Il cavallo di San Francesco, la spogliazione dai sogni epici
E’ la figura di Francesco a cavallo nel prato antistane Basilica Superiore
Davanti la Basilica superiore si estende una spianata verdeggiante: sembra quasi un mare per dimensione, per immensità. Eppure del mare ha ben poco: quel verde profondo ci dice chiaramente che si tratta di un grande “giardino” che per quel suo particolare scagliarsi verso il cielo sembra un tutt’uno con il cielo stesso, azzurro, limpido, fresco. E’ il cielo di Assisi. In mezzo a tutto questo verde così denso, si innalza una statua bronzea. Imponente, al contempo discreta.
E’ la figura di Francesco di Bernardone a cavallo. L'immagine del cavaliere si fonde e si confonde plasticamente con la sua cavalcatura, grave di tutto il peso, lo smacco e l’onta di una sconfitta: le spalle di Francesco sono ricurve per l’angoscia e il lutto della guerra dapprima vagheggiata come occasione picaresca, eroica e quasi epica affermazione della sua persona. Francesco voleva essere cavaliere, ma non un cavaliere qualsiasi. Un eroe della guerra che con il suo destriero riusciva a vincere la battaglia: ergersi contro i perugini, e distinguersi fra i cavalieri di Assisi che parteciparono alla guerra contro Perugia del 1202.
E, invece, sappiamo poi come andò la storia. Nessuna vittoria, nessun “serto trionfale”, bensì una “sonora sconfitta”. Questa statua realizzata dallo scultore umbro Norberto Proietti (Spello, 1927- 2009) rappresenta più che bene tutto questo: non solo la Storia in sè, ma proprio lo stato d’animo del cavaliere Francesco. Il cavallo e il suo cavaliere: binomio inscindibile per la Storia medioevale. In questo caso, è necessario aprire una parentesi storica per comprendere appieno l’importanza del cavallo - o meglio - del “destriero” nella cultura medioevale.
Il destriero era un elemento inscindibile per ogni cavaliere e il combattimento in sella richiedeva un’abilità che non si poteva improvvisare: bisognava essere preparati fin da giovane età. Per questo e per imparare anche i principi etici e il codice di comportamento, il giovane veniva affidato a un cavaliere che gli faceva da maestro: cominciava per lui l’addestramento militare vero e proprio. Possiamo solo immaginare il rapporto che poteva avere Francesco di Bernardone con il proprio cavallo: fiducia, attenzione e cura per l’animale - molto probabilmente - animavano questo particolare rapporto.
La statua bronzea della spianata della Basilica superiore esprime bene questo essere un tutt’uno con il cavallo: cavaliere e destriero sono un’unica entità. Le linee dello scultore Proietti ci offrono la possibilità di prendere coscienza - a distanza di secoli - di questo privilegiato rapporto. E’ interessante notare come Francesco di Bernardone - in questa statua - esprima tutta la sua delusione per la mancata vittoria: il capo abbassato, le mani vinte da stanchezza, le gambe molli. Francesco è abbattuto: niente sogni di gloria. Ma altra gloria era ad aspettarlo. Il suo rientro da Perugia, è l’inizio di un altro cammino. Ma proprio perchè si tratta di cammino, in questo caso il cavallo non sarà necessario.
E per questo motivo, allora, che avviene un cambiamento nella vita di Francesco di Bernardone: il cavaliere viene dimenticato e il “poverello di Assisi” si concentra in altri pensieri, in cui non c’è più posto per il suo cavallo. E’ un po’ quello che avviene a un altro importante convertito nella storia del Cristianesimo: Paolo di Tarso.
Caravaggio ci offre la scena, magnificamente: la caduta da cavallo. Anche in Paolo proprio il cavallo segna un cambiamento. Così come per Francesco. Entrambi lasciano il destriero, entrambi lasciano la vita precedente per andare verso Dio. Facciamo un salto di luogo, e di tempo. Entriamo nella Basilica e troveremo una sorpresa negli affreschi di Giotto e della sua scuola. Accanto alla figura del santo di Assisi non poche volte troveremo la figura del cavallo. San Bonaventura, biografo della “Leggenda Maior” di Francesco, ci narra: “Una volta incontrò un cavaliere, nobile ma povero e mal vestito e, commiserando con affettuosa pietà la sua miseria, subito si spogliò e fece indossare i suoi vestiti all’altro. Così, con un solo gesto, compì un duplice atto di pietà, poiché nascose la vergogna di un nobile cavaliere e alleviò la miseria di un povero”.
Giotto ritrae la scena e in questa, inserisce, un cavallo (ora si presenta nero, ma originariamente doveva essere bianco, poichè lo zinco con cui era fatto il colore bianco si è ossidato) che è ben evidente nella scena pittorica. Nella storia di Boanventura non si parla di cavallo, ma Giotto lo inserisce comunque. Forse ricordava bene un altro episodio della vita di San Francesco: il santo scende da cavallo per abbracciare il lebbroso. Le parole che troviamo nella famosa “Leggenda dei tre compagni” - altra preziosa fonte francescana - sono: “Francesco, mentre un giorno cavalcava nei paraggi di Assisi, incontrò sulla strada un lebbroso.
Di questi infelici egli provava un invincibile ribrezzo, ma stavolta, facendo violenza al proprio istinto, smontò da cavallo e offrì al lebbroso denaro, baciandogli la mano. E ricevendone un bacio di pace, risalì a cavallo e seguitò il suo cammino. Da quel giorno cominciò a svincolarsi dal proprio egoismo, fino al punto di sapersi vincere perfettamente, con l'aiuto di Dio”. Un altra volta, compare questo co-protagonista della storia di Francesco: il cavallo.
Anche nel famoso episodio del Crocifisso di San Damiano, compare nuovamente il cavallo. Dopo aver udito la voce di Dio, Francesco prende il destriero e va verso Assisi. Prende le stoffe e altro e si reca a Foligno. San Bonaventura - sempre nella sua Legenda Maior - ci presenta così l’accaduto: “Si alzò, pertanto, munendosi del segno della croce, e, prese con sé delle stoffe, si affrettò verso la città di Foligno, per venderle. Vendette tutto quanto aveva portato; si liberò anche, mercante fortunato, del cavallo, col quale era venuto, incassandone il prezzo”. Vende il cavallo. Si spoglia dei sogni di cavaliere.
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