SAN RUFINO, FESTA DEL PATRONO NON SOLO APPUNTAMENTO LITURGICO
Omelia integrale del vescovo monsignor Domenico Sorrentino
La festa del patrono non è solo un appuntamento liturgico. È un appuntamento del cuore. Una famiglia si riconosce dall’affetto che esprime per chi l’ha generata. Il vescovo e martire San Rufino ha questa prerogativa che segnerà per sempre la comunità di Assisi e la nostra intera diocesi.
Leviamo la nostra lode al Signore per quest’uomo che, nei primi secoli della storia cristiana, ha versato il sangue per noi. Se oggi siamo qui è perché egli ci ha dato il pane del Vangelo, lo ha pagato con la sua vita, ci ha generati.
È stato davvero il buon pastore. Nel suo cuore di apostolo e martire c’era già, in germe, la storia di questa nostra Chiesa, fatta di grandi santi come Francesco e Chiara, ma anche di una folla innumerevole che per secoli si è abbeverata alla fonte della fede.
In Rufino la nostra Chiesa riconosce il padre. In lui sperimenta un tratto d’amore persino materno, come quello che l’apostolo Paolo esprime nella lettera ai Tessalonicesi: «siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature».
Il nostro ritrovarci per onorarlo si caratterizza oggi per una circostanza speciale: stiamo per iniziare una seconda visita pastorale. A distanza di tanti secoli dalla prima evangelizzazione della nostra terra, è come se Rufino tornasse a fare la verifica della sua opera di evangelizzatore.
A che punto è la fede dei nostri padri in questa nostra terra benedetta?
Se guardiamo ai numerosi pellegrini che raggiungono la nostra città, attratti soprattutto da Francesco e Chiara, abbiamo la sensazione di una notevole tenuta della tradizione cristiana.
Indubbiamente, di questa tradizione, anche il nostro popolo conserva espressioni sincere e belle.
Non deve però sfuggire il cambiamento epocale che tocca tanti aspetti del nostro vivere e costituisce una grande prova per la fede. Davvero niente è più scontato!
Viviamo nel tempo in cui la tecnologia impera e ci promette un futuro di sogno.
Ma dietro questo enorme progresso si celano profonde ferite. E non solo perché tanti problemi continuano ad affliggere persone e famiglie: se non altro, la malattia e la morte restano nostre inseparabili compagne di viaggio. E poi, per tanti, la disoccupazione, la solitudine, la mancanza di senso della vita. Accanto ai problemi di sempre, dobbiamo fronteggiare una crisi di fede che non sempre è tangibile, ma emerge non appena si accosta da vicino la vita delle persone e delle famiglie, verificandone il comportamento alla luce del Vangelo.
Guardiamo per esempio ai giovani, antenne sensibili del cambiamento. In questi giorni sono stati in raduno col Papa e a loro è dedicato il prossimo Sinodo. È stato scritto, a suon di statistiche, che essi costituiscono la “prima generazione incredula”. Non vale certo per tutti, ma i segni preoccupanti sono presenti anche tra di noi. È bello che, in contro-tendenza, proprio nella nostra Assisi siamo oggi chiamati a custodire il corpo di un giovane del nostro tempo, Carlo Acutis, morto nel 2006 a quindici anni in odore di santità, e che il Papa ha recentemente riconosciuto venerabile, aprendogli la strada della beatificazione. Riuscirà Carlo, insieme con Francesco e Chiara, ad attirare tanti giovani sulla via del vangelo?
È una grande sfida. È giocoforza riconoscerlo: tutto sembra remare contro.
In molti ambiti la divaricazione rispetto ai comandamenti di Dio e al vangelo delle beatitudini si accentua.
Si aggrava la frana morale nell’etica della famiglia e della vita.
Sul versante della solidarietà, crescono paure e diffidenze che vanno ben oltre la legittima esigenza del buon ordine sociale e si rivelano piuttosto atteggiamenti di scarsa accoglienza.
