La Basilica di San Francesco a 20 anni dalla riapertura dopo il terremoto
Celebriamo Dio presente in mezzo agli uomini e il cuore dell'uomo che si apre agli altri
Aprire ogni giorno le porte della Basilica di San Francesco vuol dire aprire il cuore all’altro, donare speranza e ascolto a ciascun uomo. Riaprirla il 28 novembre 1999, a poco più di due anni dal terremoto che sconvolse Umbria e Marche, significò restituire al mondo quell’amore e quella speranza che la tragedia aveva offuscato. Sembrava impossibile riuscirci in così poco tempo. Di fronte agli affreschi crollati nella Basilica di San Francesco d’Assisi - era il 26 settembre 1997, ore 11.42 - era utopico immaginare che tutto si sarebbe potuto ricostruire velocemente. Che i francescani avrebbero avuto di nuovo la loro Casa e pellegrini, turisti e fedeli avrebbero potuto contemplare nello stesso modo la meraviglia della volta dipinta da Cimabue.
Quella mattina, Assisi e il mondo intero ebbero davanti solo immagini di polvere e morte. Morirono in quattro: Bruno Brunacci, Claudio Bugiantella, padre Angelo Api e il giovane postulante Zdzislaw Borowiec. Difficile pensare di risollevarsi da quel dolore.
In quello stesso giorno Antonio Paolucci, sovrintendente a Firenze e ministro per i beni culturali durante il governo tecnico di Lamberto Dini, fu nominato, dall’allora governo Prodi, commissario straordinario per il restauro del complesso monumentale di Assisi. “Non ci sarà grande Giubileo del 2000 senza la Basilica riaperta”, annunciò. Non era forse, anche questa, una gigantesca seppur bellissima utopia? Non poteva che apparire tale. Ma la marcia venne ingranata subito: i lavori cominciarono con la terra ancora attraversata da scosse. Furono profusi molto amore e molto coraggio dalle centinaia di persone - in media 100 al giorno tra operai e restauratori - che per San Francesco si rimboccarono le maniche.
Era il “Cantiere dell’Utopia”, come lo stesso Paolucci battezzò, non senza un pizzico di scaramantica ironia, il progetto di rinascita della Basilica. La prima porta a essere riaperta fu quella della Basilica inferiore, l’8 dicembre 1998. L’utopia aveva contorni ogni giorno più sfumati. Si stava trasformando gradualmente in realtà. Nella Basilica superiore la parola utopia fu cancellata una volta per tutte il 28 novembre 1999: mancava poco più di un mese all’inizio del Giubileo e la luce tornò a entrare dalle porte principali. Sopra le nostre teste, un soffitto alleggerito da 1200 tonnellate di materiali di riempimento accumulati, i volti di San Rufino e San Vittorino ricollocati sulla volta d’ingresso, le architetture ricostruite.
Una gioia indefinibile. Oggi torniamo a vent’anni fa non solo ricordando le immagini e le emozioni del giorno che ci ha restituito nuova vita, ma scrutandone il significato più profondo: celebrare Dio presente in mezzo al suo popolo e il cuore dell’uomo che si apre agli altri, lavorando come San Francesco ci ha insegnato, con lo spirito e con le mani, costruendo e ricostruendo sempre la pace. Aprirsi al prossimo, chiunque egli sia, è questa la sfida più grande dei nostri giorni. Non di certo un’utopia. Assisi ne è la metafora. Oggi, per la comunità francescana di circa 70 frati che qui cercano di servire i pellegrini provenienti da ogni parte del mondo, significa fermarsi con ogni persona che sale al Colle del Paradiso, sorridere loro, ascoltare le ansie e i desideri dei loro cuori.
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