Pasqua, Omelia di fra Marco Moroni
La pietra rotolata, i teli e il sudario. Tracce, segni della presenza di Gesù. O meglio di una presenza accaduta, ma ora di un’assenza. Gesù risorto ha lasciato nella tomba ciò di cui era stato coperto: i teli in cui era stato avvolto dalle donne con cura amorevole, il sudario che gli era stato posto sul capo prima che fosse posta davanti all’ingresso quella grande pietra, ora rotolata via.
Ora sono lì, la pietra, i teli, il sudario, muti testimoni di un evento che non può essere descritto, ma che ha bisogno di essere compreso, decifrato. Maria si accorge solo della pietra tolta. Era accaduto qualcosa. Hanno portato via il Signore e bisogna trovare i colpevoli. Pietro vede i teli e il sudario avvolto in un luogo a parte, ma nulla dice il vangelo sulla sua reazione. Il discepolo amato invece vede e crede. Occorre uno sguardo oltre, uno sguardo altro, non solo la capacità di raccogliere le tracce, i segni. Occorre quell’intuito spirituale che ci fa riconoscere la profondità delle cose.
Ciò che appare evidente a volte cela una realtà più grande. Quante tracce il Risorto ha disseminato nella nostra vita? Quali abbiamo saputo decifrare? Il nostro sguardo si può soffermare dapprima di fronte ad evidenze crude e tremende: di fronte alle guerre e alla tracotanza dei potenti che umiliano i popoli e non si fanno problemi anche in questi giorni a spargere sangue per affermare se stessi; di fronte alle violenze perpetrate anche in nome della fede; di fronte alla fame e alla mancanza di libertà e alla fuga di profughi in tante parti del mondo; di fronte alla pandemia che continua a mietere vittime; di fronte ai conflitti fra gruppi, famiglie, generazioni; di fronte alla durezza dei cuori e forse anche ai pensieri di rancore che albergano nel nostro cuore… In fondo queste tracce somigliano a quelle ritrovate quel mattino dai discepoli al sepolcro, mentre era ancora buio. Alla pietra, ai teli, al sudario.
Quelle tracce, quei segni, ad un primo sguardo dicono solo male, assenza, nullità. Portano solo al pianto e alla domanda, al grido: non sei più tra noi? Dov’è quel tuo amore per noi cantato poco fa nel salmo? Non è facile lo sguardo della fede, fratelli e sorelle. Ci è dato solo dall’andare oltre, dal non soffermarci solo all’evidenza del male, dal ricercare lui e dallo stare presso di lui, il Risorto, dal macinare giorno per giorno i nostri passi davanti alla sua presenza silenziosa e tanto spesso poco manifesta, dal fidarci della sua Parola, della sua promessa: «abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».
Noi che crediamo in lui, noi che sappiamo che la morte è annegata nella sua morte, siamo chiamati a diventare, in mezzo alle tracce dell’assenza, segni efficaci della sua presenza, a porre noi gesti di prossimità, di vicinanza, a offrire noi la parola del perdono, ad amare nonostante, a dire noi ad ogni uomo, ad ogni donna, con le parole ma soprattutto con la nostra esistenza, che è possibile risorgere, che la parola conclusiva non è lasciata alla morte Non siamo soli in questo.
La parola dell’amore e della riconciliazione che assiduamente ritornava sulle sue labbra mentre parlava ai discepoli, il sangue e l’acqua sgorgati dal suo costato trafitto mentre pendeva dalla croce, lo Spirito da lui donato nell’ora suprema sono la garanzia che tutto questo è possibile, che come discepoli amati siamo investiti della gioiosa responsabilità di rotolare via le pietre che opprimono il mondo, di disegnare noi tracce di risurrezione di divenire noi segni riconoscibili ed eloquenti di vita, della sua vita.
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