Proclamato beato Giovanni Roig y Diggle
"Giovanni è stato un testimone della tenerezza"
Sono circa duemila i martiri della guerra civile spagnola venerati dalla Chiesa cattolica: sacerdoti, religiose, addirittura vescovi e anche molti laici, padri, madri o giovani, che hanno perso la vita solo perché amavano Cristo negli anni bui che afflissero la penisola iberica tra il 1936 e il 1939, appena prima che la Grande Guerra sconvolgesse il mondo. Tra questi, oggi, raccontiamo la storia di Giovanni Roig y Diggle, originario di Barcellona, che quando arriva, violenta come uno schiaffo, la forte ondata anticristiana che attraversa il suo Paese, commenta così: “Ora più che mai dobbiamo lottare per Cristo”.
Tra studio e lavoro, ma saldo nei valori
Giovanni si forma dai Fratelli delle Scuole Cristiane, per frequentare, poi, il liceo dai Padri Scolopi, dove tutti lo ricordano per la serietà, il rispetto e la dedizione allo studio. Ma anche per una fede profonda e radicata per un giovane, come testimoniano due padri cui Giovanni si era particolarmente legato e che saranno entrambi assassinati durante la guerra civile: padre Francisco e padre Ignasi. La famiglia di Giovanni non gode di ricchezza economica, così è costretta a lasciare la grande città per trasferirsi nella vicina El Masnou e a far lavorare quel figlio così promettente prima in un negozio di tessuti e poi in una fabbrica. Giovanni non se ne lamenta mai. Anzi: è contento di poter dare una mano concreta ai suoi cari. Nonostante la fatica, continua ad alternare studio e lavoro perché coltiva un sogno: laurearsi in legge e diventare avvocato.
L’ingresso tra i “giovani cristiani”
A El Masnou Giovanni conosce la Federazione dei giovani cristiani della Catalogna e vi aderisce con entusiasmo. Non gli pare vero di aver trovato altri ragazzi come lui che condividono i suoi valori e con cui poter parlare di Gesù. Sono gli anni in cui la sua vita spirituale si fa più intensa e allo stesso tempo, per chi gli sta vicino, si fa più chiara la trasparenza delle sue virtù e l’autenticità della sua fede. Inizia a partecipare quotidianamente alla Messa, a meditare, a praticare la pietà e ad approfondire la dottrina sociale della Chiesa. Pregando e guardando intorno il mondo che lo circonda, in Giovanni cresce la consapevolezza dei problemi che affliggono la società, ma anche del ruolo che il laico può assumere all’interno della Chiesa per aiutare a risolverli. È un coraggioso, Giovanni: per questo, anche quando la situazione precipita e la sede della Federazione viene data alle fiamme dai miliziani, non esita a fare la guardia notturna alla chiesa dopo essersi confessato e soprattutto a nascondere in casa Gesù Eucaristia per portarla tutti coloro che ne sentano la necessità.
L’addio alla madre: “Dio è con me”
Nell’estate del 1936 la persecuzione anticlericale è già una realtà. Solo che presto i miliziani rivolgono le loro minacce anche verso le persone non consacrate, i laici, colpevoli solo del fatto di credere in Gesù e nel suo amore. La famiglia di Giovanni è molto conosciuta in paese e che conduca la propria vita in profonda comunione con il Vangelo è cosa nota. Per questo fanno irruzione proprio in quella casa la notte tra l’11 e il 12 settembre, alla ricerca del capofamiglia. Non c’è. Giovanni è nell’altra stanza e prima che i miliziani si accorgano di lui, per salvare le ostie consacrate dalla dissacrazione, le consuma tutte. Mentre viene portato via, cerca di tranquillizzare la madre che piange, dicendole: “Dio è con me”. I miliziani lo conducono in casa dello zio, pensando che suo padre sia nascosto lì. Quando non lo trovano, la loro furia diventa cieca e distruggono tutti gli oggetti e le immagini religiose. Ma questo non basta a placare la loro rabbia: se non riescono a uccidere il capo di una famiglia cattolica, qualcun altro deve pagare. Giovanni, mentre viene portato presso il cimitero di Santa Coloma de Gramenet, è tranquillo. Canta e prega. Quando gli puntano contro i fucili, pronuncia parole di perdono per i suoi carnefici. Nel momento in cui sparano, grida: “Viva Cristo Re!”. Nessuno della sua famiglia viene informato di cosa gli è accaduto veramente. Il suo corpo, interrato sul posto, viene trovato solo due anni dopo.
Giovanni, un testimone della tenerezza cristiana
Nell'omelia pronunciata stamattina nella Messa di beatificazione, il cardinale arcivescovo di Barcellona Juan José Omella y Omella ha sottolineato che il nuovo beato è per tutti, ma soprattutto per i più giovani, "una testimonianza d'amore per Cristo e per i nostri fratelli". Nelle sue parole la descrizione "di un giovane normale che aveva i gusti e gli interessi della sua età", che fin da bambino, "aveva il sogno di diventare un giorno sacerdote, innamorato dell'Eucaristia e apostolo degli operai. Voleva stare con loro, conoscerli, amarli e portare loro la Buona Novella di Cristo". Secondo il suo direttore spirituale - ha riferito il porporato - il giovane beato è stato "un 'rivoluzionario cristiano', con le parole di Papa Francesco possiamo dire che Giovanni ha accettato l'invito di Cristo a partecipare alla 'rivoluzione della tenerezza'". La notte tra l'11 e il 12 settembre 1936, quando venne arrestato, ha proseguito l'arcivescovo Juan José Omella y Omella, Giovanni "ha risposto con amore e perdono alle violenze ricevute. Una delle testimonianze della sua morte racconta che quando comprese che sarebbe stato ucciso disse ai miliziani: 'Che Dio ti perdoni come io ti perdono'".
Cosa possiamo imparare dal nuovo beato?
Che cosa Giovanni Roig y Diggle può insegnare a noi, a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo?, si è chiesto il cardinale Juan José Omella y Omella. "La sua testimonianza può risvegliare in noi il desiderio di seguire Cristo con gioia e generosità. Giovanni ha vissuto una profonda amicizia con Gesù. Cristo è stato la fonte che ha alimentato tutte le sue parole, tutte le sue relazioni, tutti i suoi progetti. Possa la sua testimonianza aiutarci sempre - ha concluso - a mantenere Cristo nel nostro cuore e a fare dell'amore la radice e il fondamento della nostra vita". VATICAN NEWS
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