Il Medico di Lampedusa: la mia fede rivolta a chi soffre
Intervista a Pietro Bartolo, medico di Lampedusa neo eletto a Bruxelles tra le file del PD
Grazie ad oltre 135mila preferenze (ottenute sia nella Circoscrizione Isole e quindi nella “sua” Sicilia, sia nella Circoscrizione Italia Centrale), Pietro Bartolo, noto al grande pubblico come “Il Medico di Lampedusa”, entra al Parlamento di Bruxelles.
La storia di Bartolo, medico da oltre 30 anni in trincea per la difesa dei diritti e della salute dei migranti, è diventata nota al grande pubblico principalmente grazie al film-documentario Fuocoammare, diretto da Gianfranco Rosi e vincitore dell’Orso d’oro come miglior film al Festival di Berlino del 2016. Ho incontrato Bartolo nel corso di una sua visita a Roma, un momento di festa con l’elettorato del Centro Italia che lo ha fortemente sostenuto, ed il medico, pur oberato da mille impegni (potete immaginare il diluvio di telefonate e messaggi di congratulazioni da lui ricevuti in questi giorni), mi ha concesso una breve intervista, in particolar modo incentrata sul ruolo della fede nella sua vita.
Prima di dare conto ai miei lettori delle sue parole, una mia breve considerazione. Secondo molti analisti Bartolo, pur avendo indubbiamente tratto beneficio dalla sua candidatura nelle liste del Partito Democratico (anche se in quota Demos, Democrazia Solidale, nuova forza politica vicina alle istanze del cattolicesimo e del mondo del volontariato) ha lui stesso portato voti al Pd. Conosco personalmente molti elettori che hanno votato Bartolo “nonostante” il Pd, volendo dare un sostegno non tanto al partito in questione ma alle ragioni della accoglienza e della solidarietà. Si parla troppo spesso di una Italia preda della paura e della chiusura, ha enorme risalto mediatico il clima di intolleranza e di “conflitto sociale”, eppure c’è una grande fetta del Belpaese che resiste, che ogni giorno si rimbocca le maniche per costruire un mondo migliore, che lavora per l’accoglienza e per l’integrazione, e ritengo il principale merito di Pietro Bartolo quello di aver dato una voce ed un volto a questa Italia, mi auguro la sua voce (amplificata dagli oltre 7 milioni di italiani attivi nel volontariato) possa risuonare forte nelle aule del Parlamento Europeo.
Veniamo ora alla nostra intervista.
Pietro Bartolo, queste sue parole verranno lette da tanti “amici” di San Francesco d’Assisi. Sente un particolare legame nella sua vita col Poverello di Assisi?
Sinceramente non posso dire di avere una devozione particolare verso San Francesco, ma la mia fede è rivolta verso la gente che soffre, e direi che anche San Francesco stava dalla parte dei sofferenti, degli ultimi. Lui stesso si è fatto povero, è stata una sua scelta, era un commerciante, benestante, ha volutamente abbracciato la causa degli ultimi, ecco, in questo aspetto mi sento vicino alla sua spiritualità francescana.
Nel corso del suo lavoro a Lampedusa, possiamo immaginare, avrà avuto momenti di gioia ma anche momenti difficili, di fronte ai tanti naufragi. La fede l’ha aiutata a superare i momenti di rabbia o frustrazione?
Ci sono stati, nel corso degli anni, tanti momenti di difficoltà, di dubbio, uno vede che non cambia mai nulla, ma io perché devo vedere queste sofferenze, questo orrore? Lei non può immaginare la sofferenza di vedere i bambini, anime innocenti, cosa hanno fatto per meritare questa triste sorte? Di fronte a queste situazioni ho avuto dubbi anche di fede, non sono un buon cristiano, non vado spesso in chiesa, però credo in Dio, in certi momenti ho pensato di non farcela, penso a Mustafà che era in coma ipotermico, penso a quando ho fatto partorire una donna che era quasi morta e sembrava morto anche il bimbo che portava in grembo, in quei momenti di sconforto chiedo aiuto a chi sta sopra di me, nel mio caso sono molto devoto alla Madonna di Porto Salvo (piccolo santuario che sorge sull’Isola di Lampedusa), che io adoro, e devo dire la verità, tutte le volte, nei casi disperati, nei quali da medico non avevo risposte, i casi si sono risolti, quindi, non penso di essere stato io. Non posso essere io ad utilizzare il termine miracoli ma da medico posso affermare di aver risolto casi irrisolvibili.
Può raccontarci un episodio che l’ha particolarmente colpito?
C’è una cosa che mi ha impressionato e che non avevo mai raccontato. Quando ho fatto le autopsie dei morti del grande naufragio (si riferisce al naufragio del 3 Ottobre 2013, che causò la morte di 368 persone, tra cui molti bambini), mi sono accorto prima di uno, poi di due, poi in tutto di circa 15 casi di cadaveri avevano il crocifisso, la catenella in bocca. All’inizio ho pensato fosse un caso, evidentemente era invece l’ultimo gesto che questi poveretti facevano per raccomandarsi al Signore. Questo gesto mi ha fatto capire tante cose, tuttora mi interroga e mi spinge a lavorare al meglio per prevenire tante morti evitabili. Porterò con me a Bruxelles i dolori e le attese di chi attraversa il Mediterraneo in cerca di un futuro migliore.
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