutti quelli che nel silenzio dell’anonimato, hanno vissuto ogni giorno in pienezza il Vangelo. Il brano evangelico che la liturgia ci regala è proprio le beatitudini (Mt 5,1-12).
Che cosa significa essere beato? Quando possiamo dire che una persona è beata? In italiano esiste un’affermazione che diciamo quando troviamo una persona che è fortunata: “Beato te!!”. Gesù quando ha parlato sulle beatitudini sicuramente voleva dire di più. Beato è quello che gode di una perfetta letizia, uno che è pienamente felice, soddisfatto. Beato è uno che sta in pace con se stesso che vive con gratitudine la sua storia.
Le beatitudini sono nient’altro che la nostra vera natura, cioè vivere come Dio ci ha creati. Vivere queste parole di Gesù è ritornare a essere quelli che Dio ci ha voluto da sempre. Dio ha creato la natura umana a Sua immagine e somiglianza, essere contrario a questo è camminare fuori strada, è scegliere una vita non beata. Gesù ci ha prescritto “la ricetta” di come vivere pienamente in Dio ossia come essere santi.
Ricordiamo sempre di ritornare al primo Amore come ci insegnano i santi e in particolar modo i santi che abbiamo trovato nella nostra vita, che hanno vissuto nel silenzio le beatitudini. Papa Francesco ci dà una definizione di santità molto interessante: “Sono persone che hanno vissuto con i piedi per terra; hanno sperimentato la fatica quotidiana dell’esistenza con i suoi successi e i suoi fallimenti, trovando nel Signore la forza di rialzarsi sempre e proseguire il cammino” (Angelus, 1° novembre 2019).
Mi piace pensare che i santi, come dice il Papa, sono quelli, che con la forza e la benedizione di Dio, vogliono rialzarsi e continuare il loro cammino. Pensando così mi viene subito in mente un altro brano, Gesù quando guarisce il lebbroso (Mc 1, 40-45). Questo lebbroso invita Gesù a guarirlo, “Se vuoi, puoi purificarmi!” (v. 40). Il lebbroso è di un’umiltà incredibile perché lui invita il Signore a purificarlo, non esige, apre uno spazio per l’incontro, sarebbe chiedere permesso prima di entrare nella casa di qualcuno. Certo che lui supplicava in ginocchio la sua purificazione, ma non trasferisce a Gesù l’obbligo di curarlo. Qui non è Gesù che offre la guarigione ma è il lebbroso che chiede, perché lui sa chi è il Signore, non ha dubbio di chi è la persona che sta davanti a lui, è un credente, un fedele.
Il lebbroso è un uomo già stanco della vita, vorrebbe essere rispettato, valorizzato, avere la responsabilità di decidere, vuole ritornare a essere quell’uomo originale della creazione del mondo. Qui vediamo in anticipo Adamo che sarà riscattato dagli inferi dopo la resurrezione di Gesù. Vi invio ad osservare, quando andate nella Basilica inferiore di San Francesco d’Assisi, di osservare gli affreschi di Lorenzetti che sono nel transetto in fondo a sinistra: mostrano la passione, morte e resurrezione di Cristo. Nella parte più alta, sopra la raffigurazione della deposizione dalla croce, c’è l’affresco di Gesù che va agli inferi a riscattare tutti quelli che erano lì e il primo uomo è Adamo che guarda profondamenti negli occhi del Signore. Non esiste più giudizio, vergogna, marginalità, ma soltanto amore e accoglimento. Così credo che si sia sentito il lebbroso quando ha udito le prime parole di Cristo: “Lo voglio, sii purificato!” (v. 41). È proprio così che uno diventa Santo, quando se apre per accogliere l’Amore.
San Francesco davvero è stato un uomo beato che ha vissuto la gioia di essere in Dio. L’esempio più forte della sua beatitudine è stata la sua riflessione sulla perfetta letizia quando ha detto a fra Leone che la vera letizia è vivere in armonia con la creazione, che non sono le sfide della vita che ci fano essere lieti, ma come viviamo la realtà di essere beati: “Io ti dico che, se avrò avuto pazienza e non mi sarò inquietato, in questo è vera letizia e vera virtù e la salvezza dell’anima” (FF 278).
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