Potremmo esemplificare ulteriormente con problemi che riguardano il campo stesso della fede, della pratica liturgica, della comunione ecclesiale. Si moltiplicano persino tendenze inedite, in ambiente ecclesiale, a misconoscere il magistero del Papa. Minoranze, certo, ma che rattristano e destano preoccupazione.
È tempo di un esame di coscienza. Il nostro patrono san Rufino ce lo chiede.
Nasce di qui l’esigenza di una nuova visita pastorale che proprio oggi viene indetta con il decreto che sarà letto alla fine della celebrazione.
Desidero che questa nuova visita abbia un intenso carattere missionario. Faccio per questo appello ai sacerdoti e ai diaconi, alle persone di vita consacrata, ai laici più sensibili. In particolare mi aspetto un sussulto di impegno dai figli di Francesco, che in questa Città hanno la loro scaturigine.
Missione fu quella di san Rufino.
Missione fu quella di Francesco.
La lettera pastorale che vi consegnerò a settembre parte proprio dal mandato che il Crocifisso di San Damiano gli diede: “Va’, Francesco, ripara la mia casa”.
La Chiesa d’oggi ha bisogno di consolidare la sua fede e di diventare tutta missionaria. La missione non riguarda più solo Paesi lontani. La missione è tra di noi. È l’indicazione che ci viene dalla Evangelii Gaudium, il documento programmatico del nostro Pontefice.
Dopo otto secoli mi pare che la voce del Crocifisso di san Damiano incalzi ancora il figlio prediletto di questa chiesa, e con lui tutti noi: “Riparti, Francesco, ripara la mia casa”.
Viene spontaneo applicare oggi queste parole anche al nostro Patrono: “Riparti, Rufino, ripara la mia casa”.
Qual è la casa che deve essere riparata? Mi diffonderò ampiamente su questo nella Lettera Pastorale. Mi basti qui accennare agli ambiti più rilevanti: la casa della preghiera, la casa della comunione, la casa della solidarietà.
Alla preghiera ci stiamo dedicando in modo specifico in questo triennio dedicato alla liturgia. Anche su tutti gli altri ambiti ci dobbiamo coraggiosamente interrogare.
Tornerò per questo da voi, in tutti i centri e i borghi della nostra diocesi. Verrò non come ispettore ma come un padre, desideroso di incontrarvi, di ascoltare le vostre sofferenze, di far miei i vostri problemi, mettendomi accanto a voi nel condividere il desiderio di un impegno maggiore nella vita cristiana. Solo una rinnovata consapevolezza della responsabilità che incombe su tutti i battezzati, superando il clericalismo per uno stile di una Chiesa - famiglia, ci aiuterà ad affrontare la fatica crescente di assicurare il servizio presbiterale a tante piccole comunità. Come faranno a starne senza? La risposta c’è, se ci rinnoviamo. Ma non c’è tempo da perdere. Tutto ormai corre nella cultura e nella società. Solo il Vangelo dovrebbe essere annunciato a passo lento?
Il nostro Libro del Sinodo ha delineato un programma di rinnovamento che chiede di essere assimilato e realizzato. La Visita pastorale vuole essere di sprone.
Vi ringrazio pertanto, cari fratelli e sorelle, della vostra disponibilità. Ringrazio anche le autorità civili che sono qui in rappresentanza delle rispettive comunità. La Chiesa non vive al di fuori del contesto sociale e desidera un incontro costruttivo con quanti hanno il senso dell’uomo, della solidarietà, della pace.
Affidiamo al nostro patrono San Rufino questo nostro cammino. La sua intercessione, quella dei compatroni san Rinaldo e beato Angelo, come degli altri nostri santi, in particolare lo sguardo materno di Maria, diano forza ai nostri desideri di bene.
Sia lodato Gesù Cristo.
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