Santa Francesca Romana e San Francesco d’Assisi
La carità e la spiritualità francescana
Forse era già tutto scritto in quel suo nome: Francesca. Prima di essere conosciuta come Francesca Romana, la santa nativa della Capitale si chiamava Francesca Bussa de' Leoni, anche se per molti romani passerà alla storia semplicemente col nome di “Franceschella” o “Ceccolella”. Di semi di San Francesco d’Assisi nella sua vita, ne troviamo non pochi. Siamo sul finire del 1300, circa centocinquant'anni dopo la morte del Poverello, e dai dati biografici della santa ciò che risulta più evidente è una linea comune con il santo d’Assisi: la carità per i poveri, questo il punto cardine dei molteplici episodi che costellano la vita di Francesca Romana.
La storia di Francesco è nota: proviene da una ricca famiglia. Così l’omonima romana: nasce nel palazzo dei Bussa de’ Leoni, casata nobile e ben agiata che vive in un ricco palazzo colmo di arazzi e “bella vita”, ma a lei non interessava nulla di tutto ciò. Già da bambina lo sguardo era rivolto a chi aveva fame, a chi lottava ogni giorno per sopravvivere. Vedeva nel bisognoso Cristo stesso che chiedeva aiuto: è il primo contatto con la spiritualità francescana, ma lei - forse - ancora non lo sapeva. Eppure, la piccola Francesca quando usciva dal suo sontuoso palazzo con i genitori per andare a messa, si fermava e si soffermava su tutte quelle persone - ed erano molte - che nelle strade di Roma vivevano in povertà. Quanto ricorda il Francesco post-conversione? Molto, moltissimo anzi.
Si deve sposare per forza, così vuole il padre. Ecco, allora, un altro “punto di contatto” con la biografia di San Francesco d’Assisi: la figura del padre che vuole un destino diverso per il figlio. In Francesco - come sappiamo - non ci riuscirà, in quello della giovane romana sarà diverso anche perché conosciamo bene la condizione della donna in quell’epoca. Difficile ribellarsi troppo, se non impossibile. Francesca Romana sottostà alla volontà del padre, ma nel suo cuore vuole fare la volontà di un altro Padre, quello con la “P” maiuscola.
Si trasferisce nella casa del marito, Lorenzo de' Ponziani, figlio di Andreozzo e di Cecilia dei Millini, che si diceva fosse imparentato addirittura con Papa Bonifacio IX. E qui ancor di più la sua vicinanza per i poveri romani si fa ancora più forte nel suo cuore tanto che il nobile palazzo dei Ponziani diventa un centro di ricovero per molti bisognosi. Le sue ricchezze servono a curare i malati e i poveri: prende alla lettera il Vangelo, così come aveva fatto Francesco. Va per le strade, in cammino, come il Poverello si incamminava per le strade di Assisi. La storia dei santi si ripete quasi ciclicamente nella storia della Chiesa.
Ma dietro a questa carità così radicalmente evangelica, bisogna ricordare la sua spiritualità, nutrita dalle letture devote e da una intensa pratica sacramentale, tutta incentrata sul mistero dell’Incarnazione: della realtà di un Dio-uomo, un Dio incarnato, che è nato da una donna-Donna, e ha vissuto come un uomo, come noi, ed è stato toccato dal e nel dolore. Una spiritualità, dunque, tutta francescana in sintesi. L’aggettivo è più che d’obbligo visto anche un carattere fondamentale della spiritualità mistica della santa romana: erano presenti, in lei, le visioni di un Cristo in sembianze umane, segnato dalle piaghe della crocifissione, da cui escono raggi luminosi che si irradiano su tutta l’umanità.
Proprio in questa immagine-visione confluiscono inevitabilmente vari percorsi della Chiesa dell’epoca e fra questi, forte è la presenza dell’attenzione francescana al Cristo sulla Croce. San Francesco d’Assisi con le sue stigmate può essere un’immagine simbolo di tutto questo. E San Francesca Romana guardava alla Passione, al Cristo della Croce con quella intensità del tutto francescana: uno sguardo alla Croce con la mano offerta al povero vicino, “alter ego” del Cristo stesso.
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