Il serafico Padre San Francesco e la seraficità come attributo dei cristiani
Il termine “serafico Francesco” è entrato talmente nel linguaggio cristiano da togliere ogni dubbio sul fatto che sia riferito a Francesco d’Assisi
Il frate cappuccino Wieslaw Block esplicita la voce “seraficità” in sei punti:
La presenza del Serafino negli Scritti di san Francesco e di santa Chiara;
I testi successivi alla morte del beato Francesco;
Le prime nozioni su Francesco-Serafino;
Le testimonianze legate alla Vita del beato Francesco;
I documenti sorti dopo il Capitolo di Genova (1244);
L’interpretazione teologica della seraficità.
Il termine “serafico Francesco” è entrato talmente nel linguaggio cristiano da togliere ogni dubbio sul fatto che sia riferito a Francesco d’Assisi.
Il primo stigmatizzato nella storia iniziò, in un certo momento, a essere rappresentato con i cori angelici, formati dai serafini la cui caratteristica è l’amore perfetto. Negli Scritti di san Francesco il termine “serafini” si trova una volta sola nella Rnb 23,6. Invece nella rubrica della Chartula, aggiunta da fra Leone, troviamo la notizia sulla figura del Serafino dal quale il Poverello ricevette le parole e le stimmate. Nell’eredità di santa Chiara non si trova alcuna menzione del Serafino, né chiama Francesco come “serafico”. Ugualmente non c’è tale espressione nella Lettera enciclica di frate Elia, che riguardo alla stigmatizzazione notifica: «...il fratello e padre nostro apparve crocifisso», neppure la bolla di canonizzazione Mira circa nos di Gregorio IX (16 luglio 1228), richiama la figura angelica. Il paragone tra Francesco e il Serafino nasce dalla penna di Tommaso da Celano nella VbF 94- 96 dove, per la prima volta, evoca la visione del Serafino che il Santo ebbe poco prima della stigmatizzazione (VbF 94). La seconda volta il tema ritorna nella VbF 112-115, con la descrizione della morte di Francesco e l’interpretazione della figura spirituale dello Stigmatizzato.
Decodificando le sei ali del Serafino, il biografo indica le virtù e le opere concrete, che devono contraddistinguere ogni cristiano: intenzione pura e azione retta (le ali sopra la testa), duplice amore del prossimo (le ali stese per il volo), penitenza e confessione (le ali che coprono il corpo).
Tommaso offre la doppia lettura del binomio Francesco-Serafino: presenta l’Assisiate che tramite l’amore rappresentò e formò in se stesso il Serafino («...che ebbe figura e forma di Serafino»), che attraverso la croce e la sofferenza meritò d’essere aggiunto al più alto grado degli angeli (VbF 115,1-2); e fa conoscere il Serafico Padre come modello ed esempio ai cristiani.
L’opera di Tommaso da Celano fu un punto di riferimento per le successive agiografie di Giuliano da Spira e di Enrico d’Avranches. Nella seconda stagione agiografica, dopo il Capitolo di Genova (1244), nel Memoriale Tommaso parla della stimmatizzazione spirituale, presente fin dal dialogo tra il Cristo e Francesco nella chiesetta di San Damiano (Mem 10); invece nel secondo capitolo del Trattato dei miracoli, indica l’amore serafico come l’elemento che deve condurre alla riconciliazione e al lavoro comune per il bene della Chiesa.
La Leggenda dei tre Compagni rappresenta una prova che il termine “serafico”, legato a Francesco, era già confermato, perché lo descrive come riempito «da ardenti desideri serafici e una tenera compassione lo trasformava in Colui che, per eccesso di amore, volle essere crocifisso» (3Comp 69,3).
In meno di mezzo secolo dalla morte del Santo, la figura del Serafino cede il posto al motivo dominante dell’agiografia, da san Bonaventura in poi, e cioè alla somiglianza e conformità di Francesco al Cristo. L’interpretazione teologico-mistica della seraficità dipende da san Bonaventura, e fu esposta nelle opere agiografiche Leggenda maggiore, Leggenda minore, e nel trattato mistico Itinerario della mente in Dio. Già il Prologo della LegM ne offre l’esempio: «…deputato all’ufficio degli angeli e tutto infiammato del fuoco dei serafini, divenuto simile alle gerarchie angeliche» (Prologo 1).
L’apice del cambiamento interiore Francesco lo raggiunse al monte de La Verna: «L’ardore serafico del desiderio, dunque, lo sopraelevava in Dio e un dolce sentimento di compassione lo trasformava in Colui che volle, per eccesso di carità, essere crocifisso» (LegM XIII,3).
In questa ottica Bonaventura mette in rilievo il valore spirituale, mentre i segni visibili - le stimmate - diventano secondari. Francesco stigmatizzato era già “l’uomo angelico” che l’«amore di Cristo aveva trasformato l’amante nell’immagine stessa dell’amato» (LegM XIII,5).
Nell’Itinerario Bonaventura, concludendo, scrisse: «Tutto ciò fu svelato al beato Francesco, quando nel rapimento dell’estasi sulle alture del monte […] diventato […] il modello della vita contemplativa, come prima lo era stato della vita attiva; e ciò perché Dio intendeva sollecitare, più con l’esempio che con le parole, tutti gli uomini veramente spirituali a questo stesso passaggio e alla stessa estasi» (Itinerario VII,3).
La seraficità, allora, non deve essere solo di Francesco, ma l’amore serafico dovrebbe diventare attributo di tutti i cristiani.
di Emil Kumka OFMConv, docente di Francescanesimo per “San Bonaventura informa“ (Marzo 2018).
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