Santa Cecilia, una storia dal “volto velato”
Roma, 22 novembre 1599, papa Clemente VII segue otto cardinali che portano a spalla un feretro; scoppia a piangere, e con lui tutto il popolo romano, “per l’ultima vista, che più non si doveva avere, di un sì bello e tanto miracoloso corpo”. Era passato solo un mese da quel 20 ottobre dello stesso anno, data in cui il corpo della martire Cecilia era stato trovato in una parte toponomastica del quartiere romano di Trastevere dove la stessa santa abitava. La notizia si era sparsa per tutta la Città Eterna: il corpo è incorrotto; il sangue è ancora fresco e le ferite del martirio ben evidenti dopo quasi millequattrocento anni; il popolo romano voleva vederla, almeno per l’ultima volta, prima che fosse definitivamente tumulata sotto un altare: quello della basilica che reca il suo nome.
Ma qual è la storia di santa Cecilia? Vissuta tra il II e il III secolo d.C, appartenente a una nobile famiglia romana, la sera delle sue nozze rivelerà al marito Valeriano, pagano, la volontà di rimanere vergine; converte il marito al Cristianesimo; lo seguirà anche il fratello, Tiburzio: i due, Valeriano e Tiburzio, saranno così battezzati da papa Urbano I; i fratelli però vengono denunciati e decapitati insieme al funzionario di giustizia Massimo che si era convertito a sua volta. Cecilia, destinata ad essere soffocata viva con i vapori del bagno della sua stessa casa, ne esce illesa; viene nuovamente condannata: questa volta, alla decapitazione; colpita tre volte dal carnefice che non riesce però a reciderle completamente il collo, Cecilia, sopravvive per tre giorni, pregando il pontefice di trasformare la sua casa in una chiesa. Morirà il 22 novembre del 230.
Il ritrovamento del corpo della santa avvenne a pochi mesi dall’inizio dell’Anno Santo 1600. Di questa particolare “operazione archeologica”, abbiamo una descrizione trascritta dallo studioso di storia antica della Chiesa, Antonio Bosio (1575-1629); lo studioso era tra le persone che ritrovarono il corpo della santa: “Quel corpo giaceva appoggiato sul lato destro, con le gambe un po’ contratte, le braccia protese in avanti, con la testa assai ripiegata, il viso rivolto verso terra a guisa di chi dorme, conservando con ogni probabilità la stessa posizione che aveva assunto dopo il triplice colpo al quale era sopravvissuta per tre giorni prima di rendere l’anima a Dio e con la quale, parimenti, era stata collocata nel cimitero del pontefice Urbano”.
Il cardinale Paolo Emilio Sfondrati per poter onorare Cecilia decise di realizzare una statua da collocare sotto l’altare maggiore della basilica intitolata alla santa, affidando l’importante incarico al giovane Stefano Maderno, all’epoca quasi sconosciuto. Ed è a questo punto che la “storia” diviene davvero interessante: lo scultore, d’accordo con il cardinale, decide di raffigurare la vergine romana nel momento della ricognizione, e non in vita; ne uscirà un’opera molto originale per l’epoca e, in una certa misura, anche per noi.
Un panneggio morbido, sciolto, delicato e bellissimo avvolge la santa; Maderno, nello spirito della Controriforma, crea così un’immagine commovente che vuole ricordare ai fedeli della Chiesa di Roma, il martirio dei primi cristiani; la mano dell’artista riesce a fornirci uno dei più delicati “ritratti” della santa; davanti a noi non c’è una fredda statua di marmo, bensì un vero e proprio dipinto di colori, di calde sfumature; la santa giace a terra, con un atteggiamento composto; nulla richiama alla morte, piuttosto a una sorta di riposo. Cecilia è già in Paradiso, avvolta nella morbida luce di Dio.
Ma c’è un’immagine che più di tutte, forse, colpisce chi è di fronte a simile opera: è il suo volto nascosto, che è rivolto in un’altra direzione rispetto al punto di chi l’osserva; di santa Cecilia vediamo sola la nuca, infatti, avvolta tra l’altro da un velo. Ed allora che ci chiediamo: a chi è rivolto il suo sguardo dormiente? Potremmo formulare un’ipotesi: forse proprio al Signore al quale ha dedicato il suo “canto” prima di morire.
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